I furbetti del deficit

di Luca Mazzucato
da www.altrenotizie.org

Come la voce di una Cassandra solitaria, dalle colonne del New York Times si leva ogni giorno la supplica rivolta al governo americano: spendere, spendere, spendere! Ma le sue parole cadono nel vuoto, tanto in America quanto in Europa. Mentre banchieri e speculatori, questa volta travestiti da paladini della responsabilità fiscale, banchettano sulle carcasse delle economie occidentali. È la folle rincorsa alla riduzione del deficit la nuova parola d’ordine.

Non usa mezze parole il premio Nobel per l’Economia Paul Krugman, per denunciare l’assurdità dello spettacolo cui stiamo assistendo. “Soltanto due anni fa, chiunque avesse predetto uno scenario come quello attuale (non solo la disoccupazione è a livelli disastrosi, ma tutte le previsioni assicurano che resterà così per molti anni) sarebbe stato preso per un pazzo allarmista. Ora che l’incubo è realtà – per milioni di americani – Washington sembra aver perso qualsiasi senso di urgenza. Speranze infrante, piccole imprese in bancarotta, vite distrutte? Non importa, parliamo invece del malvagio deficit di bilancio”.

Delle due l’una: o il New York Times è diventato un covo di serpi comuniste (ma nessun giornalista è stato incluso nella lista di spie russe per lo scambio di detenuti), oppure il professor Krugman è l’unico che riesce a fare due più due. Secondo Krugman, il responsabile della Federal Reserve americana, Ben Bernanke, sa perfettamente cosa si dovrebbe fare, visto che è stato proprio lui a proporlo in tempi pre-crisi. Qual sarebbe dunque la ricetta Krugman-Bernanke per rilanciare l’economia?

“I tassi di interesse americani a breve termine – dice Krugman – sono già vicini a zero e non possono essere abbassati oltre. Ma il messaggio di Bernanke nel 2002 era di comprare il debito a lungo termine del governo e il debito del settore privato. Annunciare che la Fed manterrà i tassi così bassi per lungo tempo e convincere i privati che prendere soldi a prestito è una buona idea, mentre tenersi in tasca il contante una pessima idea.” Peccato che Bernanke abbia improvvisamente cambiato idea, diventando, nel momento di crisi, paladino del pareggio di bilancio.

“Possiamo ancora fermare il disastro – argomenta Krugman – con un secondo massiccio piano di stimolo e con un’azione molto più aggressiva da parte della Fed. Ma politicamente siamo inchiodati: anche se i democratici tengono nelle elezioni di Novembre, non avranno comunque i voti per fare grossi aggiustamenti.”

Gli Stati Uniti l’anno scorso hanno passato un colossale piano da ottocento miliardi di sostegno all’economia, ma nonostante questo la disoccupazione è al valore che si paventava soltanto nelle stime più catastrofiche. Ora che quelle stime sono diventate realtà, invece di investire più denaro, tutto a un tratto i fautori degli stimoli economici hanno abbracciato l’austerità fiscale, che essi stessi avevano definito sbagliata un anno fa. Ma mentre l’austerità dell’armata “spietata, confusa e sprovveduta” dei Repubblicani in Congresso è premiata con montagne di denaro dalle grosse corporations, secondo Krugman l’austerità della Federal Reserve è sintomo piuttosto di codardia.

Soprattutto, è curioso il fatto che questi sarti del deficit abbiano le forbici spuntate quando si tratta di cancellare i tagli alle tasse sui redditi alti, voluti da Bush e mantenuti da Obama, che fanno sprofondare il bilancio statale. E siano tempestivi nel cancellare i contributi ai disoccupati di lunga durata, la cui proroga è stata bocciata al Senato americano la scorsa settimana grazie al voto di un senatore democratico voltagabbana. Stando alle più recenti proiezioni economiche, l’economia americana sta per entrare in una fase di deflazione, che sarà disastrosa proprio per il deficit. Mentre ci sarebbe bisogno di un periodo d’inflazione prolungata per ripianare il debito.

Per quanto riguarda l’austerità fiscale della zona europea, la spiegazione di Krugman è talmente ovvia che basta dare un’occhiata guardare alla disoccupazione in Spagna e Germania per capire di che si tratta. La disoccupazione tedesca è in calo. Quella spagnola è rampante. La politica di contenimento del debito cui tutti i paesi europei si stanno prestando, ha dunque un solo artefice e beneficiario: la Germania.

Si tratta ancora una volta di un esempio di shock economy da manuale. Prima si puntano tutte le scommesse sulla bancarotta di un paese sovrano, mentre con l’altra mano gli si prestano soldi come se piovesse (vedi il gioco delle tre carte della Grecia con Goldman Sachs e Germania). Poi, quando il bilancio statale è insolvente, si prepara un ultimo prestito internazionale a tassi da usura, per ripagare i prestiti precedenti. Nel momento cruciale del panico da bancarotta, gli esperti di economia e i banchieri giurano che l’unico rimedio è il solito taglio drastico al settore pubblico. E sperano che i cittadini se la bevano.

In Grecia, come a Princeton (dove insegna Krugman), hanno fatto due più due e se ne sono accorti. Mentre il governo approvava i tagli draconiani ai dipendenti pubblici, per ripagare i debiti con le banche tedesche, francesi e americane, i cittadini greci infuriati assaltavano il Parlamento e mettevano a ferro e fuoco Atene. La loro pretesa assurda? Che a pagare per la bancarotta fosse chi l’ha provocata, ovvero il mare di evasori fiscali, i banchieri e la corrotta classe dirigente.

In Italia la situazione è del tutto analoga. Il nostro premier è tornato dall’ultimo G20 vantando una grande vittoria per l’Italia (ma soprattutto per la sua P3): aver evitato che, per ripianare i bilanci statali, i ministri europei approvassero una tassa sulle transazioni finanziarie. A pagare il conto alla Merkel saranno invece i dipendenti pubblici e i redditi più bassi, che risentiranno più pesantemente dei tagli agli enti locali. Ma se la maggior parte dei consumatori non avrà soldi da spendere, chi ci spiega come farà nei prossimi anni il PIL ad aumentare e di conseguenza il deficit a rientrare?