La Costituzione, il lavoro e il precariato

Comunità dell’Isolotto – Firenze, domenica 27 febbraio 2011

La Costituzione, il lavoro e il precariato

riflessioni di Carlo, Claudia, Gisella, Luisella, Maurizio
con i contributi di Marta Garro e Chiara Mellini

 
1. Letture dal Vangelo. 1

2. E venne ad abitare – precario – in mezzo a noi 2

3. Premessa. 2

4. Intervento di Chiara e Marta. 3

5. Video “Caro Parlamento” (che vediamo insieme) 3

6. Marta e Chiara: le iniziative sul Precariato. 3

Appendice. 5

Gli articoli della Costituzione commentati nel Documentario “Caro Parlamento”. 5

Breve storia sulle riforme del lavoro e la nascita del precariato. 6

1. Letture dal Vangelo  

Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra:

“Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. [Matteo 25, 31-46]

 Riflessione: abbiamo scelto questa lettura perché oggi all’elenco dell’avevo fame, avevo sete, ero malato, ero straniero, ero carcerato … possiamo/dobbiamo aggiungere “ero precario” e le alternative sono “mi avete sostenuto, incoraggiato, e avete partecipato alle mie lotte e rivendicazioni” oppure “ero precario … e mi avete deriso, sfruttato, negato ogni dignità e futuro”.

2. E venne ad abitare – precario – in mezzo a noi 

 

Caro Gesù Bambino,  dicembre 2010

c’è una categoria di persone le cui fila si ingrossano sempre più nel nostro Paese: i precari. Quelli cioè che devono pregare per ottenere qualcosa. Operai, disoccupati, inoccupati, cassintegrati, ricercatori, insegnanti, universitari, studenti, immigrati … messi nella condizione di supplicare quello che spetta loro di diritto. In questi ultimi mesi molti di essi sono saliti sui tetti, sulle ciminiere, sulle isole, sulle gru, per riaffermare la propria dignità umana e gridare il proprio disagio di precari.

            Dai tetti ci sono apparsi non più semplici precari, ma giganti di umanità. Allora ho pensato: se quest’anno Tu dovessi nascere nuovamente, sceglieresti di farlo proprio sui tetti della disperazione e della dignità; e da lì ci chiederesti di aiutarti a “gridare” la nostra speranza, come ci racconta l’evangelista Matteo (10, 27).   […]

            Perciò nel Presepe della mia parrocchia, quest’ anno, sei nato sul tetto della stalla, per condividere la disperazione di tanti “invisibili” che sono dovuti salire sui tetti delle fabbriche, delle scuole, delle università, dei laboratori di ricerca, per farsi vedere e sentire.

            E i Magi sono appollaiati su una gru, come quei fratelli migranti che da Brescia ci hanno fatto vergognare di essere italiani e cristiani.

            Separare, dividere, alzare steccati: noi egoisticamente in paradiso, gli altri inesorabilmente all’inferno. E invece, dobbiamo aprire bene i nostri orecchi al Tuo annuncio antico e sempre attuale: ha inizio il melting pot tra l’uomo e Dio, è già incominciato il meticciato di Dio. E Tu continui a ripeterci, senza stancarti: “Gridatelo dai tetti” … e dalle gru!                  

                                                                                                                      don Vitaliano Della Sala

 

3. Premessa 

Continuando il filo conduttore che il nostro gruppo si è dato, cioè un’analisi degli articoli della Costituzione Italiana, questa volta abbiamo scelto quelli che riguardano il tema del lavoro, per capire se possiamo ancora dire (come recita l’art.1) che “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro” e, se non è più così, se possiamo fare qualcosa insieme e come, perché, invece, questo articolo venga applicato.

In Italia il 29% di chi ha tra i 15 e i 24 anni (non contando chi va a scuola) è senza lavoro. I dati ufficiali riportano che il tasso di disoccupazione, da noi, sembra restare stabile (attorno all’8,6%) e inferiore a quello europeo che, di media, è il 10%.

Ma, se invece dei disoccupati guardiamo gli occupati stabili, questi sono il 57% rispetto alla massa della popolazione in età di lavoro. Infatti, oltre al precariato, c’è tutta una fascia di persone che, scoraggiate, il lavoro non lo cercano più.

Nel gruppo dei disoccupati colpiti dalla crisi a restare fuori sono soprattutto le donne e i lavoratori precari che non si sono visti rinnovare i contratti a tempo o le collaborazioni (Dati del “Manifesto” del 2 febbraio 2011).

