Bioetica made in Italy

di Rosa Ana de Santis
da www.altrenotizie.org

In Germania il Parlamento approva l’eutanasia passiva e la fine di ogni accanimento terapeutico contro la volontà individuale. In Italia il caso Englaro è stato trasformato in un esempio negativo da evitare con ogni mezzo legislativo, mistificato dal nome allettante del “testamento biologico”. In Inghilterra il rapporto del Royal College of Obstetricians and Gynaecologists sostiene che il feto non soffre entro le 24 settimane, perché le terminazioni nervose nel cervello non sono formate a sufficienza per consentire la percezione del dolore.

Lo studio va a sconfessare i tentativi degli antiabortisti di alzare il limite legale per l’interruzione della gravidanza. Da noi si discute ancora del riconoscimento dell’aborto terapeutico. In Islanda la premier Johanna Sigurdardottir ha sposato la propria compagna nel giorno in cui è entrata in vigore la legge che riconosce il matrimonio per gli omosessuali. Da noi le coppie di fatto, etero o omosessuali, semplicemente non esistono. Famiglie fantasma.

In Italia troviamo addirittura argomenti e tecnicismi, questa l’ultima notizia, volti a obbligare al ricovero coatto le donne che volessero abortire ricorrendo alla pillola RU486. Nella sfiancante polemica tra le Regioni e il Governo per la diffusione della pillola, il Ministero della Salute, attraverso l’impegno particolare della zelante sottosegretaria Roccella, fa l’impossibile perché le donne non firmino il registro delle dimissioni. La volontà, mascherata dal tema della salute, è di impedire che pur rimanendo sotto controllo medico, possano tornare a casa a vivere una vicenda che in questo modo sarebbe del tutto privata.

Meglio lasciarle in un luogo pubblico, magari accanto a donne in procinto di partorire per evidenziare la loro colpa, per insinuare il seme del pentimento o, più semplicemente , per continuare a considerarle vicende in cui l’autorità pubblica possa conservare un ruolo e una collocazione precisa. Un approccio che segna tutta la differenza e il ritardo che ci contraddistingue nelle questioni etiche sulla scienza medica e sulle sue applicazioni sulla vita umana. Ma forse stiamo volando alto: nel governo – e nella Roccella in particolare – c’è solo il bisogno di compiacere il Vaticano, garantendosi rendite elettorali e magari non solo quelle.

Ma è comunque anche troppo semplice prendersela con la Chiesa e con la sua influenza, certamente forte, nella cultura italiana. Il tema è che una bioetica italiana non esiste perché non esiste un pensiero coraggioso sulla tema dell’esistenza umana. Tutta colpa del cattolicesimo? L’ossessione per l’autorità che caratterizza fortemente la storia del nostro Paese ha spazzato via ogni teorizzazione forte sull’individualità e sulla libertà personale. Siamo sempre cittadini in una famiglia, in una coppia, in una comunità. Siamo padri, madri o figli oppure non siamo. Senza un ruolo sociale i diritti sembrano diventare meno incombenti e meno evidenti. Il limite di una cultura in cui nessuno è mai solo nella propria vita. Un’autorità pubblica invadente e un privato assottigliato nella legge fa svanire il senso e il valore del pensiero liberale autentico.

Per questo trasformiamo il pensiero dell’aborto sul tema dei bambini o dell’aborto terapeutico su quello dei bambini che hanno handicap. Per questo associamo la donna che decide di abortire all’immagine della madre. Per questo gli omosessuali sono immediatamente accostati alla famiglia naturale. E per questo Eluana non è più stata lei, ma le sue foto di un tempo. Ed è così che il coraggio di suo padre è stato trasformato in un atto, persino compassionevole, di rassegnazione e stanchezza.

Sfugge il tema dell’io. Sfugge il momento e incombe lo scenario. Futuro e collettivo. Solo che un pensiero che si ostina a rifiutare la riflessione sull’individualità costruisce una società che è una scatola vuota. Dove nessuno scopre mai cosa davvero desidera per sé, dove nessuno si interroga mai sulla qualità della propria esistenza. Dove tutti vanno dove è giusto andare. Senza che nessuno abbia capito se quello sia il suo bene.