Israele verso la teocrazia?

di mazzetta
da www.altrenotizie.org

Mai come ora il mondo osserva con il fiato sospeso Israele, paese che sembra chiamato ad affrontare uno dei periodi più duri della sua breve e travagliata storia. La sfida è ancora più pericolosa perché proviene dall’interno, non sono i vicini (e meno vicini) arabi o islamici a promettere un futuro fosco, ma le dinamiche interne. Dall’avvento del governo Bush e dei neo-conservatori, Israele ha avuto mano libera e partecipato con entusiasmo alla War On Terror.

I premier israeliani, tutti ex-generali dell’esercito, hanno trovato in Washington l’alleato ideale per infierire sui vicini. Nessuna delle numerose aggressioni o attacchi israeliani ai paesi confinanti ha mai ricevuto una sanzione dal Dipartimento di Stato e nemmeno le due vere e proprie guerre-lampo scatenate contro il Libano e Gaza hanno sollevato critiche sostanziali o anche solo rumorose.

Nonostante questo, nessuno può fare a meno di notare che è almeno dagli anni ’70 che nessun paese dell’area aggredisce Israele e che, da allora, il divario tra la potenza militare israeliana e alleata e i vicini potenzialmente ostili è aumentato in progressione geometrica. Sono ormai un paio di decenni che nessun paese dell’area può coltivare velleità militari anti-israeliane, che sono anche fuori anche della portata di paesi come l’Iran, molto più grandi e popolosi di Israele, che però hanno spese militari non paragonabili, quasi sempre dedicate in gran parte al mantenimento del controllo interno e dei confini.

L’arroganza con la quale il governo israeliano affronta le critiche internazionali non aiuta, come non aiuta vedere Netanyahu raccontare sciocchezze smentite nel giro di qualche settimana dalla realtà e l’ossessivo ricorso alla forza militare come strumento per la soluzione dei problemi più diversi, fino a scatenare guerre per guadagnare voti.

La depressione universale delle sinistre negli stessi anni, non ha risparmiato Israele, dove l’opposizione a queste politiche avventuristiche e all’evidente spinta alla colonizzazione della West Bank a creare un “fatto compiuto”. Che é inaccettabile per chiunque non sia perso nel viaggio di quel nazionalismo a sfondo religioso che in Israele ha preso in ostaggio le fragili istituzioni democratiche, di fatto esautorate dal mantenimento di uno stato di guerra artificiale quanto eterno.

Da decenni Israele potrebbe evitare qualsiasi conflitto armato ed è evidente che i più recenti sono stati smaccatamente scatenati per basse ragioni di politica interna, perché alla popolazione in stato di guerra permanente devi dimostrare che sei disposto a fargliela pagare, a tutti quelli là fuori che ci vogliono distruggere. Il problema per Israele è che a questa paranoia collettiva non si accompagnano solo le conseguenze già tradizionalmente preoccupanti degli unanimismi nazionalisti, ma che oggi i partiti d’ispirazione religiosa hanno decisamente preso il controllo di pezzi fondamentali delle istituzioni e stanno cercando di adeguare l’assetto istituzionale del paese alla loro visione dell’ebraismo e della sua interpretazione fondamentalista.

In un paese con sette milioni e mezzo di abitanti, due milioni di ortodossi pesano molto; a maggior ragione se poi il governo deve essere formato necessariamente da coalizioni di partiti, il più “pesante dei quali ha raccolto settecentocinquantamila voti e ventotto seggi sui centoventi disponibili. Partiti che raccolgono la metà di questi voti sono decisivi e ce ne sono almeno due che rivaleggiano nello spingere Israele vero il medioevo.

Sono arrivati al governo in massa con Netanyahu, che si è accollato una bella compagnia di fuori di testa insieme a “Terror” Lieberman, ministro degli esteri. Alla Knesset, il Parlamento, vola di tutto e attualmente c’è in discussione il tentativo da parte degli ortodossi di attribuire l’autorità sulle conversioni proprio al rabbinato ortodosso. Un’idea folle che consegnerebbe agli ortodossi il potere di stabilire chi sia ebreo, almeno ai fini dell’acquisizione della cittadinanza israeliana. Un’azione che unita al tentativo di sopprimere la legge, che prevede la cittadinanza automatica ai discendenti di ebrei consegna un potere enorme agli ortodossi.

