“Habemus Papam” e la forza della fragilità

don Raffaele Garofalo
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Che l’ultimo film di Moretti avrebbe fatto riflettere più dei precedenti era scontato. La “meditazione”, questa volta, ha per oggetto il Vaticano, la persona stessa del papa, figura intoccabile e sacra, come quella degli antichi imperatori. Così pensa, con altri, il vaticanista dell’Agi che ha definito il film un’offesa alla nostra religione. Portare sullo schermo l’umana debolezza di un papa risulterebbe uno scandalo inaccettabile. Tutta la storia sacra è pervasa di una congenita debolezza dell’uomo, cui nessuno può sfuggire, nemmeno i protagonisti più autorevoli.

La Bibbia comincia con un fratello che uccide il fratello, prosegue con un uomo che aveva ancora le mani sporche di sangue quando Dio lo scelse per liberare “il popolo eletto”. E così via, fino al primo “papa” che, nel cortile del sommo sacerdote, rinnega tre volte il Maestro.

Nella consapevolezza della comune fragilità, Pietro apostrofa il centurione inginocchiato davanti a lui, sollevandolo e ammonendolo: “Alzati, anch’io sono un uomo come te!” (At, 10,26). In difesa della proprietà comune il primo tra gli Apostoli punisce addirittura con la morte (sarà una metafora!) l’avarizia di Anania e Saffira (At, 5). Perfino Cristo nell’orto degli ulivi scongiura il Padre di allontanare da lui il calice amaro e sulla croce urla la sua disperazione per essere stato abbandonato da Dio. “Fragilità” umana e… divina! “La debolezza di Dio è più forte degli uomini” (I Cor, 1,25). “La mia potenza si esprime nella debolezza” (2 Cor, 12,9). S. Paolo addirittura tesse l’elogio della propria fragilità: “Mi glorierò della mia debolezza (2 Cor. 11,30).

Ci si scandalizza perché Moretti mette in bocca a Michel Piccoli affermazioni che sembrano richiamare quelle di Giovanni XXIII all’apertura del Concilio. “Questa Chiesa ha bisogno di una guida che porti grandi cambiamenti, che cerchi l’incontro con tutti, che abbia capacità di comprensione per tutti”. Ecclesia semper reformanda.

Il papa “smarrito” afferma, con umiltà, di non essere nato “per condurre gli altri” ma per essere condotto. Una parafrasi di Cristo che diceva: “Sono venuto per servire non per essere servito”? Allo psicanalista dichiara di non sentirsi disorientato per problemi di Fede, si sente schiacciato dal peso dell’Istituzione… Sarebbe stato forse rassicurante per lui accettare un papato condiviso, nelle responsabilità e nella pari autorevolezza, con l’Assemblea Conciliare. Una gestione democratica della Chiesa.

Papa Melville lancia l’identico messaggio di Celestino V. Dietro una rinuncia motivata dalla consapevolezza (encomiabile) dei propri limiti, si intravede piuttosto la necessità che la Chiesa torni alle origini, quando Paolo poteva vantarsi di “aver affrontato Pietro a viso aperto”, era estraneo alla comunità il “culto” del capo e operante la fattiva partecipazione di tutti.

Moretti è un maestro della commedia. È stato criticato per averla introdotta in Vaticano raccontando un mondo surreale, non la realtà. Se avesse messo in scena quella che viene definita “realtà”, il prestigio della Chiesa ne sarebbe forse riuscito rafforzato?

Il consesso cardinalizio è stato descritto con simpatica ironia, come una allegra brigata cameratesca tutta dedita alla venerazione del capo. Sperduti come una scolaresca cui è stata tolta la maestra o una comitiva di anziani che hanno perso la badante, i cardinali si abbandonano a piccole manie infantili o senili.

Un mondo surreale, certo, ma meno irriverente della “realtà” ove si tramano le brighe dell’otto per mille e della ripartizione in percentuale dei “non-dichiaranti”, dietro l’ispirazione (non dello Spirito Santo, ma) di Giulio Tremonti! In omaggio alla realtà, Moretti avrebbe dovuto raccontare dell’esenzione ICI, dell’insegnamento esclusivo della religione cattolica in una scuola laica, dei finanziamenti alle scuole private, degli investimenti più redditizi sul mercato, dei patteggiamenti col premier per mantenere privilegi e ottenerne dei nuovi.

E se avesse raccontato le imprese di mons. Marcinkus e altre avventure vaticane poco edificanti? Ci sarebbe stato poco da ridere, con bonarietà, come nel film criticato dai benpensanti, e il regista avrebbe subito certamente un attacco più duro per aver “denigrato” la Chiesa. Non con simpatica fantasia, ma con malinconica “realtà”.

La grandezza di un uomo sta anche nel non nascondere le proprie debolezze. I fedeli vanno educati nella accettazione dei “limiti” delle persone, vero patrimonio di tutti.

Iniziò un papa che dichiarava di avvertire le vertigini su quella sedia gestatoria, da dove altri, per secoli, incutevano soggezione, come faraoni. A papa Giovanni tornava alla mente quando la madre lo portava in campagna depositato nella cesta che aveva sul capo.

Un desiderio, più o meno avvertito, di ritorno, dopo secoli, sulle strade della Palestina dove un uomo, che “temeva” di essere fatto re, si confondeva tra la folla. Anche Giovanni XXIII si sentiva non adeguato al compito di realizzare il temerario progetto di “grandi cambiamenti” nella Chiesa. Perciò chiese aiuto ai vescovi del mondo, ai teologi (compreso Ratzinger), ai fedeli. Fu quella la sua forza.

La debolezza ci rende umani. Non dovrebbe apparire uno scandalo il giorno in cui il papa si affacciasse veramente sul balcone per chiedere l’aiuto di tutti. E’ stato detto che la Fede si nutre di inadeguatezze e di dubbi, più che di certezze illusorie. I papi non fanno eccezione.

È, forse, la lezione del film. Moretti fa pensare: è un grosso problema per chi è abituato solo a “credere”. Habemus papam sarebbe un film da non guardare ma da cui guardarsi? Un grazie a Moretti, a nome di quel popolo di Dio consapevole della propria fragilità. Come Pietro. Come l’uomo Cristo.