Le sconcertanti parole di Mons. Rigon sulle persone omosessuali e il silenzio della Diocesi di Genova

Riflessioni di Gianni Geraci
portavoce del Guado di Milano, del 21 febbraio 2011

Prima di commentare l’intervento (ndr sulle persone omosessuali) che monsignor Paolo Rigon ha fatto in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario del Tribunale ecclesiastico Ligure lo scorso 19 febbraio, ho cercato di procurarmi il testo integrale del discorso.
L’ho trovato sul sito della Diocesi di Genova e l’ho letto con attenzione. La mia sorpresa è stata grande quando mi sono accorto che, delle parole che hanno provocato le polemiche degli ultimi giorni e di cui il «Secolo XIX» riportava la registrazione sul suo sito, non c’era la minima traccia.
Forse non erano nel discorso preparato da monsignor Paolo Rigon. O forse sono state pronunciate in seguito a una domanda.

Sta di fatto che quella sfilza di imprecisioni che hanno provocato giustamente le reazioni indignate di chi si occupa con qualche competenza di omosessualità non comparivano nel testo dell’intervento così come è riportato sul sito della diocesi genovese.

Se non avessi sentito con le mie orecchie la registrazione proposta dal quotidiano di Genova avrei detto che la stampa si era inventata tutto per alimentare la polemica tra vertici della Chiesa e associazioni omosessuali.

Ma andiamo a vedere, nel dettaglio, lo spezzone del discorso di monsignor Paolo Rigon registrato dal Secolo XIX.
Ecco di seguito la sbobinatura di quanto ha detto (la punteggiatura, naturalmente, è opera mia, ma credo che renda fedelmente il tono delle parole che ho ascoltato).

«Non si nasce omosessuali! Parliamoci chiaro: la nascita dell’omosessuale è rarissima, nel senso di disfunzione ormonale o fisica in qualche modo. L’omosessualità è indotta e dunque bisogna prenderla dall’inizio, perchè se presa dall’inizio, eccome si può superare!
Ma bisogna prenderla dall’inizio (e dall’inizio vuol dire dal momento in cui in qualche modo io mi rendo conto che ho questo problema) attraverso la psicoterapia, la psicoterapia.
Se la psicoterapia viene affrontata, per esempio, nella prima adolescenza se il problema si pone, è un problema che si risolve.
Il nostro consultorio familiare affonta parecchie volte questo tema e si riesce anche… Quando purtroppo l’omosessualità è ormai, come posso dire, “incancrenita” è difficile».

Già l’assertività con cui si inizia lascia perplessi: «Non si nasce omosessuali!». Colpisce in maniera particolare se la si paragona alla prudenza con cui lo stesso problema è affrontato nel Catechismo della chiesa cattolica che, perlando di omosessualità dice che: «Si manifesta in forme molto varie lungo i secoli e nelle differenti culture. La sua genesi psichica rimane in gran parte inspiegabile».

In un attimo monsignor Rigon butta alle ortiche tutta la prudenza con cui un uomo di chiesa (che, tra l’altro, non ha competenze specifiche) dovrebbe affrontare certi temi che sono per loro natura delicati e controversi.

La prudenza verbale non deve però essere il forte di monsignor Rigon, perché subito dopo infila una sequeza di affermazioni che colpiscono per la loro superficialità: collega l’omosessualità a una disfunzione ormonale o fisica che non ha niente a che fare con l’orientamento sessuale della persona;  afferma poi che l’omosessualità stessa può essere curata con la psicoterapia se “presa dall’inizio”, ma non precisa che tipo di psicoterapia sia da utlizzare per curare l’omosessualità e, soprattutto, fa un discorso molto confuso su cosa voglia dire “prendere l’omosessualità fin dall’inizio” (visto che in molti casi la persona omosessuale prende coscienza del proprio orientamento sessuale dopo la fine dell’adolescenza); fa poi riferimento ai successi terapeutici di un non meglio specificato consultorio senza però fornire alcuna indicazione sulle pubblicazioni scientifiche che documentano questi successi; conclude infine introducendo la categoria del tutto estemporanea dell’omosessualità “incancrenita”.

Ascoltando questa sequenza di imprecisioni e di sciocchezze ho pensato che il vero scandalo non è che ci sia un monsignore che, forte della sua presuntuosa ignoranza, arrivi a scandirle durante una relazione.

Il vero scandalo è che la Diocesi di Genova non abbia preso pubblicamente le distanze da queste affermazioni imprudenti e inopportune.

E pensare che, nel testo del discorso di monsignor Rigon pubblicato sul sito di questa stessa diocesi, le poche parole dedicate all’omosessualità sono molto diverse.
Nel trattare il tema dei matrimoni nulli per esclusione della fedeltà prima del consenso coniugale, monsignor Rigon, fa infatti le seguenti affermazioni.

«Altro aspetto di questo problema è quello della tendenza o del “genere”, di cui oggi si parla molto, in forza del quale si può anche giungere a scegliere come si vuol vivere la propria sessualità se in modo eterosessuale o in modo omosessuale o in alternativa o in simultanea.

Se così è ci sarà una incapacità ad essere fedeli: il caso drammatico è quello dell’omosessualità che qualcuno spera di vincere o di mascherare appunto con il matrimonio ma è una illusione, non sarà possibile, in concreto, restare fedeli al coniuge».

Se si chiudono gli occhi sulla confusione tra identità di genere e orientamento sessuale (confusione peraltro molto diffusa) non si può non notare che le conclusioni a cui giunge monsignor Rigon sono condivisibili, perché con chiarezza ricordano a quanti sperano, con il matrimonio, “di vincere o di mascherare la propria omosessualità” che la loro è solo un’illusione e che il loro matrimonio è come la casa costruita su fondamenta d’argilla che non sarà certo in grado di resistere all’usura del tempo.

Si tratta di una condanna esplicita dei tanti fautori delle terapie riparative dell’omosessualità che considerano concluso il loro compito quando la persona omosessuale si sposa.

Ma proprio per questo motivo fa letteralmente a pugni con tutti i discorsi che lo stesso monsignor Rigon ha fatto nella parte “secretata” del suo discorso in merito all’opportunità di curare l’omosessualità con la psicoterapia.

Tanti anni fa, un vescovo a cui rimproveravo il fatto di non essere mai intervenuto per parlare di omosessualità, mi aveva risposto dicendo:

«Guardi che non sempre il silenzio è sinonimo di disinteresse. Tante volte non si parla di un certo argomento perché ci si rende conto del rischio che si corre di dire delle sciocchezze».

Il vescovo in questione era un uomo di grande fede e, soprattutto, era un uomo di grande saggezza. Mai come in queste circostanze capisco finalmente il senso delle parole con cui mi aveva risposto allora.