Sinodo 2010: culto di apertura

Il testo della predicazione della pastora Letizia Tomassone durante il culto di apertura del Sinodo 2010 delle Chiese Metodiste e Valdesi

Torre Pellice, domenica 22 agosto

«1 Dopo queste cose, il Signore designò altri settanta discepoli e li mandò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dov’egli stesso stava per andare. […] 17 Or i settanta tornarono pieni di gioia, dicendo: “Signore, anche i demòni ci sono sottoposti nel tuo nome”. 18 Ed egli disse loro: “Io vedevo Satana cadere dal cielo come folgore. 19 Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e su tutta la potenza del nemico; nulla potrà farvi del male. 20 Tuttavia, non vi rallegrate perché gli spiriti vi sono sottoposti, ma rallegratevi perché i vostri nomi sono scritti nei cieli”. 21 In quella stessa ora, Gesù, mosso dallo Spirito Santo, esultò e disse: “Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli! Sì, Padre, perché così ti è piaciuto! 22 Ogni cosa mi è stata data in mano dal Padre mio; e nessuno sa chi è il Figlio, se non il Padre; né chi è il Padre, se non il Figlio e colui al quale il Figlio voglia rivelarlo”. 23 E, rivolgendosi ai discepoli, disse loro privatamente: “Beati gli occhi che vedono quello che voi vedete! 24 Perché vi dico che molti profeti e re hanno desiderato vedere quello che voi vedete, e non l’hanno visto; e udire quello che voi udite, e non l’hanno udito.”» (Luca 10, 1.17-24)

I discepoli che tornano sono 70 come le nazioni del mondo. Coloro che portano l’evangelo percorrono le strade del mondo e Luca già intravede un evangelo che si espande e non sta chiuso nei confini di una nazione, di una sola cultura. Eppure spesso la missione è stata vissuta come una coincidenza fra cultura occidentale ed evangelo, e l’esportazione dell’uno ha portato con sé l’esportazione dell’altro.

Questo ci pone almeno due domande principali:
– in che modo leggiamo la Bibbia che motiva la nostra vocazione come chiesa?
E poi:
– cosa diciamo quando, come oggi, osiamo noi stessi, come chiesa, inviare qualcuno in missione?
I 70 tornano a Gesù, non a un luogo sacro o fondativo, ma a una persona vivente che è al centro del loro agire e motiva il mandato che ci è rivolto anche oggi. Tornano dunque con quel movimento centripeto che usiamo per descrivere l’ecumenismo. Gesù al centro e noi, come tanti raggi, che convergiamo verso di lui.

Eppure non si verifica qui ciò che il movimento ecumenico auspica, cioè che ci si conosca e riconosca andando verso il Cristo. Infatti, pur nella gioia, i 70 sembrano tutti concentrati sui loro successi. Si sono dimenticati di esser stati mandati davanti a Gesù, e non al posto suo.
Quell’identificazione tra cultura occidentale ed evangelo, operata con prepotenza dagli europei nel tempo del colonialismo, ora si rivolta in molti modi contro di noi. L’evangelo va liberato dall’eurocentrismo e da ogni centratura che lo riferisce e lo riduce a una cultura, a un modo di vita.

Allora noi, come leggiamo la Bibbia?
Anche questo testo si presta, come tutti i testi, a una molteplice lettura, persino contraddittoria. Quella trionfante di una chiesa che si sostituisce a Cristo, e quella militante di pochi testimoni che vanno a preparare la strada a Gesù. Tra queste due letture leggiamo in chiaro tutta la storia della chiesa e i contrasti anche duri per far vincere un modello o l’altro di chiesa.
E’ invece lo Spirito di Dio che filtra la nostra lettura e rende limpida la nostra comprensione.
Lo stesso Spirito che rivela le cose ai piccoli.

Come leggiamo la Bibbia?
Con la gioia di questi discepoli che vedono l’umanità liberata dagli spiriti maligni che la tengono imprigionata. Con la gioia di una Parola che libera e guarisce, ma anche giudica l’incapacità umana di accogliere lo straniero. Con la passione di annunciare sempre e comunque che il Regno si è avvicinato, che non ci possiamo trincerare dietro le nostre convinzioni di sempre, che dobbiamo rischiare di incontrare l’altro attraverso cui forse mi parla il Signore stesso.
Ma in questo episodio della vita di Gesù il nomade, lo straniero, l’altro incomodo, è proprio il discepolo che viene a raccontarmi la visione di Gesù, che il male è sconfitto, che Satana precipita dal cielo, che un altro mondo è possibile, è ancora possibile!

