LA FEDE E’ LAICA

di Aldo Antonelli parroco di Antrosano (AQ)
13 giugno 2010

Il caso Buttiglione e la conseguente battaglia sanfedista di Giuliano Ferrara hanno sbattuto prepotentemente in prima pagina ciò che, subdolamente prima e con sempre maggior evidenza poi, già serpeggiava tra le cronache di provincia : il ritorno di una specie di “neofondamentalismo” cattolico.

A ciò si aggiunga l’uso strumentale delle destre (americane o italiane poco importa) e si avrà l’avvertenza della pericolosità del fenomeno e del “progetto politico” che lo sponsorizza.

La laicità, un volta tanto decantata come segno di maturità e della chiesa e della società civile, sembra ora essere rimessa in discussione. La laicità non si oppone ai cattolici o ai credenti, bensì al clericalismo e ai clericali. Dirò di più.

Personalmente ritengo che la laicità non appartenga alla categoria delle “modalità” nelle quali coniugare la fede, ma faccia parte essa stessa, in quanto tale, dell’oggetto della fede.

La Laicità non è una “furbizia comportamentale” con cui accattivarsi la benevolenza dell'”altro”, del “diverso”, dell'”ateo”, ai fini di una possibile, reciproca, intesa; non fa parte, insomma, del galateo del “cristiano moderno e aperto”.

La Laicità fa parte del cuore stesso della fede che riconosce il valore oggettivo delle cose e ne rispetta le esigenze e le leggi che le regolano, senza la mania, questa sì tutta clericale, di doverle “battezzare”.

La laicità è essenziale alla fede perché Dio stesso è laico. “Dio non distingue tra sacro e profano, non discrimina tra puro ed impuro, non si veste da prete, non abita nei templi e nei santuari ma nello spirito e nella verità, non sbraita dai pulpiti ma parla nel sussurro di un vento leggero” (Raniero La Valle).

Per troppo tempo si è pensato Dio in opposizione al mondo e, di conseguenza, la Chiesa in opposizione alla società, in un rapporto sbilanciato e a senso unico nel quale il mondo acquistava valore in riferimento a Dio e la società si rivestiva di dignità in riferimento alla Chiesa.

Un rapporto doppiamente mortifero, nel quale l’immagine del Dio Padre, amante della vita, veniva ipostatizzata nella figura del Dio Padrone, possessore di ogni legittima autorità, ed il mondo degli uomini veniva retrocesso allo stadio infantile dell’incapace bisognoso di tutela.

Solo con il Concilio Vaticano II, provocata dalla crescita di maturità della società civile, la Chiesa si è ritrovata compagna di strada del mondo degli uomini; ed è stata una conversione: abbandonato il piedistallo delle sue presuntuose certezze si è fatta “umile pellegrina” sui sentieri della storia.

A questa sua nuova dislocazione è seguita anche una nuova, più profonda ed evangelica autocomprensione: la Maestra si è riscoperta anche Discepola e all’insegnamento si sono aggiunti la ricerca e l’apprendimento, e il dialogo e la collaborazione hanno sostituito l’arroganza e l’anatema.

Questo processo, purtroppo, è stato bruscamente interrotto dal progetto restauratore dell’attuale pontificato, marcatamente segnato da una religiosità tutta interna ad un clericalismo autoreferenziale come è quello polacco. Abbiamo avuto un papa troppo regionale e affatto “cattolico”, a dispetto degli innumerevoli viaggi percorsi. Ma alla restaurazione ha contribuito anche una gran parte della gerarchia che ha sempre sentito il clericalismo come elemento costitutivo e fondante della fede.

Anche grazie a loro, ci tocca assistere, oggi, alla rinascita di un nuovo integralismo per il quale non pochi cristiani sono tentati di gestire mondanamente il lievito evangelico, col risultato di quello che Italo Mancini amava chiamare il “cortocircuito” “che brucia sia i sostantivi mondani (le cose e i valori della terra) catturandoli religionisticamente, sia la qualificazione cristiana che viene resa innocua da questo allineamento mondano”.

Oggi siamo di fronte ad una sfida.

Gli avvenimenti tumultuosi di questi ultimi tempi hanno favorito un recupero della religione spesso accompagnato da una crescita di conflittualità, quasi che il “ritorno del sacro” sia condannato ad andare di pari passo con un “ritorno dell’intolleranza”.

È possibile spezzare questo binomio? Io credo di sì; anzi, è urgentemente necessario!  E il binomio lo si spezza superandone i termini, non essendo il sacro una categoria evangelica né l’intolleranza una virtù!