Il quotidiano “Repubblica” dell’11 febbraio 2011 riporta le parole di Laura Mannucci, responsabile delle politiche giovanili del PD senese, che ci sembrano molto importanti:

Non serve inserire studenti e precari nelle liste elettorali, perché la vera autonomia si ottiene dal lavoro, altrimenti un giovane non conta niente. Non siamo una categoria da assistere, ma una risorsa su cui investire”.

Per approfondire e ampliare il tema del lavoro proposto recentemente nell’incontro con Gramolati proponiamo uno spaccato sul lavoro precario.

Siamo entrate in contatto con Chiara e Marta, lavoratrici precarie, che fanno parte dell’Associazione Correntealternata (di cui loro stesse parleranno) che ci hanno fatto vedere un Documentario “Caro Parlamento” molto interessante girato da Giacomo Faenza di cui vediamo insieme uno stralcio.

 

4. Intervento di Chiara e Marta 

Quando nel 2007, Marta ed io abbiamo deciso di mettere su l’associazione CORRENTE ALTERNATA il nostro interesse era dato dal desiderio di darsi  parola rispetto al nostro essere donna nel mondo. Cosa ci ha unite è stato un comune interesse per le istanze del femminismo e la volontà di apportare un nostro punto di vista di genere nelle cose che facevamo. Abbiamo iniziato dal tema del precariato, per tanti motivi. Uno dei quali è dato da una ricerca ed elaborazione che iniziai negli anni precedenti alla costituzione dell’associazione e che mi ha permesso di misurarmi con la dimensione lavorativa che ho sempre vissuto portandola come tema di confronto ed elaborazione dentro l’associazione. La dimensione lavorativa da me vissuta è rappresentata per ciò che attiene alle caratteristiche “contrattuali” dall’intermittenza temporale. Mentre il contenuto di ciò che ho svolto è in prevalenza un ambito che ho scelto, le modalità di impegnarmi in tale ambito sono regolate e condizionate da fattori che esulano dalla sfera di un mio possibile intervento. Tale aspetto comune a tutti i lavori precari costituisce anche il terreno di confronto con Marta che abbiamo voluto contaminare con il pensiero della differenza e con le istanze del femminismo. L’estraneità dal cambiamento o l’impossibilità ad intervenire sulle pratiche del lavoro che ognuna di noi porta avanti  ostacola la necessità di elaborare una propria posizione sia in relazione ai propri diritti che ai propri doveri. Per tale ragione è qui che Marta ed io abbiamo iniziato a parlare di lavoro precario. Oltre alla caratteristica di intermittenza temporale dei contratti di lavoro e quindi conseguentemente della propria esistenza tutta, la precarietà si basa su un approccio fortemente individualistico. Approccio individuale che può consentire accessi a professioni e ambiti di intervento non esclusivamente per merito, difficoltà a rivendicare o solo contrattare i propri diritti, agire per logiche indirizzate esclusivamente al soddisfacimento di obiettivi personali. In questo contesto con Marta abbiamo deciso nel 2009 di organizzare il Cineforum COME QUANDO E DOVE? Presso la casa del popolo di Settignano in cui per la prima volta abbiamo fatto vedere il documentario di Faenza. La scelta era data dal paradosso che viene rappresentato nel film, ovvero il testo che fonda la nostra repubblica si basa su principi che non trovano giustificazione nelle pratiche quotidiane, per ciò che attiene al primo articolo della nostra costituzione. Il documentario proposto da Marta rappresenta una delle modalità con cui abbiamo cercato di comprendere e confrontarci rispetto alle problematiche connesse con il lavoro.

Lascio la parola a Marta che vi introduce il documentario e le parti che insieme alla Comunità dell’Isolotto abbiamo scelto. Dopo la visione vorremo proseguire a parlare di questo documentario, magari spiegandovi il perché delle parti che abbiamo scelto, la nostra posizione in proposito e alcune ipotesi per proseguire a discuterne.

