Una Chiesa dal cuore arido

Paolo Bonetti
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La buffa vicenda del catechismo per i giovani, con la traduzione italiana sbagliata della norma sulla contraccezione, un errore che fatto gridare alla rivoluzione in una questione di etica sessuale sulla quale la gerarchia non ha, in realtà, alcuna intenzione di cambiare indirizzo, mi ha fatto tornare in mente che cosa è stato, nei lontanissimi anni Quaranta del secolo scorso, il mio apprendimento catechistico in vista della prima comunione e della cresima.

E’ passato ben più di mezzo secolo, la società e i suoi costumi sono radicalmente cambiati, i giovani cattolici di oggi hanno ormai una mentalità assai diversa da quella di noi poveri ragazzini usciti dalle privazioni della guerra, eppure la Chiesa cattolica, invece di parlare del Vangelo, continua con le sue formulette, con le domandine e le rispostine in cui c’è tutto fuorché la carità e l’apertura alla vita vera delle persone, non quella dei burosauri della teologia ufficiale.

Si dirà che tutto questo non è vero, che si tratta della solita semplificazione e falsificazione anticlericale, e che il nuovo catechismo è, in realtà modernissimo, dà la formula e poi anche la spiegazione, indottrina ma con tanto di note esplicative e codicilli. Ma, poi, appena si intravvede qualche apertura, si scopre subito che si tratta di un errore del traduttore. In compenso è nuova la confezione, com’è tipico della società dei consumi, nella quale i prodotti in vendita sono sempre più o meno gli stessi, mentre cambiano le etichette, tanto per apparire moderni e up to date.

E allora via con YouCat, che arieggia YouTube,e fa sembrare anche un vecchio arnese pedagogico come il catechismo qualcosa che è in sintonia con le abitudini di vita dei ragazzi, qualcosa che dovrebbe introdurli, con semplicità e senza pedanteria, ai misteri della fede. Misteri trattati come se fossero dei quiz ai quali bisogna saper rispondere prontamente per vincere qualche premio. Mi chiedo, allora, in che cosa YouCat differisca dalle formulette che dovevo imparare a memoria quando ero uno scolaretto del catechismo, ingurgitando parole di cui non capivo il significato, ma che era indispensabile conoscere per poter accedere ai sacramenti.

Allora non c’era il codicillo esplicativo, ma non è che le note di questa edizione pseudogiovanilista siano qualcosa di più di una perifrasi tautologica. Tutto cala dall’alto come allora, tutto è rivolto ad ingabbiare la ricchezza della vita, dei sentimenti, delle speranze e dei timori che accompagnano l’esperienza religiosa degli adolescenti in una rete di dogmi e di prescrizioni in cui si perde e si annulla il bisogno appassionato di amare e di sperimentare che è così forte in quell’età.

Nessun prete, ai tempi del mio catechismo, mi spinse a leggere il vangelo, a entrare direttamente in contatto con la parola di Cristo. Probabilmente si riteneva che questa fosse una strada pericolosa per avvicinarsi alla fede. Tutto quello che conoscevamo dei testi evangelici si riduceva ai brani che il sacerdote officiante leggeva e commentava nella messa della domenica. Ci veniva presentata e offerta una fede senza cuore, ossificata nelle sue formule e nei suoi riti, gestita oculatamente da una gerarchia a cui interessa il consenso passivo e docile piuttosto che un’adesione interiore sempre inquieta e problematica.

Poi c’è stato il Concilio e non c’è dubbio che molte abitudini sono cambiate, molti ritualismi sono scomparsi. Le chiese si svuotavano per un processo di secolarizzazione inarrestabile, una secolarizzazione spesso superficiale e vuota di contenuti morali. Ma quelli che restavano erano ben diversamente motivati, il loro libro di riferimento non era più il catechismo, e le parole di salvezza bisognava viverle nella concretezza della carità e non nella pappagallesca ripetizione delle formule. Anche chi si era allontanato dalla fede o non l’aveva mai avuta, considerava con rispetto e interesse questo nuovo modo di essere cristiani e cattolici, consapevole dell’importanza che ha il sentimento religioso sinceramente vissuto per la crescita morale e civile dell’intera società.

Oggi la Chiesa cattolica sembra essersi di nuovo inaridita, e ha assunto un atteggiamento di chiusura e di paura verso tutto ciò che minaccia la sua struttura gerarchica e il ben congegnato sistema aristotelico- tomistico delle sue presunte verità universali. Forse non poteva andare diversamente, perché una religione dello spirito può appartenere soltanto a minoranze in odore di eresia, mentre la Chiesa gerarchica resta ancora, e forse per sempre, quell’organismo di potere che deve badare a tenere compatte le sue truppe, disciplinandole con energia e fermezza.

Per questo compito, il catechismo, comunicato mediante le nuove tecnologie dell’informazione, ma immutabile nella sua sostanza teologica, resta sempre lo strumento più efficace. Mentre, ai piani alti, le gerarchie dialogano con gli intellettuali compiacenti su Dio e l’ateismo, ai piani bassi si dà una bella mano di vernice sul soggettivismo religioso che cerca di insinuarsi anche all’interno della Chiesa. Potrà un giorno questa tendenza essere rovesciata? Le gerarchie sanno che, se questo avvenisse, la loro organizzazione andrebbe incontro al dissolvimento e alla morte. E contano, per sopravvivere, sulla paura che troppi uomini hanno della libertà.