Italia: intendenza e indecenza

Carlo Musilli
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La guerra contro la Libia è certamente una tragedia. Lo è per il costo alto di vite umane e d’infrastrutture del paese e, prima ancora, per l’assassinio della sua sovranità nazionale. Che Gheddafi fosse da cacciare è vero, come è vero che avrebbero dovuto deciderlo in Libia e non a Bruxelles o New York. Ma che la fine del suo regno familiare dovesse avvenire in conseguenza della distruzione del suo paese e del ritorno delle sue ricchezze al colonialismo europeo, però, andava decisamente evitato. Ma nella tragedia, spesso, emerge anche il suo lato farsesco e, dunque, non si può non parlare del ruolo dell’Italia.

Berlusconi appare nelle foto ufficiali tra gli altri potenti del mondo, ma è l’unico momento di condivisione di questi ultimi con lui. Avrebbe potuto a ben ragione proporre una mediazione italiana per il conflitto e, anche dove si fosse rivelata impraticabile, avrebbe comunque potuto pretendere un ruolo italiano di primo livello nel decidere l’applicazione della risoluzione Onu nello spirito e nella lettera della stessa. Infine, avrebbe potuto pretendere, visto il ruolo del nostro Paese, un ruolo di direzione anche nella definizione delle strategie militari e politiche da applicare.

Invece, sottotono e sotto schiaffo per la sua immagine personale, è stato, semplicemente, snobbato, messo nell’angolo. Nemmeno invitato al summit che ha deciso le linee operative dell’attacco. Perché per tutte le Cancellerie è ormai imbarazzante aver a che fare con un soggetto simile, privo di qualsiasi credibilità interna ed internazionale, al punto che persino il presidente cileno Pinera, nei giorni scorsi a Roma, ha tenuto soprattutto a prendere le distanze dal premier italiano.

D’altra parte, la credibilità del cavaliere è pari a quella del suo ormai ex-amico di Tripoli. Addirittura, Gheddafi si era trovato al centro di un’elaborazione di strategia politica per il controllo dei flussi migratori, cioè uno dei temi più importanti del presente e del futuro per la governance internazionale. Che poi il Colonnello abbia concordato sulla soluzione insieme alla destra italiana è solo parte della tragedia e della farsa: da un lato la dimensione criminogena del Rais, dall’altro un gruppo di pensatori difficili da collocare nella storia della cultura politica di questo secolo.

Ad ogni modo, ciò che appare evidente è che nella riconquista coloniale della Libia, il retroscena è rappresentato dalla retrocessione dell’Italia a ultima provincia dell’Impero. Che il nostro paese sia il dirimpettaio immediato, dunque il più soggetto alle reazioni libiche, non conta; che ne sia il principale partner commerciale, e dunque quello che vedrà più colpita la sua bilancia dei pagamenti in generale e per il suo fabbisogno energetico in particolare, nemmeno. Che sia il Paese dove prevedibilmente si rovescerà il peso del flusso migratorio in fuga dalla guerra, e che quindi pagherà in termini economici e sociali il costo più alto, conta ancora meno.

Di fronte a ciò, un Paese sovrano avrebbe fatto sentire la sua voce. Benchè imbelle politicamente, é fondamentale tatticamente e operativamente. Dal governo italiano, se così si può chiamare quello in carica, ci saremmo attesi almeno un sussulto di decenza, vista la pesantissima eredità storica fatta di guerra, occupazione coloniale e sterminio che l’Italia ha nei confronti della Libia. E invece, a cento anni di distanza dall’avventura coloniale fascista e della tragedia che essa rappresentò, eccoci di nuovo in guerra con la “quarta sponda”.

Ironia della sorte e pena della storia, un fascista c’era (Graziani) e un postfascista c’è (La Russa) a guidare, esaltati, le reciproche aggressioni. Il ministro sanbabilino, infatti, ha indossato il fez e si è lanciato, eccitatissimo, verso l’agognata esposizione mediatica. Lui e Frattini elargiscono ammonimenti e avvertenze, è il loro momento di gloria. Ma fa parte del folklore governativo, cioè la sua modalità politica unica. Semmai è la Lega ad avere, come avvenne per l’aggressione alla Serbia, più di qualche ragionevole dubbio.

Quello che però meriterebbe una riflessione è l’atteggiamento dell’opposizione, che scendeva in piazza contro la guerra in Irak e lancia ora grida di guerra contro la Libia. Dopo l’infelice esperienza dei Balcani, era lecito illudersi che il centrosinistra potesse avere un sussulto di argomentazioni e ragionamenti sul senso vero delle cosiddette “guerre umanitarie”. Evidentemente così non è.

Nemmeno la storia di Mattei e di Moro, o di Andreotti, di Craxi, Dini o lo stesso Prodi (non giganti della sovversione, insomma) ha avuto licenza nelle scelte del Pd. Quando l’orizzonte ideale è rappresentato dall’adesione alle politiche statunitensi e la storia della politica estera e delle relazioni internazionali italiane nel Mediterraneo e in Medio Oriente viene ignorata, ci si può solo interrogare sulle differenze possibili – oltre a quelle concernenti lo stile di governo – tra il berlusconismo e il vuoto assoluto del Pd. C’è poco da stare allegri.