5. Video “Caro Parlamento” (che vediamo insieme) 

“Caro Parlamento” è un documentario di Giacomo Faenza sui giovani e il lavoro nell’Italia del 2008. Per realizzarlo sono stati intervistati 158 cittadini italiani di età compresa tra i 20 e i 40 anni, donne e uomini di ogni parte d’Italia. Prodotto dalla Jean Vigo Italia, dura circa 55 minuti. Vi vengono presentati gli articoli della Costituzione che parlano di lavoro, seguono le interviste dei giovani che descrivono la loro difficile situazione economica e lavorativa, ragionano su un futuro lavorativo sempre più incerto e segnalano al Parlamento i problemi di lavoro più urgenti da risolvere.[1] 

 

6. Marta e Chiara: le iniziative sul Precariato 

Per riprendere il discorso di Chiara su come è nata Corrente Alternata e sul percorso fatto fin qui, il nostro interesse primario è stato, fin dall’inizio, quello di misurarci con l’esterno sul tema della diversità di genere, su quello che per noi vuole dire, in ogni ambito della vita quotidiana e della riflessione teorica, guardare il mondo attraverso sguardi diversi- per sesso, genere, cultura, razza, condizione sociale, lavorativa, economica…Attraverso, cioè, quelli che la teoria femminista chiama i nostri molteplici posizionamenti, che necessariamente condizionano e nutrono quello che siamo e ciò che della realtà vediamo e raccontiamo. Essere donne, uomini, eterosessuali, bianchi, omosessuali, islamici, cattolici, neri, disoccupati, benestanti- fa sempre la differenza e nessuna delle nostre posizioni nel mondo è neutra, né unica, né monolitica.

A partire da quest’idea, ci siamo orientate, da un lato, verso attività che non solo mettessero in atto progetti formativi, culturali e di rilevanza sociale, ma che fossero anche azioni di diffusione, di informazione o di controinformazione. Dall’altro, sempre di più, è cresciuto il desiderio di mettere in atto azioni concrete che avessero una ricaduta nelle vite delle persone e che potessero dare delle risposte ai bisogni delle persone.

Come introduceva Chiara, una tappa importante di questo percorso è stata proprio l’organizzazione del Cineforum “C O M E, D O V E, Q U A N D O? Il lavoro ai tempi del precariato”, durante il mese di Marzo 2009 presso la Casa del Popolo di Settignano. E’ stato in quel momento, infatti, che l’interesse per il tema del lavoro, precario e declinato al femminile, ha preso forma e in qualche modo una direzione più definita nella nostra associazione. Programmando le quattro proiezioni del mese (i corti delle Badhole, gruppo di giovanissime torinesi; Caro Parlamento, di G.Faenza; Uno virgola due, di S.Ferreri; Manoore- Donne al lavoro ai tempi della globalizzazione, di Daria Menozzi) abbiamo cercato di confrontarci con i lavori recenti di registi/e sull’argomento del precariato, affrontato guardandolo da prospettive molto diverse e con strumenti narrativi differenti. E anche in questo senso il cineforum è stato l’inizio di una ricerca che per noi continua più che mai oggi- quella cioè di costruire un dialogo sui temi che ci interessano con persone, realtà, associazioni, modalità e contesti tra loro anche diversissimi ma che se messi in relazione possono davvero creare qualcosa di nuovo.

Abbiamo iniziato il ciclo di proiezioni con il documentario di Faenza, la cui visione ci ha offerto molti spunti di riflessione.

Storie singole, destino comune? La narrazione, organizzata in capitoli, si svolge su due piani: da un lato le storie individuali, dall’altro l’orizzonte del racconto collettivo offerto dagli articoli della Costituzione italiana. Da un lato ci sono le storie dei singoli, narrate “partendo da sé”, frammentate nella sequenza incalzante dei volti in primo piano che sottolineano l’individualità e la separatezza delle esperienze di ognuno. Dall’altro ci sono gli articoli della nostra Costituzione, che riportano il discorso sul lavoro precario all’interno di un contesto collettivo, istituzionale, che rimanda alla vita politica e alla storia condivisa del nostro paese.

I due piani sono anche quelli della favola raccontata- quello che dovrebbe essere- e della realtà così com’è: quella delle leggi sul lavoro fatte in questo paese negli ultimi 20 anni; del ruolo dei sindacati e delle scelte politiche; della fatica di un’intera generazione- anzi almeno 3- nel trovare una collocazione lavorativa dignitosa e sostenibile.

Sono due piani che stridono, che marcano una contrapposizione, che non si integrano in un racconto armonico. Ecco, questa frattura ci è sembrata uno spunto interessante perché apre- e non risolve- delle questioni.

