Il make-up dei dittatori

di Carlo Musilli
da www.altrenotizie.org

Una mamma gorilla che abbraccia teneramente il suo cucciolo, una fossa comune. Quale delle due immagini vi fa venire in mente il Ruanda? Sulla risposta che darete, è stato costruito un business da milioni di sterline. Lo chiamano ‘riciclaggio della reputazione’. Secondo un’inchiesta del Guardian, Londra è diventata la capitale del “reputation laundering”, punto di riferimento per tutti quei dittatori che hanno bisogno di migliorare l’immagine del loro Paese all’estero. E da dove iniziare se non dai media inglesi?

L’assunto di base è questo: gli uomini ricchi e potenti del pianeta leggono l’Economist e il Financial Times. Sono loro la platea da convincere. Così, le aziende britanniche di public relations negli ultimi anni hanno visto lievitare il proprio fatturato grazie alla generosità di governi che violano sistematicamente i diritti umani, come quelli di Arabia Saudita, Russia, Cina, Sudan, Madagascar, Ruanda, Kazakistan e Sri Lanka. Gli esperti di comunicazione di sua maestà stipulano contratti da 2 milioni di sterline l’anno per dare utili suggerimenti a paesi ufficialmente denunciati dalle Nazioni Unite per pratiche come tortura, corruzione, censura. L’associazione britannica dei consulenti di pubbliche relazioni (Prca) ha definito il fenomeno “un mercato in crescita”. Ha ragione: il giro d’affari raggiunge i sette miliardi di sterline l’anno.

Vediamo i professionisti all’opera. In vista delle elezioni politiche in Ruanda (le seconde in sedici anni), il ministro degli Esteri del Paese, Louise Mushikiwabo, ha indetto una conferenza stampa nell’ambasciata di Londra. Qui entrano in gioco i Pr della Racepoint. Mettetevi comodi, inizia lo spettacolo. Giornalisti di tutto il mondo vengono accolti in un finto villaggio ruandese. In una mano sfavillanti brochure piene di gorilla e montagne, nell’altra una tazza di delizioso caffè. Ruandese, naturalmente. In sottofondo la voce del ministro: “Abbiamo più donne in Parlamento di qualsiasi altro paese”. E funziona. “Il Ruanda ha un eccellente macchina di pubbliche relazioni, si legge in un rapporto dello scorso anno dell’Iniziativa per i diritti umani del Commonwealth. E’ riuscita a convincere la comunità internazionale che nel Paese vige una stabile democrazia basata sulla separazione dei poteri e sul totale rispetto dei diritti umani. Tuttavia – conclude il rapporto – è vero esattamente il contrario”.

Una delle aziende leader del settore è la Chime plc, guidata da Lord Bell, ex consulente della lady di ferro Thatcher. “Non mi occupo di etica, ma di comunicazione – spiega Bell – chiunque voglia comunicare qualcosa, dal mio punto di vista è libero di farlo”. Nel 2009 la Chime ha così messo in cascina quasi 67 milioni di sterline, con una crescita del 37% rispetto al 2008. Fra i vari clienti, l’azienda annovera il governo dello Zambia, che neanche tre mesi fa è stato accusato da varie associazioni per i diritti umani di dare rifugio a sospetti responsabili del genocidio in Ruanda.

Nonostante tutto, un codice di condotta per le aziende di Pr esiste. Secondo la Prca, bisognerebbe rifiutarsi di lavorare per clienti le cui attività sono manifestamente illegali o contrarie all’etica, professionale o umana che sia. La Chime ha risolto il problema creando una divisione per i rapporti con i paesi stranieri, la Bell Pottinger, che non ha sottoscritto il codice. Altre aziende sembrano farsi degli scrupoli. La Portland Pr, guidata da Tony Allen, ex vice capo dell’ufficio stampa di Blair, e la Hill & Knowlton, che ha fra i suoi clienti Adidas e Nissan, hanno rifiutato un’offerta milionaria dal governo kazako, attualmente sotto inchiesta da parte della commissione investigativa delle Nazioni Unite (sembrerebbe che laggiù i poliziotti abbiano una certa propensione alla tortura).

“Noi rispettiamo il codice e non condividiamo nessun tipo di comunicazione contraria alla legalità o all’etica, né ci è mai stato chiesto dai nostri clienti”, spiega un portavoce della Portland, mentre la società si consola gestendo l’immagine britannica di un pezzo grosso come la Russia. Alla fine il contratto kazako è stato sottoscritto dalla Bgr Gabara, impresa londinese che non solo non ha firmato il codice, ma nemmeno fa parte della Prca, a scanso di equivoci sulla politica aziendale in fatto di principi etici. Curiosamente, sul sito web dell’azienda, nella sezione “representative clients”, il governo del Kazakistan non compare. Proprio non se la sono sentita di farne un vanto.

Eppure la collaborazione aperta col mostro da prima pagina non conviene nemmeno ai Pr più spregiudicati. Per questo Omar Bashir, dittatore sudanese accusato dal Tribunale penale internazionale di crimini contro l’umanità per il genocidio in Darfur, si è visto rifiutare dalla Bell Pottinger un contratto da due milioni di sterline. Peccato che la stessa azienda lavori per il governo dello Sri Lanka, che pare abbia bombardato civili e praticato esecuzioni nelle fasi finali della guerra contro i separatisti del Tamil, appena un anno fa.

Il governo di Colombo non fa mancare ai suoi cittadini nemmeno la tortura e la violazione dei diritti dell’infanzia, pratiche che hanno indotto l’Unione Europea, nel luglio scorso, a minacciare il blocco del canale preferenziale per le esportazioni verso il vecchio continente di cui lo Sri Lanka gode. Bashir si deve essere sentito ingiustamente escluso dalla festa e ha trovato il modo per entrare dalla porta sul retro. Una società petrolifera cinese attiva in Darfur ha preso contatti con i Pr londinesi in sua vece.

A scanso di facili moralismi, conviene ascoltare anche chi si è mobilitato in difesa dei tanto criticati esperti di Pr. Molti sostengono che un lavoro ben fatto può portare nei paesi sottosviluppati nuovi investitori, clienti, turisti e partner diplomatici. Insomma, sviluppo. Magari perfino democrazia. Si ripete che lavorare per il bene di un intero paese non vuol dire favorire il dispotismo dei governi. Peccato che a pagare per il lavoro ben fatto siano proprio i governi. Certo non è giusto associare il Ruanda esclusivamente al genocidio. Un paese è una realtà complessa che merita di essere studiata in modo ampio, da più punti di vista. Ma studiare e vendere non sono esattamente sinonimi.