La cultura della legalità rende liberi. Partita la XVI carovana antimafie

Giampaolo Petrucci
Adista n. 19/2011

Una buona occasione per raccontare storie di riscatto e condividere pratiche di legalità attraverso l’incontro con le associazioni e i territorio. La società civile infatti può offrire il suo contributo per l’edificazione di un’antimafia dal basso, affiancando il lavoro della magistratura e delle forze dell’ordine sul fronte della repressione. Così, lo scorso 28 febbraio a Roma, Alessandro Cobianchi, coordinatore della XVI edizione della Carovana internazionale antimafie, ha presentato l’iniziativa al pubblico di giornalisti e attivisti radunati in occasione della conferenza stampa di avvio dei lavori. La Carovana, promossa quest’anno da Arci, Libera e Avviso Pubblico e con il contributo di Cgil, Cisl e Uil, è partita lo scorso 1.mo marzo da Roma e – dopo aver attraversato per 96 giorni (123 tappe, 17.440 km) tutte le Regioni italiane e Paesi come Corsica, Francia, Svizzera, Albania Bosnia, Bulgaria e Serbia – approderà, il 4 giugno, in Sicilia a Corleone, «terra di mafia ma, soprattutto, terra di antimafia».

Tra gli altri relatori intervenuti alla conferenza stampa, il procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso, il presidente di Libera, don Luigi Ciotti, il presidente dell’Arci, Paolo Beni, il frontman del gruppo musicale Après La Classe, Cesko Arcuti, il vicepresidente di Avviso Pubblico, Gabriele Santoni, e i rappresentanti dei sindacati aderenti.

L’idea di un “laboratorio itinerante” annuale di animazione culturale nasceva nel 1994, con un solo furgone impegnato in una mini-carovana di dieci giorni tra Capaci e Licata. L’intenzione era di promuovere nuove reti e spazi di aggregazione per manifestare solidarietà alle vittime di mafia (ancora fresca la ferita degli attentati contro Falcone e Borsellino); sensibilizzare le comunità locali a mantenere alta l’allerta sul pericolo mafioso; comunicare e costruire fattivamente il cambiamento a partire da una nuova consapevolezza nei territori. Da allora la Carovana è cresciuta conquistando l’adesione e la collaborazione di molti, fino all’edizione attuale che ha raccolto la sfida della globalizzazione (soprattutto la globalizzazione delle organizzazioni criminali), coinvolgendo anche altri Paesi.

Tra le tappe fondamentali della Carovana 2011, i “carovanieri” quella del 19 marzo, quando a Potenza incroceranno la Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime della mafia; quella del 25 marzo, che li vedrà impegnati a L’Aquila a ricordare le vittime «dell’incuria e della speculazione a danno delle vite umane»; infine, quella del 25 aprile, Festa della Liberazione.

150 di antimafia

Da non dimenticare che questa “maratona per la legalità” si realizza in concomitanza con i 150 anni dell’Unità d’Italia che, ha esordito don Luigi Ciotti, «sono 150 anni di presenza criminale nel nostro Paese, ma sono anche 150 anni di resistenza di uomini e donne che hanno lottato contro questa presenza negativa». Secondo don Ciotti oggi possiamo «parlare di un Paese non diviso ma diseguale. La nostra Costituzione non parla mai di Nord e di Sud ma di un Paese saldato insieme dagli stessi diritti e doveri. Per questo le politiche sociali e culturali, accompagnate da quelle del lavoro, devono essere le uniche piattaforme per la ripresa».

Smontare clientele e consenso

Impegnarsi per costruire un tessuto culturale antimafioso è anche l’invito del procuratore Pietro Grasso, che ha ricordato come la lotta alla criminalità sia un processo non solo repressivo ma principalmente culturale: «Quando Garibaldi sbarcò in Sicilia con soli mille uomini, trovò una popolazione meridionale già pronta ad unirsi a lui, tant’è che, quando arrivò in Campania, con lui si erano uniti 30mila uomini». Allo stesso modo, l’Italia di oggi ha sviluppato «politiche repressive all’avanguardia, nate sul sangue delle vittime», ma certo non sufficienti a sradicare il fenomeno mafioso: «Non dobbiamo dimenticare che la mafia non è un’organizzazione criminale che guarda solo al profitto», ha infatti aggiunto. «Se così fosse, sarebbe già stata sconfitta. La mafia cerca invece il consenso della gente e mira a cogestire il potere: solo quando riusciremo a separare queste due realtà saremo davvero sulla strada buona per vincere la nostra battaglia». Ed è proprio per stroncare nella società civile la fitta trama di favori e clientele che la Carovana si dimostra «un veicolo molto importante per diffondere una cultura dell’impegno e della solidarietà. Due valori purtroppo diffusissimi nella criminalità organizzata, ovviamente nella loro accezione negativa, ma talora un po’ meno nella società civile».

Diritti deboli, mafie forti

Non sono mancate, nel corso della conferenza stampa, note polemiche sulla situazione politica attuale. Paolo Beni ha contestato le strategie con cui il sistema produttivo – con l’avallo di larghi strati della politica – ha affrontato la crisi: «Nel momento in cui alla crisi si risponde aggredendo i diritti, lasciando i lavoratori precari e soli, allora si crea il terreno fertile per la corruzione, la criminalità, la violenza». Infatti, le mafie, se intendono proliferare, «hanno bisogno di uno Stato debole e connivente, ma anche di una società debole, della devitalizzazione dello spazio pubblico, di cittadini soli, precari e ricattabili». In tal senso, ha poi concluso, la Carovana serve «a presentare un altro racconto di questo Paese, a costruire relazioni con questa narrazione collettiva del Paese, toccando tanti luoghi dimenticati».

Costituzione e scuola pubblica, “luoghi” dell’antimafia

Ferma anche la condanna di don Ciotti ai tentativi più o meno espliciti di minare la Costituzione, «il primo testo antimafia» del nostro Paese. «Bisogna capire che le buone leggi sono quelle per i diritti di tutti, mentre quelle fatte per gli interessi di pochi sono cattive leggi. E che solo le buone leggi sono figlie della nostra Costituzione». Intervenendo sui recenti attacchi di Berlusconi alla scuola pubblica, don Ciotti ha detto che «la nostra scuola pubblica ha tanti bravi, generosi e coraggiosi insegnanti. Con loro lavoriamo da anni per la diffusione della cultura della legalità da trasmettere ai ragazzi. Per questo deve essere stimata e valorizzata, perché è il segno della forza della nostra democrazia». «È la cultura che dà la sveglia alle coscienze – ha concluso –, è la cultura che rende liberi e che dà la misura dello stato della democrazia».