Partire da sé. Prima tra tutte la questione, fondante del pensiero femminista, del partire dal racconto di sé, della propria storia e della propria esperienza come fondamento teorico e metodologico ancor prima che come pratica quotidiana. In Caro Parlamento abbiamo ritrovato questa modalità e ci è piaciuta: ci sembra fondamentale iniziare il discorso sulla precarietà ascoltando quello che i lavoratori precari hanno da dire di sé, quello che sperimentiamo tutti i giorni sulla nostra pelle: la fatica, l’ansia, l’incertezza, l’impossibilità di fare progetti a lungo termine. Ormai però raccontare queste storie è diventato anche un genere giornalistico che nasconde il rischio della “litania delle sfighe”, della vittimizzazione e del lamento sterile. Questo è il passaggio che ci sembra importante sottolineare: il racconto di sé non può restare fine a sé stesso ma deve diventare un percorso di consapevolezza per generare reazioni positive, critiche, costruttive.

E’ solo facendo questo salto che la storia individuale di ognuno può ricollegarsi a quella di persone che vivono una realtà simile, ad un discorso politico collettivo, ad un racconto condiviso che offre soluzioni possibili.

Riprendendo quello che diceva Chiara e una delle interviste del documentario, la frammentazione e l’individualismo è davvero connaturato al precariato: “farcela da soli, senza aiutare nessuno, senza chiedere aiuto a nessuno”.

Responsabilità sociale e senso di colpa individuale. “Se tutto va male, il primo ad andare male sei tu”; “Di te non c’è bisogno: quello che fai non ha senso, dunque tu non hai senso”; “Il precario è un malato”. Sono alcune delle frasi tratte dalle interviste del documentario e che rimandano ad un senso di frustrazione, di fallimento e di colpa che è molto frequente ritrovare nelle parole dei precari, giovani e no, in tutti i settori e in tutti gli ambienti. Pensare di aver sbagliato qualcosa- e che sicuramente un po’ te lo meriti se non hai ancora trovato lavoro- è quasi inevitabile ed è l’altra faccia del mito potentissimo con cui, dagli anni 80, siamo cresciuti: quello del farsi da soli, delle possibilità infinite, dell’atto creativo continuo che ci avrebbe permesso di essere sempre “sul mercato” (giovani, belli, e splendenti). E nascosti dentro a questo mito si ritrovano i due piani del discorso sul precariato- quello che punta all’individuo, che tutto potrebbe e di tutto ha colpa e quello dell’agire collettivo, della responsabilità sociale e politica di una situazione complessa di cui tutte le parti in gioco sono necessariamente protagoniste.

Rinominare il lavoro. “Che significa precario? Che significa contratto a progetto?” si domanda Christian Mauro intervistato da Matteo Nucci (Il Venerdì di Repubblica, 13 febbraio 2009) “[…] è una parola che non significa nulla. E il contratto che non è un contratto? E il progetto che non c’è mai? Perchè usare termini di questo genere? […] Se io parlo di rapporto di subordinazione, anziché di collaborazione, definisco in maniera dialettica, indico chiaramente una condizione. E soprattutto lascio aperta la possibilità di una rivendicazione politica, che invece a partire da parole usurate e neutre è impossibile”.

altre riflessioni rispetto al film:

–  (consapevolezza sui diritti, individualismo, la ricerca del lavoro come lavoro, passione e lavoro) [Chiara]

– proposte (cosa stiamo facendo “Firenzeprecaria”, laboratorio dei precari, punto donna precaria) [Chiara e Marta].

 

Appendice

 

Gli articoli della Costituzione commentati nel Documentario “Caro Parlamento”

Art. 1 – L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.

La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Art. 3 – Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Art. 4 – La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.

Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

Art.21 – Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.

La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.

Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili.

In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all’autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s’intende revocato e privo di ogni effetto.

La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.

Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.

Art. 31 – La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose.

Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo.

 

Art. 36 – Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.

La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge.

Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.

Art. 37 – La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale e adeguata protezione.

La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato.

La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione.

Art. 50 – Tutti i cittadini possono rivolgere petizioni alle Camere per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità.

 

Art. 54 – Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi.

I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle, con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.

Breve storia sulle riforme del lavoro e la nascita del precariato

La riforma Treu (legge n.196 del 1997): La riforma Treu ha introdotto nuove forme di lavoro con lo scopo dichiarato di avvicinare il sistema occupazionale italiano a quello dei sistemi europei ritenuti più innovativi perché caratterizzati da una maggiore flessibilità. L’idea sottostante è che il modello italiano identificato nel “posto fisso” (contratto a tempo indeterminato, certezza di avere un’occupazione per la “vita”, garanzia di pensione e dei contributi sociali) abbia determinato un forte calo della produttività e della competitività delle imprese italiane private e pubbliche e abbia ostacolato l’ingresso dei giovani nel mmondo del lavoro, favorendo allo stesso tempo il lavoro nero. 

