Kabul, corruzione e invasione

di Carlo Musilli
da www.altrenotizie.org

Se per quella sul campo ci sarà ancora da lavorare non poco, sembra proprio che nella guerra della corruzione non ci sia storia. Americani e europei vincono per distacco. Fra il 2002 e il 2009 gli aiuti internazionali giunti in Afghanistan ammontano a circa 40 miliardi di dollari. Di questi, una cifra compresa tra i 24 e i 27 miliardi non è mai arrivata a chi ne aveva bisogno, gli afgani. E’ questa la denuncia di Pino Arlacchi, eurodeputato Idv, membro della commissione Affari esteri e autore del rapporto “La nuova strategia dell’Unione Europea per l’Afghanistan”.

Durante una missione svoltasi nel marzo scorso fra Kabul e Herat, Arlacchi ha incontrato il ministro delle finanze afgano, Omar Zakhilawal. E si è accorto che i conti non tornano proprio. Di quei famosi 40 miliardi, soltanto 6 sono arrivati al governo di Karzai. Gli altri 34 sono passati per le varie “agenzie di assistenza umanitaria e di sviluppo del sistema internazionale: dagli uffici per la cooperazione e lo sviluppo dei paesi Ue e degli Usa all’Unpd (United Nations Procurement Division, ndr), dall’Unopos (United Nations Office of Project Services, ndr) alla Banca Mondiale, fino alle grandi Ong che operano in Afghanistan”, come si legge nel rapporto.

Attraverso questi canali apparentemente così sicuri, il 70 / 80 % di quei 34 miliardi si è dissolto nel nulla. Gli afgani non ne hanno più sentito parlare. Secondo Arlacchi i fondi si perdono lungo la catena di distribuzione e alla fine tornano da dove sono partiti, nella maggior parte dei casi attraverso percorsi di corruzione legalizzata, costi di intermediazione eccessivi e sovrafatturazioni. Come esempio della cattiva gestione e dello spreco di soldi pubblici, l’europarlamentare cita i 27 milioni di euro pagati ad una compagnia di sicurezza privata della Gran Bretagna per la protezione della rappresentanza diplomatica europea a Kabul. Lo stesso servizio “poteva essere fornito da qualsiasi forza di polizia europea – sostiene Arlacchi – con una qualità molto superiore e con costi pari a un terzo di questa somma, che basterebbe a gestire 20 ospedali”.

Ancora più inquietante è l’esempio della scuola. In Afghanistan per costruire un istituto di due piani e con venti classi non servono più di centomila euro. Ebbene, se dell’opera s’incarica un’organizzazione internazionale, i costi possono lievitare dalle tre alle dieci volte. Ciò è tanto più grave se si considera che in Afghanistan l’alfabetismo continua a calare e che di scuole bisognerebbe costruirne almeno seimila. A fare le cose in modo corretto, i soldi necessari equivarrebbero a quelli che normalmente vengono usati per finanziare una settimana di guerra.

Tutto questo, a detta di Arlacchi confermato tanto da membri del governo afgano quanto da analisti indipendenti, sembrerebbe gettare una nuova luce sulla decisione di Nita Lowey, la sovrintendente americana allo stanziamento di fondi per l’Afghanistan che un paio di settimane fa ha tagliato circa 4 miliardi di aiuti per il 2011. Ufficialmente, il provvedimento è stato causato dalle rivelazioni sulle ruberie di alcuni funzionari corrotti del governo di Karzai, che in due anni avrebbero sottratto circa 3 miliardi di dollari di aiuti internazionali portandoli fuori dal Paese. Ufficiosamente, questo ormai sembra più un pretesto, o quantomeno una giustificazione molto parziale e perciò poco convincente, a fronte di una situazione che gli americani dovrebbero chiarire prima di tutto in casa propria.

Se infatti è indiscutibile che il potere afgano sia contaminato ad ogni livello dal morbo della corruzione cronica, bisogna comunque cercare di non ripararsi troppo facilmente dietro questo comodo capro espiatorio. “Dal Governo di Kabul passa solo il 15% degli aiuti totali – spiega ancora Arlacchi nel suo rapporto – anche attribuendo alla corruzione locale un’incidenza del 50%, non si supera il 7,5% del volume complessivo della spesa finora effettuata in Afghanistan”. Gli Stati Uniti, da soli, gestiscono la maggior parte degli aiuti diretti in Afghanistan, causando il maggior spreco di denaro in assoluto. Nemmeno paragonabile a quello prodotto dai più furbetti tra i funzionari di Karzai.

Alla fine, però, il governo Usa si è convinto della necessità di istituire un Ispettorato Generale sulla ricostruzione dell’Afghanistan (Sigar) “che inizia a fare ora ciò che bisognava fare 9 anni fa: misurare l’impatto dei fondi stanziati per lo sviluppo del Paese, ricostruirne la mappa, identificare e prevenire gli abusi”. L’auspicio di Arlacchi è che anche per i fondi europei si crei un sistema di monitoraggio di questo tipo e che alla fine la gestione degli aiuti umanitari sia affidata alle autorità locali afgane. Sembra che siano molto più efficaci delle organizzazioni internazionali.