Rivoluzione copernicana per gli uomini

Stefano Ciccone
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«Come uomo ho partecipato a questa mobilitazione non per solidarietà, ma perché sento che è in gioco anche la mia libertà, lo spazio per vivere il mio desiderio di cambiamento». Autore di «Essere maschi. Tra potere e libertà» (Rosenberg edizioni), Ciccone è tra i fondatori dell’associazione «Maschile plurale» ed è stato l’unico uomo a parlare dal palco di piazza del Popolo a Roma, nel corso della manifestazione del 13 febbraio.

La mobilitazione delle donne ha aperto uno spazio per affrontare collettivamente quello che rischiava di restare nel voyeurismo sul comportamento del premier e il suo uso del potere, il consumo ostentato di corpi femminili. Le tante persone nelle piazze hanno mostrato che la rappresentazione dei ruoli sessuali, la mediazione del denaro e del potere nelle relazioni tra i sessi sono un terreno di trasformazione della realtà e delle relazioni sociali che non va relegato all’insignificanza pubblica e politica e richiede una pratica collettiva di donne e uomini. Ci chiama in causa direttamente come uomini: non per difendere le donne offese nella loro dignità, tantomeno per tutelare la dignità della nazione o del nostro genere.

Ci pone la responsabilità e l’opportunità di dire dove sia il nostro desiderio rispetto al richiamo collusivo di Berlusconi. Come uomo ho partecipato a questa mobilitazione non per solidarietà, ma perché sento che è in gioco anche la mia libertà, lo spazio per vivere il mio desiderio di cambiamento. Ma proprio su questo nodo la politica appare incapace di produrre parole adeguate e di riconoscere quelle prodotte innanzitutto dalle donne. L’impasse tra giudizio moralistico e indifferenza si è riproposta sulla mercificazione del corpo delle donne nei media e nel riconoscere il nesso tra l’egoismo sociale su cui il centrodestra ha costruito il proprio consenso e quel «godimento che non conosce limiti, senso di colpa, vergogna» cui si riferisce Massimo Recalcati (su il manifesto del 10 febbraio).

La distinzione tra donne «per bene» e «per male» è innanzitutto una scissione nell’esperienza maschile della sessualità. C’è un filo che lega la rappresentazione sociale della madre e della prostituta: il sacrificio femminile, la rimozione e l’interdizione di un desiderio autonomo per rinchiudere il destino delle donne nella funzione di cura. Affermare che non tutte le donne sono disponibili ha un rischio ma contiene dunque anche un elemento che a me, come uomo, interessa: l’incontro con una donna che dice «non sono qui per corrispondere al tuo desiderio o al tuo bisogno: il mio destino non si esaurisce nella disponibilità». Rompendo la fissità dei ruoli di prostituta, madre, cameriera, badante, si rompe l’aspettativa maschile di un mondo abitato dalla disponibilità femminile e si rimette in discussione l’asimmetria tra donne e uomini.

Asimmetria nel desiderio, nel riconoscimento di soggettività e, dunque, nel potere: un unico desiderio e un unico soggetto, quello maschile, che esercita il potere sul mondo e sul corpo femminile riducendo le donne a corpo muto, privo di una sessualità autonoma. L’ostentazione del potere maschile che emerge in questa vicenda rimanda dunque al fantasma inatteso della libertà femminile? La rappresentazione dominante descrive il cambiamento dei rapporti tra i sessi come una minaccia per gli uomini. Incalzati dalla presenza delle donne nel mercato del lavoro o chiamati a cedere potere nelle istituzioni.

Un modello maschile basato sul mito dell’autosufficienza ricerca l’esorcismo del potere o del denaro per confermare l’idea che l’altra si possa controllare e comprare: un potere che non riconosce limiti o meglio che alimenta l’illusione di liberarsi dal limite posto dalla relazione e dallo sguardo dell’altra. C’è chi ha parlato di un uomo malato, o di un uomo «ingovernabile». Il suo è un comportamento smodato ma tutt’altro che trasgressivo: corrisponde alla mediocrità che insegue e riconferma la rigida gabbia delle norme dell’omofobia, della misoginia, del sessismo. Così, alla difesa della privacy di chi corrisponde alla norma coincide l’invadenza dello Stato sui corpi e sulla sessualità: proprio Berlusconi e la sua maggioranza hanno parlato del corpo di Eluana Englaro come corpo da imprigionare perché, anche senza vita, avrebbe potuto procreare.

Il potere dunque come protesi per l’angoscia maschile e un’idea asfittica di libertà ridotta a consumo nel recinto dei modelli stereotipati.

Resistere alla riduzione della sessualità a merce non nega di riconoscerla come esperienza autonoma, anche finalizzata al gioco, al piacere non scisso dalla relazione ma neanche bisognosa di essere «nobilitata» dall’amore (o dalla finalità procreativa). Qui emerge il limite di un’idea di autodeterminazione come dominio e proprietà del proprio corpo e del mercato come luogo della libertà in cui l’anonimato del denaro è condizione di libertà e reciproca autonomia tra le persone. Superata la rappresentazione delle donne schiacciata tra vittimizzazione e giudizio moralistico allo stesso modo diviene oggi necessario dare voce ai cambiamenti nell’esperienza maschile cogliendone contraddizioni e conflitti.

I ragazzi che vivono misurandosi con l’espressione sociale del desiderio femminile, gli uomini che tentano di reinventare la propria relazione di cura dei figli sono parte di un mutamento che è in corso ma che non ha visibilità e parole per esprimersi e definirsi. La costruzione di una diversa parola maschile che non scelga l’autodisciplina ma riconosca come opportunità la scoperta del desiderio femminile è condizione per aprire lo spazio per un conflitto e una relazione tra donne e uomini più fertile. Oltre il dibattito sulle sorti di un leader politico in declino resta a noi la responsabilità di costruire una diversa idea di libertà.