La cura proposta era quella di introdurre, anche in Italia, un sistema caratterizzato da maggiore flessibilità; una maggiore flessibilità che avrebbe favorito l’accesso dei giovani nel mercato del lavoro e l’emersione del “lavoro nero”.

La legge Treu introduce così nuove forme di occupazione flessibile (i cosiddetti contratti atipici) come i contratti di collaborazione coordinata continuativa (co.co.co) e il lavoro interinale; estende l’uso dei contratti a termine e dei contratti a tempo parziale, allunga la durata dei contratti di formazione-lavoro nelle aree depresse, lo sviluppo di contratti di apprendistato, etc..). Si tratta di contratti che quasi azzerano l’obbligo per i datori di lavoro di pagare i contributi sociali garantiti con i contratti tipici: i contributi pensionistici, ferie, tredicesima, liquidazione, maternità, infortuni, etc.

Negli anni immediatamente successivi alla riforma si assiste così al boom della contrattazione atipica e in particolare ai contratti co.co.co (contratti con i quali il datore di lavoro instaura con il collaboratore un rapporto a metà tra il lavoro autonomo e il lavoro subordinato, consentendo al datore di lavoro di evitare oneri e obblighi propri del rapporto di lavoro pienamente subordinato).

L’abuso di queste forme di lavoro fa emergere sullo scenario del mercato del lavoro italiano il termine di “Precariato”.

La Riforma Biagi (legge n.30 del 2003): formalmente la legge n.30/2003 dovrebbe essere indicata come “Legge Maroni” essendo Maroni il Ministro del Lavoro del governo Berlusconi firmatario della legge.

La legge è così chiamata perché si fonda sulle proposte presenti nel “Libro Bianco sul mercato del lavoro. Proposte per una società attiva e per un lavoro” redatto da un gruppo di esperti coordinati da Marco Biagi e Maurizio Sacconi.

La riforma Biagi parte dal presupposto secondo il quale la flessibilità in ingresso del mercato del lavoro è il mezzo migliore per agevolare la creazione di nuovi posti di lavoro e che la rigidità del sistema crea alti tassi di disoccupazione.

La riforma ha ridisegnato gli istituti come il tempo determinato, il part-time e l’apprendistato.

Ha inserito nuova forme come il lavoro somministrato a tempo determinato (ex lavoro interinale) e il contratto di inserimento (ex formazione lavoro) e il lavoro a chiamata, il lavoro ripartito e la somministrazione di lavoro a tempo indeterminato.

Inoltre il famigerato contratto di collaborazione a progetto, il co.co.pro (che non prevede la subordinazione ma un progetto specifico determinato dal committente).

La legge Biagi è stata e continua a essere oggetto di dibattiti.

In particolare, secondo i difensori, la legge Biagi comporta i seguenti benefici:

  • con la legalizzazione del lavoro flessibile si ottiene una crescita dell’occupazione: aumenta il numero di lavoratori occupati e si offre loro una discipline, sia pur minime, a vantaggio del gran numero di “precari”;
  • inoltre, le forme contrattuali introdotte rispondono alle molteplici esigenze di un mercato del lavoro sempre più eterogeneo e globalizzato;
  • ed infine l’adozione di tali tipologie contrattuali consentono alle imprese di beneficiare di sconti contributivi e fiscali, e di poter facilmente cambiare il personale giudicato non adatto.

Secondo i contestatori:

  • la legge ha aumentato enormemente la precarietà di intere giovani generazioni di lavoratori.
  • alla flessibilità introdotta dalla legge non ha fatto seguito una parallela riforma sugli ammortizzatori sociali, tramutando così una situazione di lavoro flessibile in una situazione precaria.
  • Inoltre le aziende non versano (o versano minori contributi) ai lavoratori precari e questi hanno un accantonamento pensionistico decisamente inferiore ai loro colleghi con contratti tipici. Questo determinerà nel tempo enormi problemi sociali per tutti!

Questa situazione ha fatto emergere un dibattito sull’opportunità di integrare le pensioni statali con un fondo pensione privato.

Il Collegato Lavoro – Legge 183/2010

La legge 183/2010 chiude il cerchio perverso che si era aperto nel 1997 con il Pacchetto Treu” e introduce una serie di paletti e cavilli legali che renderà la vita dei lavoratori atipici durissima.

