La chiesa o è sinodale o non è

di Alberto B.Simoni op
da www.adistaonline.it, 13 giugno 2010

Luciano Guerzoni, nel suo intervento del 16 maggio, ha ribadito che la chiesa o è sinodale o non è, che si potrebbe parafrasare: se la chiesa è, essa è sinodale, e cioè è solo in quanto sinodale. E se riprendiamo questo discorso, è per evitare che la questione si esaurisca in discorsi, del resto già sufficientemente fatti. Ed è perché qui si gioca concretamente la possibilità e la praticabilità di una riforma non solo auspicata ma esperita. Il lavoro fatto insieme fino ad ora è servito ad un chiarimento concettuale e ad offrirci un quadro di riferimento e una prospettiva di azione, ma sarebbe tutto inutile se continuassimo a girare intorno alle parole e non arrivassimo alle situazioni reali a cui esse rimandano. Quali sono e come possono evolversi?

Mi capita di ascoltare il CD di Luciano Manicardi sul capitolo 15 degli Atti degli Apostoli che ha per titolo “La sinodalità, forma della Chiesa”. Questo fatto mi autorizza a dire che la situazione base a cui riporta – o mi riporta – la “sinodalità forma della chiesa” è ancora quella della “Chiesa dei Gentili” come esistenza dialettica della chiesa fin dalle sue origini e come sua struttura. Sinodalità non solo – come lascerebbe capire Manicardi – in quanto strategia di risoluzione e di consenso nei conflitti una volta per sempre (e non era un conflitto da poco!), ma come condizione di conflittualità costitutiva sempre da risolvere: “Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada” (Matteo 10,34).

Ai nostri giorni, questa conflittualità feconda si è riproposta ed è stata rivissuta in quel “sacrosanto Sinodo adunato nello Spirito Santo” (LG1), che è stato il Vaticano II ed è tuttora in atto. Questo per dire che una riforma imperniata sulla sinodalità non può essere intesa come concordiamo o armonia prestabilita a senso unico, ma deve risultare come creazione di “consensus fidei” all’interno di forme storiche differenti di chiesa, a cominciare emblematicamente da “chiesa dei giudei” e “chiesa dei gentili”!

Abbiamo capito che “sinodalità” non è solo funzionamento burocratico o di vertici, ma stile e modo di essere di ogni momento ed espressione di chiesa, dal basso in alto: contrassegno di autenticità ecclesiale, al di là degli aspetti formali. Da questo punto di vista, la chiesa è perché già sinodale in un certo modo – istituzionale e gerarchico – ma deve ancora e sempre diventarlo nella sua esistenza vissuta: si direbbe che lo è nella “lettera” ma non nello “spirito”, ed una modificazione reale deve essere operata appunto in questa linea, che è di continuità omogenea nella sostanza, ma di inevitabile rottura e diversificazione nelle forme o – come direbbe Giovanni XXIII – nei “rivestimenti”. Impresa non da poco, che andrebbe condotta con consapevolezza e perseveranza, senza facili entusiasmi e relativi abbandoni.

Qui potremmo fare ricorso alla storia, per vedere quante volte e in quanti modi questo è avvenuto. Basterebbe ricordare che nel linguaggio corrente si parla di “fine dell’era costantiniana” di “rivoluzione copernicana” di “svolta epocale” e che a questo proposito bisogna tenere presente la formula “già e non ancora”: se è tutto fatto da un punto di vista di impostazione, è sempre tutto da fare nella effettuazione storica, in modo che l’immagine ideale di chiesa diventi il suo volto reale davanti agli uomini.

Sempre in prospettiva storica, non posso non avere presente – nella tradizione domenicana – la rivoluzione evangelica avvenuta con la nascita degli “Ordini mendicanti”, che rimane indicativa e non può essere del tutto riassorbita ed omologata nell’unica forma di chiesa riconosciuta. Personalmente ho avuto modo di chiarire meglio cosa si intende e cosa comporta, ad esempio, che l’Ordine dei Predicatori venga detto “ordine clericale”, fino a concepire in maniera nuova il “ministero sacerdotale” rispetto ad una concezione organica e burocratica del ministero ordinato.

E mi si perdonerà la presunzione se – venendo ai nostri giorni – la fedeltà a questa tradizione mi porta a dire che “Koinonia” nasce come desiderio e tentativo di muoversi in questa linea senza reti di protezione, senza proposte specifiche di soluzione o di attività qualificanti, ma solo con la disponibilità a contribuire alla maturazione di una coscienza e all’avanzamento di un cammino realmente sinodale tra persone. Questo è detto col senno di poi e mutuando questa formula, ma la spinta iniziale e l’orientamento di sempre sono stati di questo tipo. Basterebbe ripensare al parallelo che G.Barbaglio fa tra sinodalità e koinonia!

Tant’è che ad un certo momento, volendo identificare meglio una forma di “chiesa dei Gentili” rispetto al sistema-chiesa vigente, siamo arrivati a parlare di una “chiesa in forma-convento” e non solo in “forma-parrocchia”, tanto che, per allargare gli orizzonti, il domenicano Y.Congar userà la formula “Vasto mondo mia parrocchia”, quasi a voler tornare al suo senso originario di “soggiornare come straniero”. Capisco per primo che tutto questo risulta insignificante o irrilevante, così come potrebbe comportare una certa conflittualità se venisse preso in considerazione. Ma non per questo si deve sottacere, in quanto frutto di esperienza, di riflessione, di studio e soprattutto di speranza di un modo di essere chiesa – non dissenziente, contestativo, alternativo o cose del genere – ma secondo Vangelo e non secondo Legge (come è stato ripetuto a “Firenze 2”), con tutto quello che comporta di tensione e di problemi.

Sul filo dei ricordi, viene da ripensare ad alcune parole “programmatiche” che aprono la raccolta del 1974 “Querceto anno zero”: dare vita ad un modo di essere chiesa che non sia di fede senza essere comunità, o che sia comunità senza essere di fede! Penso che in proposito siamo sempre in mare aperto e che la dimensione istituzionale debba attraversare e innervare la dimensione primaria della comunione, senza surrogarla. Sinodalità, in fondo, sta a significare proprio questa sintesi e finalmente un “sabato fatto per l’uomo”. Ma a quale prezzo?

Scrivo e comunico queste parole nel giorno di Pentecoste, giorno in cui lo Spirito di Cristo e dono del Padre produce e presenta al mondo la Chiesa, che non può esistere come tale se non nella potenza dello Spirito di Dio e a suo completo servizio: che non può esistere per se stessa!