Haiti contro la Monsanto

di Mariavittoria Orsolato
da www.altrenotizie.org

“Un nuovo terremoto” così il leader dei contadini haitiani Chavannes Jean-Baptiste ha definito il dono che la Monsanto – l’arcinota multinazionale agrochimica specializzata in OGM – ha destinato alle popolazioni colpite dal disastro dello scorso 12 gennaio. Sessantamila sacchi, 475 tonnellate circa di semi ibridi, per un valore complessivo di 4 milioni di dollari, che però i contadini sono caldamente invitati a boicottare.

Quella dei paysans haitiani è infatti una vera e propria protesta, maturata dall’idea che, con il pretesto dei soccorsi e della ricostruzione post-sisma, grandi multinazionali, come appunto la Monsanto, si vogliano inserire forzosamente nell’economia locale, un’economia prevalentemente a carattere di sussistenza che sarebbe irrimediabilmente 0000stravolta.

Secondo Chavannes, infatti, “le sementi rappresentano una sorta di diritto alla vita. Ecco perché oggi abbiamo un problema con la Monsanto e con tutte le multinazionali che vendono semi: semi e acqua sono patrimonio comune dell’umanità”.

Molti avranno sentito parlare della Monsanto a causa delle controversie che il suo metodo operativo ha aperto nello scenario degli OGM, scatenando le ire dei gruppi ambientalisti: essendo geneticamente modificati, i semi prodotti dalla multinazionale di St. Louis hanno sì grosse rendite in termini di dimensioni del raccolto o della resistenza a malattie e siccità, ma al contempo sono semi sterili, incapaci cioè di trasmettere le proprie caratteristiche agli esemplari figli; perciò chi decide di usare questo tipo di semenze è costretto, ad ogni semina, a comprare nuovi esemplari anch’essi sterili.

C’è però un altro problema ed è da questo che i contadini haitiani hanno mosso la loro protesta: per la naturale azione dei venti, le propaggini delle colture geneticamente modificate arrivano ad intaccare anche i prodotti di chi invece ha scelto di continuare a coltivare con il metodo biologico.

L’ MPP (il movimento dei paysans haitiani) si batte infatti per la sovranità alimentare – ossia per il diritto di ciascun Paese di definire in modo autonomo la propria politica agricola, il diritto delle comunità di decidere cosa produrre, e quello dei consumatori di poter consumare prodotti sani – e lo scorso 23 giugno un gruppo di agricoltori di Hince ha bruciato pubblicamente alcune sementi di mais ibrido donate del colosso dell’agrotecnologia, invitando i colleghi ad emularli.

Secondo il portavoce della società, Darren Wallis, è tutta una questione di buona fede: “Monsanto ha fatto questa donazione, in poche parole, perché era la cosa giusta da fare. Le necessità di Haiti sono significative e noi abbiamo i semi che potrebbero aiutare gli agricoltori a far crescere il cibo non solo per se stessi ma, con un raccolto abbondante, anche per i bisogni alimentari di altri cittadini haitiani”.

L’azienda ha poi sottolineato in un comunicato stampa che le sementi non sono geneticamente modificate, come sostengono Chavannes e i suoi paysans, ma ha ammesso che i semi sono stati in parte trattati con fungicidi e pesticidi, tra cui Maxim XO e tiramina (sostanze note per i loro effetti collaterali sulla salute umana).

“L’associazione che è stata fatta tra organismi geneticamente modificati e quello che stiamo facendo è completamente errata – dice Christopher Abrams della Agenzia USA per lo Sviluppo Internazionale (USAID) che sta contribuendo a distribuire le sementi – ma da allora, si sono generate opinioni tra la popolazione sul significato presunto di questa operazione”. E il significato presunto è, secondo Chavannes ma anche secondo il più semplice dei sillogismi, che “i nostri agricoltori smetteranno di essere autonomi e dovranno dipendere da una multinazionale come la Monsanto o altre multinazionali che vendono semi” e così dicendo il eader dell’MPP accusa anche il presidente haitiano René Préval di “collusione con l’imperialismo”, nell’intento di svendere il patrimonio agricolo nazionale.

Non è, infatti, sviluppo sostenibile quello che pretende di legare a doppio filo una realtà rurale come quella di Haiti con le teste di serie dell’universo multinazionale: costretti a pagare ciclicamente per delle sementi altrimenti gratuite, i contadini sarebbero comunque coattati ad attrezzarsi per il nuovo tipo di coltura e ad approvvigionarsi perciò all’azienda madre, la Monsanto appunto.

Ma c’è di più: nel momento in cui un agricoltore decide di servirsi dei semi prodigiosi della Monsanto, deve firmare una sorta di contratto in cui si impegna a non tenere da parte i semi e a non venderli a terzi: una semplice formalità, secondo molti, che cela però uno stretto controllo, espletato, secondo svariati testimoni, da un vero e proprio esercito di investigatori privati che segretamente acquisiscono immagini e video dei contadini.

La paura dei paysans haitiani è infatti quella di finire come i colleghi americani cui la Monsanto ha indirizzato ben 112 querele per un totale di 21,5 milioni di dollari di risarcimento: in breve, la multinazionale ha citato in giudizio tutti quei contadini che, dopo aver adottato il loro sistema, hanno contaminato i raccolti circostanti per effetto della naturalissima impollinazione che, da che mondo è mondo, permette di riprodurre le piante.

La multinazionale di St.Louis è a un passo dal monopolizzare il mercato delle sementi ed il pericolo più tangibile è che con l’adozione sempre più massiccia di tale tipo di coltivazione la semina convenzionale scompaia, rendendo la Monsanto di fatto padrona dell’approvvigionamento agricolo. Haiti è già una terra abbastanza martoriata ed è normale che questo dono, apparentemente disinteressato, venga considerato un cavallo di Troia.