Liberté, égalité, expulsion

di Carlo Musilli
da www.altrenotizie.org

Ti daremo 300 euro per andare via da qui, non sei un bello spettacolo. Questo elegante invito, finora, è stato accettato da 371 persone. Novantatré sono partite il 19 agosto, altre 130 il giorno successivo. Le rimanenti si leveranno di mezzo il 26. Entro fine settembre arriveremo a quota 700. Dov’è che vanno tutte queste persone? Bucarest, principalmente. Sofia, in alternativa. Continuiamo a chiamarle persone, ma per qualcuno la definizione suonerà imprecisa. Sono rom.

E’ probabile che il presidente francese Nicolas Sarkozy la notte fatichi a dormire. Nei sondaggi è ai minimi storici. Le elezioni presidenziali del 2012 si fanno sempre più vicine e lui deve trovare un modo per risollevarsi. Le scarpe col tacco non bastano, Sarkò si sente ancora addosso la patina appiccicosa lasciata dal caso Bettencourt. Quello che ci vuole è un’arma di distrazione di massa. Non una qualsiasi, ma la più antica ed efficace. Nicolas si gioca la carta “sicurezza e disciplina”, trattando i francesi come bambini che hanno ancora paura del buio.

A fine luglio l’obiettivo è chiaro, bisogna prendere provvedimenti contro “il comportamento di taluni appartenenti alle comunità rom e nomadi”. Pare che il 79% dei francesi appoggi la crociata. Brice Hortefeux, il ministro degli Interni, riceve l’incarico di smantellare nel più breve tempo possibile 300 campi ritenuti illegali. Agli ordini, mon président: in tre settimane ruspe governative e poliziotti mandano all’aria più di 50 campi rom.

A questo punto possono iniziare i “rimpatri volontari”, un teatrino che preoccupa l’Unione Europea. La Francia “deve rispettare le regole sulla libertà di circolazione e di residenza dei cittadini europei – è il monito di Matthew Newman, portavoce del commissario europeo alla Giustizia – vigileremo molto attivamente per verificare che tutte le norme siano rispettate”. Gli risponde Bernard Valero, portavoce del ministro degli Esteri francese, sottolineando che si tratta di “misure pienamente conformi alle regole europee”, che prevedono specifiche “restrizioni al diritto di libera circolazione”. Incredibilmente, ha ragione lui.

Quando tre anni fa Romania e Bulgaria entrarono nell’Unione Europea, la Francia, avvalendosi di una deroga concessa da Bruxelles fino al 2014, mantenne alcuni vincoli all’accoglienza dei cittadini provenienti dai due Paesi. Bulgari e romeni possono tranquillamente entrare in Francia e restarci per tre mesi senza dover rendere conto a nessuno. Ma, scaduto il periodo, per restare devono essere iscritti a una cassa di assicurazione malattie e dimostrare di avere un lavoro o di essere studenti. Chi intendesse assumerli come dipendenti deve poi ottenere una “autorizzazione di lavoro”, che viene rilasciata per soli 150 tipi di impiego. Quelli che i francesi gradiscono meno. Se disgraziatamente alla fine del trimestre non soddisfano questi requisiti, bulgari e romeni devono tornare a casa. Con le buone o con le cattive. Se evitano di fare storie, hanno diritto all’ “aiuto al ritorno umanitario” (300 euro per gli adulti, 100 per i minori), ma devono lasciarsi prendere le impronte digitali.

Aldilà dal ritorno elettorale, tutta questa iniziativa volta alla purificazione del suolo francese è completamente inutile. La maggior parte dei rom incasserà graziosamente l’assegno, si lascerà riportare in patria con un aereo pagato dai contribuenti francesi, e tornerà in Francia via terra. Per questo Hortefeux da giorni chiede la collaborazione della Commissione Europea per organizzare un “programma d’integrazione” dei rom espulsi nel loro paesi d’origine. La questione non è sfuggita al quotidiano bulgaro Sega, che fa notare un paradosso: i governi di Bucarest e Sofia potrebbero trattenere con la forza i cittadini rimpatriati solo se scegliessero di tornare al regime comunista. Bei tempi, quando c’era il visto d’uscita.

In Romania forse sono meno sarcastici, ma piuttosto espliciti: “Esprimo la mia inquietudine sui rischi di una deriva populista – afferma Teodor Baconschi, ministro degli Esteri romeno – e sul generarsi di reazioni xenofobe, con la crisi economica che fa da sfondo. Se continuiamo a criminalizzare a titolo collettivo dei gruppi etnici, non andiamo da nessuna parte. Resuscitiamo solo spiacevoli ricordi storici”. Da notare che Baconschi, in passato, è stato ambasciatore di Bucarest a Parigi e che a sua volta, qualche mese fa, è stato accusato di razzismo per improvvide affermazioni sulla delinquenza fra i rom. Il destino di Teodor ha il senso dell’umorismo.

Intanto il suo presidente, Traian Basescu, ha un bel da fare. In nessun caso vorrebbe rovinare i rapporti fra Romania e Francia, ma nemmeno si lascia sfuggire l’occasione per ripetere ad una platea mai così ampia una proposta che continua a fare dal 2008: “Quello che succede a Parigi dimostra la necessità di un programma europeo per l’integrazione dei rom”.

Un ultimo dato. Il 95% dei nomadi residenti in Francia sono francesi. Con loro come la mettiamo? Dove li possiamo spedire? Tecnicamente, le parole “nomade” e “rom” non sono affatto sinonimi, ma pare che nemmeno nei discorsi ufficiali si faccia caso a questa sottigliezza. In realtà, non fa tanta differenza. Tieniti stretta la borsa se uno di loro ti cammina accanto in strada. Metti una mano sulla tasca dove tieni il portafogli. Noi siamo quelli che hanno inventato i diritti civili. Loro sono rom.