  1. Sarà quasi impossibile impugnare in tribunale il proprio contratto di lavoro: chi ha avuto esperienze professionali precarie sa bene che avere buoni rapporti con i propri principali è fondamentale. Mi rinnoveranno il contratto? Me lo prolungheranno? Mi assumeranno a tempo indeterminato? Prima, poi o mai? Sono alcune delle domande che affliggono quotidianamente il lavoratore atipico. Adesso, però, chi si trova nel limbo temporale tra un contratto scaduto e uno che forse arriverà – co.co.pro, di collaborazione, o tempo determinato – è davanti a un bivio. La vecchia normativa garantiva anni di tempo a chi intendeva fare causa al suo ex-datore di lavoro (il caso più classico, per i precari, è quello in cui si viene utilizzati come “collaboratori” anche se si fa un lavoro da dipendenti a tutti gli effetti). Con il Collegato Lavoro, l’arco di tempo entro il quale si può fare causa al proprio datore di lavoro diventa di 60 giorni: o ci si muove per tempo, o dopo non si può più rivendicare nessun diritto (era una disposizione già prevista per i contratti a tempo determinato ora allargate anche agli altri contratti).
  2. La legge è di fatto un “ricatto certificato”: uno degli avvocati del lavoro del pool legale di San Precario, il collettivo che da più di 10 anni si occupa di diritti e precarietà, afferma : “Treu aveva introdotto le prime forme di lavoro flessibile e interinale nel 1997; Marco Biagi, con la Legge 30 del 2003 aveva codificato la precarietà con una serie di forme contrattuali atipiche; oggi, con il collegato lavoro, il legislatore va a colpire i precari anche sul piano processuale. Il ricatto cui era sottoposto il lavoratore atipico prima era implicito, oggi è certificato”. Secondo gli avvocati di San Precario, la nuova legge rende quasi impossibile per i lavoratori fare causa alle aziende quando le condizioni contrattuali sono ritenute non corrette: “I precari fra una collaborazione e l’altra possono avere dei periodi di non lavoro ben superiori a due mesi. Un datore di lavoro può dire al suo dipendente che gli rinnova il contratto, lascia passare i famosi 60 giorni e al 61esimo non glielo rinnova. A quel punto per il precario è finita, si trova cornuto e mazziato”.
  3. Le insidie prima di firmare: altre due novità particolarmente indigeste ai legali di San Precario sono la “certificazione del rapporto di lavoro” e la “clausola del ricorso all’arbitrato” in caso di impugnazione.
    1. La certificazione del rapporto di lavoro: presso le camere del lavoro verranno istituite delle “commissioni certificatrici” che avranno il compito di apporre il loro sigillo sulla validità di un determinato rapporto di lavoro. In pratica: “Io ti assumo con un contratto a progetto, mi rivolgo alla commissione che timbra il contratto come legittimo e tu non potrai mai fare più causa contro di me. Così facendo si certifica non solo il rapporto, ma anche la volontà del lavoratore che evidentemente non è nella condizione di rifiutare perché magari sta cercando un’occupazione da mesi”.
    2. L’arbitrato: l’arbitrato invece dà la possibilità al datore di lavoro di inserire nel contratto una clausola che dice che in caso di problemi il dipendente si rivolgerà a una commissione arbitrale invece che ai giudici. “Con questa norma si vuole azzerare il ricorso all’autorità giudiziaria” dicono gli avvocati.
  4. Indennità pregressa: infine c’è la questione dell’indennità. Prima della Legge 183/2010 se un lavoratore vinceva la causa contro il suo datore di lavoro, lui era obbligato a “riconoscergli il mancato guadagno”, e cioè a corrispondergli tutti gli stipendi in cui era rimasto a casa. Ora, nel caso l’azienda perdesse in tribunale sarà tenuta solo a versare un’indennità all’ex dipendente che andrà da un minimo di 2,5 a un massimo di 12 mensilità.
  5. 5.      Licenziamento orale: c’è il licenziamento “orale”. Per la legge il licenziamento deve essere comunicato in forma scritta: se comunicato oralmente, non è valido. Ma ora il termine dei 60 giorni varrà anche per i “licenziamenti orali”. Se un datore di lavoro sosterrà che il licenziamento c’è stato prima della data indicata dal lavoratore (e ben prima dei sessanta giorni a disposizione), basterà trovare dei testimoni compiacenti per bloccare il processo.

[1] Il documentario ha ricevuto una lettera di apprezzamento del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ed è stato proiettato ufficialmente in Parlamento il 17 marzo 2009.