Marchionne, Berlusconi e la libertà mannara

di Paolo Flores d’Arcais
da il Fatto Quotidiano, 28 luglio 2010

Cosa hanno in comune Sergio Marchionne e Silvio Berlusconi? A prima vista nulla. Cosmopolita l’uno (ha tre nazionalità: italiana, canadese, svizzera), con un curriculum strepitoso nel mondo finanziario e imprenditoriale di due continenti, e una carriera che nulla ha dovuto a commistioni con la politica. Provincialissimo italiota l’altro, gorgheggiatore di crociera per tardone benestanti, tycoon dei media e monopolista televisivo in Italia solo grazie agli intrallazzi col suo amico Bettino Craxi. Due mondi agli antipodi, si direbbe.

E invece condividono la cosa essenziale: un’idea di libertà proprietaria, di libertà solo per i potenti. Libertà di calpestare le libertà dei più deboli, pretendendo di stracciare le regole che ne garantiscono i diritti. Libertà come privilegio per gli “happy few”, obbedienza e silenzio per gli altri.

Questa libertà non ha nulla a che fare con la libertà nata con le rivoluzioni borghesi americana e francese. Nulla a che fare con la libertà ricamata solennemente nelle moderne Costituzioni, che si accompagna sempre a “eguaglianza e fratellanza” e da loro prende senso (vale anche il reciproco, beninteso). La libertà di Marchionne e di Berlusconi non è la libertà democratica, non è la libertà liberale, e a guardar bene non è neppure la libertà “liberista”, è la libertà dell’oppressione, la distruzione dei diritti dei “senza potere”.

Norberto Bobbio, da buon liberale“classico”, pensava che libertà e diritti dovessero progressivamente estendersi dalla sfera strettamente politica a quella della vita civile: la fabbrica, la scuola. Marchionne e Berlusconi pensano invece che anche lo Stato sia solo un’azienda, e debba dunque tutelare la logica del massimo profitto a dispetto e prevaricazione di qualsiasi altro valore. A questo punto si apre il capitolo delle differenze, delle “contraddizioni in senso al privilegio”. A Marchionne interessa uno Stato che si faccia carico delle aziende quando sono penalizzate dal mercato, con sovvenzioni di ogni tipo (da “liberista” sui generis, dunque), e che non metta bocca nelle “relazioni industriali” quando il padrone è più forte, e anzi sopprima le leggi conquistate a tutela dei lavoratori in un paio di secoli di lotte operaie.

Che insomma in fatto di diritti del salariato allinei l’Italia alla Serbia, e se poi non bastasse alla Cina di un Partito comunista da sogno, che consente di spremere gli operai peggio che a Birmingham e Manchester inizi Ottocento. Garantite queste “libertà”, il manager cosmopolita è magari anche favorevole a porre argini alla corruzione dei politici che spolpano il Paese, e assieme alle Marcegaglia di turno e d’ordinanza a promuovere qualche convegno su “etica e affari”.

Berlusconi ha invece una visione più ampia, un orizzonte storico. Ha l’ambizione di “fare epoca”, di diventare un vivente mausoleo di se stesso. Non è in concorrenza con Napoleone ma col “Re sole”. Vuole tornare ai fasti premoderni di “L’Etat c’est moi”, benché nella versione volgarmente meneghina del “ghe pensi mi”. Non gli basta uno Stato che protegga i potenti a prevaricazione del cittadino “senza santi in paradiso”, che garantisca impunità a sé, ai suoi amici e ovviamente agli “amici degli amici”, e “attenzionamento” illegale contro i suoi avversari per imbastire ogni provocazioni o persecuzione possibile. Vuole uno Stato che sia la sua azienda, un governo illimitato (poveri “padri fondatori” degli Usa, comunisti inconsapevoli o comunque “utili idioti”, che tanto insistevano sulla democrazia come “governo limitato”!). Vuole la costituzionalizzazione del crimine e la “implementazione” delle peggiori fantasie orwelliane in fatto di totalitarismo (dal “ministero dell’amore” alla “neolingua” che significa l’opposto del linguaggio ordinario, non dimenticando il “tutti gli animali sono eguali ma qualche animale è più eguale degli altri”, dove i “più eguali” sono i maiali).

Se il modello di Marchionne è il “progressista” Hu Jintao, la stella polare di Berlusconi è Putin, e il suo regime di ex Kgb e oligarchi.

Marchionne e Berlusconi sono perciò certamente i dioscuri della libertà, ma nel senso della LIBERTÀ MANNARA. La negazione compiuta delle libertà tout court, che ancora dovrebbero essere le nostre, stante la Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza antifascista.