Pakistan e Iran a tutto gas

di Michele Paris
da www.altrenotizie.org

Qualche settimana fa Iran e Pakistan hanno siglato un importante accordo per la fornitura di gas naturale che dovrebbe provvedere al fabbisogno energetico pakistano. L’intesa per la costruzione di un gasdotto da quasi 8 miliardi di dollari, che diventerà operativo a partire dal 2014, è giunta nonostante l’opposizione degli Stati Uniti, impegnati ad isolare Teheran attraverso le sanzioni economiche appena approvate dal Congresso, ma costretti a non esercitare troppe pressioni su un alleato fondamentale nella strategia di stabilizzazione del vicino Afghanistan.

L’impianto in questione partirà dal sito del più grande giacimento di gas naturale conosciuto del pianeta, quello di South Pars, nell’Iran meridionale, e una volta a regime fornirà 21,5 milioni di metri cubi di gas al giorno al Pakistan. Prima dell’inizio dei lavori, però, Islamabad entro il 2011 dovrà svolgere uno studio circa la fattibilità della porzione di gasdotto che sorgerà sul proprio territorio.

L’annuncio del lancio del progetto è arrivato più o meno in concomitanza con la firma di Obama sul pacchetto di sanzioni unilaterali contro l’Iran (Comprehensive Iran Sanctions, Accountability, and Divestment Act), votate dagli USA dopo i provvedimenti adottati dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU. La nuova legislazione americana prevede ritorsioni nei confronti di quelle compagnie straniere che fanno affari con la Repubblica Islamica, in particolare nel delicato settore energetico.

La contrarietà di Washington all’accordo sul gasdotto era stata ribadita di recente dall’inviato speciale del presidente Obama in Afghanistan e Pakistan, Richard Holbrooke. A queste pressioni, tuttavia, Islamabad non ha finora ceduto, malgrado le promesse di forniture alternative di gas proveniente dal Tagikistan attraverso l’Afghanistan. Le insistenze americane avevano convinto invece l’India ad uscire dall’iniziativa che inizialmente prevedeva il coinvolgimento anche di Nuova Delhi.

La determinazione del governo pakistano rischia ora di mettere nuovamente in imbarazzo la diplomazia statunitense. L’esclusione dal mercato americano delle compagnie straniere che contravvengono alle sanzioni contro l’Iran, non avviene in ogni caso in maniera automatica ed è probabile che alla fine da Washington si finirà per chiudere un occhio. Il Pakistan si trova d’altra parte in una situazione di estrema scarsità di energia elettrica – tanto da aver perso circa il 2 per cento del proprio PIL nell’ultimo biennio – così che azioni punitive da parte degli USA comporterebbero un nuovo grave motivo di tensione all’interno di una relazione bilaterale già sufficientemente agitata.

Come noto, per gli Stati Uniti il Pakistan rappresenta a partire dall’autunno del 2001 un partner potenzialmente decisivo nell’azione di contrasto alla guerriglia islamica che rende precaria l’occupazione dell’Afghanistan. Le sollecitazioni americane verso Islamabad per azioni sempre più incisive nei confronti dei gruppi talebani e legati ad Al-Qaeda operanti entro i propri confini si sono moltiplicate negli ultimi anni.

A fronte delle rassicurazioni ufficiali e delle operazioni militari, però, i vertici delle forze armate pakistane (e ancor più i servizi segreti) continuano a mantenere un rapporto molto stretto con molte di queste cellule jihadiste attive oltre frontiera, considerate un prezioso valore aggiunto per influenzare un futuro Afghanistan pacificato, da cui escludere il più possibile l’arcirivale indiano.

Allo stesso tempo, l’equilibrismo diplomatico del Pakistan è complicato dalla necessità di evitare screzi con Washington, da cui provengono ingenti aiuti economici e militari. Un contributo che, in ogni caso, non ha reso meno ostile l’opinione pubblica pakistana nei riguardi degli Stati Uniti e di un governo locale considerato troppo arrendevole ai diktat del potente alleato. La prova di forza sulla questione del gasdotto iraniano ha fornito così l’occasione al primo ministro Raza Gilani e all’impopolare presidente Zardari di dimostrare di saper resistere in qualche misura alle pressioni americane.

La strategia energetica di Islamabad ha finito poi per far emergere un altro fronte di contrasto con gli USA, in questo caso intorno alla questione del nucleare e dell’espansione dell’influenza cinese in Asia centrale. Il Pakistan, pur possedendo armi atomiche, non è firmatario del Trattato di Non-Proliferazione (TNP) e non potrebbe perciò accedere, almeno in linea teorica, al mercato della tecnologia nucleare per scopi pacifici.

Dal momento che all’India, anch’essa fuori dal Trattato, negli ultimi mesi dell’amministrazione Bush era stato concesso in via eccezionale di stipulare un accordo con Washington per ottenere assistenza nella creazione di una rete di centrali nucleari, il Pakistan ha richiesto agli USA il medesimo trattamento riservato all’odiato vicino orientale.

Incassato il rifiuto americano di siglare un simile trattato, il Pakistan si è rivolto alla Cina. Anche se a Pechino non sarebbe consentito di fornire tecnologia nucleare a paesi non firmatari del TNP, un progetto per la costruzione di due reattori nella provincia pakistana del Punjab è stato recentemente suggellato, senza alcuna reazione ufficiale da parte di Washington.

La presenza cinese in Pakistan è già ben consolidata e rappresenta precisamente un altro fronte della crescente rivalità con gli USA in un’area strategicamente molto importante e ricca di risorse naturali. In cambio degli investimenti promessi da Pechino, il governo pakistano ha ad esempio concesso lo sfruttamento del porto di Gwadar, situato sulla costa sud-occidentale della provincia del Belucistan che si affaccia sul Mare Arabico.

Una mossa quella cinese che rientra in una strategia più ampia, dettata dalla necessità di assicurare alle forniture di materia prima provenienti dal Medio Oriente rotte alternative a quella che passa attraverso lo Stretto di Malacca, soggetto al controllo navale statunitense. Per l’identico motivo, la Cina ha da poco concluso un accordo con la giunta militare del Myanmar per la costruzione di un oleodotto che dovrebbe collegare i due paesi e pare stia valutando di estendere il gasdotto tra Iran e Pakistan fino al proprio territorio.

Oltre a turbare gli Stati Uniti, l’ascendente cinese sul Pakistan inquieta ovviamente anche l’India, la quale ha a sua volta un rapporto tormentato con Pechino. Come contrappeso, da almeno un decennio l’India si è avvicinata agli Stati Uniti, i cui rapporti sempre più stretti con il Pakistan hanno però suscitato i timori di Nuova Delhi. L’irruzione della Cina nello scacchiere centro-asiatico per tutelare i propri interessi geo-strategici, così, non fa altro che aumentare le tensioni in un’area del globo dall’equilibrio già estremamente precario.