Gesù richiama a sé i suoi discepoli, con una rivelazione privata che dovranno gridare sui tetti.
E’ questo momento privato che dà loro la forza di una parola pubblica.
In che modo la nostra chiesa sperimenta e vive questi due momenti: l’intimità e la durezza del rapporto con il Signore / la parola pubblica della denuncia e anche della speranza di trasformazione?
A volte questa dimensione più intima della fede, vissuta nella comunità dei discepoli e delle discepole attorno al Signore, sembra non essere una vera priorità. Allora la nostra parola pubblica si svuota, e corriamo il rischio di porgerla da una identità culturale forte, sì, quella del nostro protestantesimo di minoranza, che però non trova più la sua fonte nella condivisione della fede. Quando pronunciamo parole di giudizio sulla corruzione che prolifera in Italia, o sull’economia sommersa, quella stessa parola ritorna su di noi e sul nostro modo di fare le cose. Come chiese e opere siamo impegnati a controllare continuamente le nostre pratiche. Ogni volta è una scelta per la sicurezza sul lavoro o contro il lavoro in nero. E’ una lotta contro una deriva sociale che approfitta dell’illegalità e dell’incuria. So per certo che i Consigli di chiesa e i Concistori sono molto attenti a questi aspetti del lavoro. E’ una battaglia che esprime la nostra ricerca di giustizia e democrazia.

Però, quanto siamo attenti a quali banche usiamo per i nostri conti: se investono o meno nel commercio di armi o di diamanti insanguinati? Quanto siamo attenti alla raccolta differenziata o all’uso dell’energia?
Molte chiese in Europa fanno di queste scelte punti fermi della loro testimonianza.
La lotta contro il male oggi non è più una scelta etica, opzionale, ma un segno di quella cittadinanza che è data nei cieli.
A volte ci lasciamo spaventare dal giudizio del mondo, che ci spinge alla moderazione. Così non osiamo abbastanza o peggio, siamo superficiali e affrettati nei nostri giudizi, fino al punto da non vedere dov’è lo scontro con il male, dove c’è il cardine dell’ingiustizia.
Così diventiamo complici inconsapevoli di quel male, inconsapevoli ma non meno colpevoli.

Il cuore del mandato che riceviamo oggi con una riconoscenza tutta speciale è la speranza che apre il mondo alla giustizia di Dio e alla sua pace. E’ una speranza che riapre i nostri orizzonti, perché intorno a noi il mondo si disfa: l’ambiente è devastato, i mutamenti climatici sono già all’opera con le loro conseguenze estreme. Perché tutto ciò di cui ci serviamo e perfino gli abiti che vestiamo portano il segno di uno sfruttamento mondiale iniquo e senza fine.

Alla fine di ogni anno, come oggi, anche noi ci raccogliamo e proviamo a raccontarci a vicenda tutti i successi ottenuti, tutte le volte che abbiamo visto la Parola di Dio sconfiggere il male.
Anche noi veniamo da molte nazioni, ormai, da molte culture, portando nel nostro Sinodo comprensioni riccamente diverse del mondo e dei modi in cui gli spiriti ci sono sottoposti.
A volte non siamo d’accordo sull’identificazione di questi spiriti maligni e allora, prima ancora di rallegrarci per la loro sconfitta, dobbiamo discutere fra noi per dare un nome a questi demòni della nostra contemporaneità. Anche questo Sinodo sarà chiamato a farlo e un volta nominati potremo sconfiggerli: l’indifferenza di fronte al dolore umano; l’omofobia che esclude e ripropone la separazione tra i puri e gli impuri; lo sfruttamento avido della natura e dei popoli.
Dove c’è lo Spirito di Dio, lì il razzismo è sconfitto, il pregiudizio si scoglie come neve al sole, la giustizia scorre come un torrente e il diritto alla dignità coinvolge ogni essere vivente, umano e non umano.

Il compito di un Sinodo, di una chiesa, di ogni credente e dei ministri che oggi accogliamo e inviamo, è proprio quello di dare un nome e smascherare, denunciandoli, i demòni che si oppongono alla venuta del Regno.
E poi subito di andare oltre a questo spirito di contrapposizione, perché: “i vostri nomi sono scritti nei cieli”. Non è per l’annuncio che portiamo che siamo fatti salvi. Quell’annuncio è sempre così mescolato alle nostre precomprensioni e alle nostre auto giustificazioni!
Ci salva solo la grazia, che ricostruisce un’ampia comunione di diversi, nei cieli e sulla terra di Dio. Cieli che influenzano la terra, trasformano le nostre priorità, riportano il mondo materiale alla dimensione gloriosa della creazione:
– quella in cui c’è giustizia e non disprezzo nelle relazioni fra esseri umani;
– quella in cui uomini e donne sono parte consapevole e responsabile di una natura creata come un tessuto interconnesso e armonioso;
– quella in cui l’amore prevale su ogni forza che esclude.


AUDIO: Il culto di apertura (registrazione integrale)