Come possa il governo Netanyahu svendere parte dello storico impianto ideologico-istituzionale e una peculiarità come la concessione della cittadinanza a una fazione religiosa, attiene sicuramente alla miseria degli scambi politici più bassi; ma questo genere di azioni si moltiplicano di mese in mese senza una significativa opposizione della popolazione non-ortodossa. Sul fronte interno l’unanimismo patriottico è marmoreo, chi non è d’accordo con il governo è contro Israele, un traditore.

La cosa non è piaciuta agli ebrei della diaspora, che hanno il loro peso, ma che all’interno della Knesset non ci sono e che pensano con sgomento all’idea di una Israele come casa degli ortodossi, che non sono d’accordo nemmeno sull’ebraicità di molte fazioni concorrenti che ritengono semplicemente impuri e contagiosi i laici.

Solo poche centinaia di persone partecipano ormai a manifestazioni per i diritti civili o contro la politica di colonizzazione o contro le ultime guerre e, spesso, sono soggetti ad aggressioni a sfondo politico o, più semplicemente, ad una rude repressione. Sembra che l’intero paese fatichi a rendersi conto di queste evoluzioni, sia perché ostaggio della paranoia, sia perché non è per niente facile fare opposizione o mostrarsi diversi quando ti definiscono traditore o ti sputano per strada.

Sono state proposte leggi che puniscono severamente chi simpatizzi per la campagna di boicottaggio ad Israele o per quei professori che condividano l’opinione dei loro colleghi internazionali sull’occupazione e si battono per contrastarla e, dove non arriva la censura militare, le cattive notizie s’infrangono su un’opinione pubblica a prima vista impermeabile a qualsiasi disfattismo.

In Israele oggi non ti sputano solo se dissenti, ti sputano anche se non sei abbastanza “modesto” e ti molestano in ogni maniera se non hai rispetto delle molteplici prescrizioni e credenze religiose dell’ortodossia. Ci sono quartieri nei quali le donne devono sedere sul fondo degli autobus e nei quali non è bene per le signore avventurarsi esponendo le proprie grazie, pena insulti e aggressioni. Il potere e l’influenza degli ortodossi dilaga, manifestano in massa ogni volta che sentono odor di sacrilegio e dove non ottengono il privilegio per vie legali, forzano la mano senza temere punizioni, che tanto non arrivano.

La loro ossessiva tendenza a regolamentare ogni aspetto della vita secondo le prescrizioni della Torah, tira dritto verso il medioevo, in direzione opposta alla storia della “unica democrazia”dell’area, verso una repubblica teocratica retta dal rabbinato ortodosso. Il fatto che Israele non abbia ancora una Costituzione, induce ulteriori preoccupazioni per l’ulteriore istituzionalizzazione dell’ingerenza religiosa nello stato.

Al nazionalismo si somma quindi il fanatismo religioso, con effetti perversi, ancora di più nelle colonie, dove spesso gli ortodossi costituiscono il nerbo degli insediamenti e il fertilizzante della loro crescita, visto che molti di loro non possono lavorare per precetto religioso e che apprezzano le famiglie numerose. Alimentati dalle casse dello Stato come massa colonizzante al servizio dei generali, sono diventati forza di riferimento nell’imponente (per i numeri israeliani) trasferimento di popolazione oltre i confini riconosciuti, in quei territori che nessun paese o istituzione internazionale al mondo riconosce come israeliani. Dice il rappresentante di Nordkin, una colonia vicino a Betlemme che ospita ortodossi e non, di origine russa, che l’insediamento ha rifiutato a grande maggioranza l’arrivo di famiglie non sufficientemente osservanti. A Nordkin, Lieberman ci ha preso casa e i non-ortodossi sembrano non aver voce in politica.

