Sultani, nanetti e chierichetti

di Loredana Biffo
da www.womenews.net

Ci risiamo. Il machismo imperante dell’ Italietta bersusconiana composta da baciamani, baciapile e sciovinisti – leghisti – ipocriti, è di nuovo sulla cresta dell’onda.

A “prima facies” verrebbe da dare in escandescenza, poi però la nausea prende il sopravvento, lo spettacolo del “baciamo le mani” da parte del nanetto calvo, al beduino incartapecorito, è una roba da far venir voglia di emulare Santa Maria Goretti, che si è suicidata pur di non cedere al suo seduttore.

Come se in questo paese non ne avessimo già abbastanza di come viene svilita e degradata l’immagine femminile ad ogni occasione. Dalla pubblicità, di cui non se ne può più, alle esternazioni del premier su donne da lui giudicate avvenenti o meno.

Certo, ci mancava pure il dittatore libico che ci venisse a raccontare che la donna in Libia è più rispettata che in Europa. E’ probabile che lui, il Muammar Gheddafi, al suo paesello non sfoggi troppi culi e tette in televisione, che non candidi in politica le escort, ma in quanto a rispetto per le donne, lui e Berlusconi sono uno l’alter ego dell’altro, interscambiabili, naturalmente.

Ma dove saranno finiti quei “bei tosi” supercelodurissimo dei leghisti che sbraitavano: “difendiamo le nostre donne!”, forse sono tutti in vacanza in Libia?
O forse saranno impegnati a contare i soldoni degli investimenti libici che presto potrebbero arrivare in Italia a rafforzare la crescente presenza nelle nostre banche, società industrie in combinazione con la corsa delle imprese italiane a realizzare le infrastrutture del paese nordafricano. Il leader libico incoraggia i libici con risorse finanziarie a venire in Italia per investire.

Ma al cospetto del dittatore, c’erano proprio tutti. A pochi passi, il dittatorello nostrano Silvio Berlusconi, l’Ad di Unicredit Alessandro Profumo (di cui i libici sono ormai il “primo socio” con il 7% del capitale), Poi, Jonella Ligresti, il presidente di Telecom Gabriele Galeteri, per i vertici Enel, Piero Gnudi e Fulvio Conti che ha detto: “il gruppo ha interessi potenziali in libia”.

C’era perfino il presidente di Impreglio che realizzerà insieme ad altre 20 imprese italiane (fra cui Todini, Salini, Condotte e Cmc); il numero uno di Finmeccanica Pierfrancesco Giarguaglini, il numero due di Eni, Claudio Descalzi, il cui gruppo ha un rapporto più che consolidato con la Libia, di recente il colosso italiano ha annunciato investimenti sul posto per 25 miliardi di euro.

La razionalità commerciale e la logica vogliono che “se il cliente paga, ha ragione”, quindi Gheddafi può venire in Italia pensando di essere a puttanopoli, tanto nessuno lo contraddice.

Nemmeno la nostra cara gerarchia vaticana dà troppo peso alla cosa, più che altro infastidita sulla desiderata islamizzazione dell’ Europa da parte di Gheddafi, ma non certo per gli insulti alle donne italiane, che del resto non ha a sua volta esitato a definire un “pericolo” per il sacerdozio al femminile, vade retro, non sia mai!

Nel frattempo alle donne europee arrivano gli onori e i salamelecchi del giornale filo-governativo “Kayhan” dell’ Iran, che definisce “prostitute” nientemeno che la moglie del presidente francese Sarkozy (cosa che dovrebbe, dico “dovrebbe”, far infuriare il presidente francese) e l’attrice Isabelle Adijani, ree di aver sostenuto la causa in difesa di Sakineh Mohammadi Astiani, la donna iraniana condannata dalle autorità di Teheran, alla lapidazione per adulterio.

Vi sarebbe molto da riflettere su questi episodi, su questa drammatica involuzione dei diritti delle donne. E’ utile ricordare che nella costituzione della repubblica islamica, sono designati i: “Diritti degli uomini”, e i: “Doveri delle donne”. E che l’slamizzazione dell’occidente è l’obbiettivo primario dei regimi fondamentalisti.

Poiché l’ordine sociale funziona come un’immensa macchina simbolica tendente a ratificare il dominio maschile sul quale esso si fonda, è più che mai necessaria una consapevolezza femminile, che chiami le donne ad assumere una posizione inequivocabile e determinata, all’interno della lotta contro tutte le forme di dominio e di violenza maschile.
Perchè ogni qualvolta i dominati accettano schemi che sono il prodotto del dominio, i loro pensieri e azioni, sono inevitabilmente conformi alle strutture stesse del rapporto di dominio che subiscono, i loro comportamenti divengono atti di riconoscenza e di sottomissione, senza che se ne rendano consapevoli.

A tal proposito è doveroso ricordare che a Herat, in Afghanistan, sempre più numerose sono le donne che si danno fuoco per liberarsi “dalla condizione di essere donna”. Del resto, anche lì, come in altri paesi islamici, non nascere uomo, può voler dire che prima o poi per disperazione, potresti cospargerti di benzina il burqua, e compiere l’autoimmolazione.

Si tratta di un gesto estremo che se ti lascia viva, si tramuta in una ulteriore dannazione. Una donna sfigurata infatti, non ha “valore di mercato”, perschè non può essere data in sposa a nessuno, e per la famiglia diventa solo un costo, un fardello.
Queste sono le storie di Halima Abdul Rasul di 20 anni (madre di una bambina di 6 mesi), ma che ne dimostra 50. Si è data fuoco una settimana fa.

Mah Jan Abdul Mamid di 16 anni, alla quale restano poche ore da vivere a causa delle gravi ustioni, suo padre l’ha data in sposa tre anni fa come fosse una “merce” di scambio, per poter sposare una seconda moglie. Il dottor Aref Jalali dello staff della struttura, mentre cura le ferite di Sohalia Hossein di 20 anni, dice che le donne quando sopravvivono alle ustioni, spesso muoiono in seguito a infezioni, o per l’intossicazione del fumo che hanno respirato dandosi fuoco.

Lo scorso anno, dice, abbiamo avuto 95 casi di immolazione, si sono salvate solo il 25%, rimanendo però sfigurate, con tutto quel che ne consegue. Quest’anno il bilancio è più alto. E il numero delle donne che che si danno fuoco, è destinato ad aumentare.