PRIMA COMUNIONE E CONDIZIONAMENTO PSICOLOGICO

di Aldo Zanca
da www.italialaica.it

La recente proposta vaticana di abbassare l’età di ammissione alla prima comunione merita qualche approfondimento per capire meglio la strategia evangelizzatrice della chiesa cattolica. La proposta, elaborata dalla Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, è stata resa pubblica con un intervento sull’Osservatore romano dal cardinale prefetto Antonio Canizares Llovera, in occasione del centenario del decreto “Quam singulari”, con cui Pio X l’8 agosto 1910 promulgò il “Catechismo Essenziale della Chiesa Cattolica” e con cui fu stabilito che al sacramento della comunione si accedesse all’età di sette anni, quando, secondo l’improbabile psico-pedagogia cattolica, i bambini entrano nell’età della ragione, diventando così (si deve immaginare) capaci di giudizi critici e autonomi.

Lasciando ad altri la valutazione scientifica di simili asserzioni che trascurano cialtronescamente la distinzione tra intelligenza ed emotività, la proposta conferma ancora una volta che il criterio educativo fondamentale della chiesa non è lo sviluppo del senso critico ai fini delle acquisizioni intellettuali e delle scelte morali, ma il brutale e subdolo condizionamento psicologico. Che cos’altro può essere, altrimenti, far credere in tutta serietà ad una bimbetta o ad un bimbetto di cinque o sei anni (ma anche, francamente, di dieci o di dodici) che, dopo essere stato perdonato dei suoi peccati (peccati a quell’età?), mangi realmente il corpo di Cristo?

La forza dell’educazione, in campo religioso spesso impartita, più o meno consapevolmente, con metodi ed argomenti terrorizzanti, induce l’accettazione delle opinioni più stravaganti e dei più irrazionali pregiudizi, che in seguito non vengono sottoposti ad esame per constatarne la fondatezza. Se ad un bambino, osservava Schopenhauer, «vengono esposti, ripetutamente, certi concetti fondamentali e impartite determinate dottrine, e ciò con una inconsueta solennità e con atteggiamenti esteriori improntati a una serietà che gli è del tutto nuova; e in quel mentre si passa sotto silenzio ogni possibilità di dubitarne, o, semmai, quel tema si sfiora soltanto per accennare al dubbio come primo passo verso la dannazione eterna, ciò susciterà nel soggetto un’impressione così profonda che, di norma, cioè in pressoché tutti i casi, dubitare di quegli insegnamenti gli riuscirà quasi altrettanto difficile che dubitare della propria esistenza; e perciò, fra molte migliaia di persone, ce ne sarà una, forse, dotata di uno spirito abbastanza forte da indurla a chiedersi, seriamente, schiettamente: ma sarà poi vero, tutto questo?».

E Dickens descrive con rapidi tratti gli effetti dell’educazione religiosa su David Copperfield di otto anni: «ricordo bene l’espressione arcigna con cui andavamo in chiesa, e come persino l’aria di quel posto mi paresse diversa. Ancora una volta arriva la temuta domenica, e io entro in quel vecchio banco per primo, come un prigioniero scortato a una funzione per i condannati. […] Ancora una volta, ascolto la signorina Murdstone bisbigliare le risposte, mettendo enfasi sulle parole più spaventevoli con un gusto crudele. Vedo i suoi occhi scuri muoversi per la chiesa quando dice “miserabili peccatori”, come se stesse insultando tutta la congregazione. […] Ancora una volta, mi domando con improvviso timore se non sia possibile che il nostro buon vecchio pastore si sia sbagliato, e il signor e la signorina Murdstone abbiano ragione, e che tutti gli angeli in paradiso siano degli angeli della distruzione».

Molti, moltissimi sono credenti perché sono vittime del sistema educativo, che non ha presentato l’opzione di una visione laica. La chiesa, ogni chiesa, in particolare quella cattolica, si configura, infatti, come un apparato educativo, la sua attività prioritaria è l’educazione più che l’insegnamento, nella misura in cui ha come scopo di fare acquisire un costume disciplinare in relazione ad un modello di vita, piuttosto che illustrare una dottrina. Quanto prima ha inizio questo condizionamento psicologico e formativo, tanto meglio è e tanto più efficaci saranno i risultati. La non negoziabilità del principio della libertà educativa da parte dei genitori trova qui il suo fondamento. È infatti scontato che genitori cristiani imporranno una educazione cristiana ai propri figli, con il concorso del clero e della scuola. Si dà il caso che, come sempre più spesso si può osservare, bambini tenuti lontani dalle favole religiose fino a una certa età (appunto fino a quella che si dice età della ragione) difficilmente diventano poi credenti.

Diceva Joseph De Maistre a proposito dei ragazzi: «Dateceli da cinque a dieci anni e saranno nostri per tutta la vita». E John Stuart Mill sottolineava «quanto risulti enorme il potere dell’educazione, ed indicibile l’effetto di allevare le persone fin dall’infanzia in una fede, e nelle abitudini su di essa fondate. […] uomini di governo e insegnanti hanno incoraggiato più che potevano, in tutti i tempi, al fine di dare maggior efficacia ai propri ordini sia per motivi egoistici che per motivi pubblici, la credenza che esista una vita dopo la morte, nella quale si avranno piaceri e sofferenze ben maggiori che sulla terra, in dipendenza dall’aver compiuto o meno, in vita, ciò che ci vien comandato di fare in nome delle potenze invisibili». Aggiungeva Antonio Gramsci: «Una delle misure più importanti escogitate dalla Chiesa per rafforzare la sua compagine nei tempi moderni è l’obbligo fatto alle famiglie di far fare la prima comunione ai sette anni. Si capisce l’effetto psicologico che deve fare su bambini di sette anni l’apparato cerimoniale della prima comunione, sia come avvenimento familiare individuale, sia come avvenimento collettivo: e quale fonte di terrori divenga e quindi di attaccamento alla Chiesa. Si tratta di “compromettere” lo spirito infantile appena incomincia a riflettere».