Così il rappresentante ufficiale della colonia, che vive e prospera grazie alla protezione e ai fondi di un paese che in teoria ripudia il razzismo, può dire senza timore di sanzioni o di sollevare scandalo che: “Il problema più grande é che, se accetti dieci famiglie nelle quali la madre non è ebrea, presto ci saranno trenta bambini e domani tuo figlio potrebbe innamorarsi della bella ragazza della porta accanto: è un vero problema. È già abbastanza difficile con le dozzine di terroristi che entrano ogni mattina”. (leggasi i palestinesi che lavorano per i coloni ndr). E prosegue: “Dobbiamo separarci dai gentili nel commercio e in tutto il resto, soprattutto nel vivere con loro. Potrebbe portare all’assimilazione o all’idolatria. Apre la porta a ogni genere di problemi. Potrebbero spingerci a commettere peccati che gli ebrei normalmente non commettono, come l’idolatria, l’incesto e tutte le altre perversioni di ogni genere. Per questo qui non c’è posto per loro.” Questo delirante discorsetto è tradotto da Haaretz.com.

È appena il caso di far notare che le stesse parole pronunciate in un contesto occidentale sarebbero considerate razzismo puro, ancora di più se l’oggetto dell’ostracismo fossero famiglie respinte perché ebree. Questo è il contesto culturale e sociale prodotto dagli estremisti religiosi nella sua brutale pochezza.

Purtroppo gli ortodossi non si limitano ad auto-segregarsi, ma hanno la tendenza a considerare le loro regole come le uniche appropriate per Israele e si applicano moltissimo allo scopo, nelle più lontane colonie come nel centro della metropoli, Gerusalemme. Per questo anche Anat Hofman, rappresentante di un gruppo di preghiera femminile, Le Donne del Muro, è stata prima aggredita e sputacchiata e poi arrestata per aver trasgredito una sentenza dell’Alta Corte che le vietava di leggere la Torah al Muro del Pianto, infrangendo un divieto stabilito ancora una volta dagli ortodossi che, da tempo, operano per a trasformare un monumento nazionale accessibile a tutti gli ebrei in un tempio all’interno del quale valgono le regole dell’ortodossia più stretta.

Una tale deriva spinge lontano dalle soluzioni auspicate internazionalmente o lontanamente accettabili per i palestinesi. Il sogno degli ortodossi è infatti un solo Stato dal quale siano possibilmente espulsi o emarginati tutti quelli non abbastanza ebrei, trasformando il paese in senso teocratico e provocando una frattura da antiche guerre di religione all’interno dell’ebraismo.

Una brutta aria per gli arabi israeliani, ma anche per gli altri israeliani, che al danno aggiungono la beffa di dover finanziare con le loro tasse lo stile di vita degli ortodossi, in gran parte a carico dello stato sociale. Di tutti i molteplici divieti uno solo è stato sollevato dal clero ortodosso, quello di arruolamento volontario nell’esercito per gli uomini, che al pari delle donne sono esentati dal servizio militare per motivi religiosi.

Le uniche forze in grado di contrastare questa inarrestabile avanzata sembrano gli Stati Uniti e quella, minore e comunque rilevante, della diaspora. Gli Usa garantiscono un ombrello legale con diritto di veto esercitato in automatico all’ONU e la protezione, l’assistenza militare e i finanziamenti dell’unica superpotenza mondiale.

C’è molto che gli Stati Uniti possono mettere sul piatto per far capire a Netanyahu e a Israele che la situazione si sta deteriorando oltre il tollerabile e che Israele nel medioevo non lo vuole nessuno. L’Unione Europea si è già incamminata in quella direzione, ma l’amministrazione Obama ancora arranca, esita, intimorita dalla sfacciata doppiezza di Netanyahu e distratta altre questioni. Nemmeno il Segretario di Stato H. Clinton sembra avere lo spunto giusto. Forse a qualcuno Israele piace proprio così.