La Proposta della CGIL rompe lo scenario negativo prospettato dal Governo

Sergio Ferrari
www.paneacqua.eu

La proposta di una imposta sulle grandi ricchezze pone finalmente sul tavolo una questione molto semplice: in una fase non breve di crisi economica generale non ha alcun senso e non ha alcuna giustificazione che i poteri pubblici accettino che ci siano dei divari nella distribuzione della ricchezza al disopra di ogni possibile motivazione. E non è accettabile che in questa materia il nostro paese sia da anni il peggiore dell’Unione Europea come se fossimo una specie di emirato orientale

Le prime osservazioni che sono arrivate al testo del Documento di Economia e Finanza 2011 del nostro Governo, sia da destra che da sinistra, sono di notevole perplessità – e sin qui la cosa sarebbe anche ovvia – ma si avanzano anche critiche di ordine metodologico e di correttezza nel disegnare gli scenari di riferimento. Il fatto è che, nonostante queste “deformazioni”, non si è riusciti tuttavia a mutare un quadro grave e preoccupante; un quadro di una crisi permanente in termini sociali ed economici da qui ad almeno tutto il 2014. Questo dovrebbe impegnare tutti ad una riflessione critica molto profonda.

In effetti se a parole ci si attacca alle indicazioni dell’Unione per sposare il contenimento del debito con la crescita, poi in realtà in questo documento il debito e il deficit, almeno sulla carta, tornano entro i limiti europei, ma la crescita si assesta intorno a poco più dell’uno per cento, il che vuol dire che da questo lato il Documento non è rigoroso nemmeno nei confronti delle indicazioni comunitarie già a loro volta del tutto non rigorose perché mentre quantifica i limiti dei vari debiti ammessi, non pone nessuna indicazione quantitativa sul dato della crescita.

Se poi si considera che alcune forzature sono inserite nei testi del nostro Documento proprio per non far apparire le prospettive ancora più pesanti, ma che in effetti, ad esempio a quel misero aumento di poco più dell’uno per cento di Pil, occorre sottrarre un saldo commerciale che presenta, e non da oggi e senza accenni seri di inversione, un valore del tutto negativo che potrebbe essere anche maggiore di un punto di Pil, si comprende come sia del tutto ragionevole ipotizzare una defaillance del nostro paese.

In realtà il tentativo di Tremonti incomincia a dover pagare i prezzi, da un lato, dell’immobilismo di tutti questi anni, e dal’altro, di una non volontà di tipo liberista di andare là dove le risorse si sono accumulate e dell’incapacità di affrontare gli snodi strutturali del sistema produttivo del paese. La fuga in avanti, sorretta e sollecitata da Confindustria, di un percorso di privatizzazione dei Servizi risulta sempre più come una conferma di queste incapacità e del conseguente tentativo di acquisire delle rendite per sopperire ai limiti competitivi.

Dunque quando si parla di riforme bisognerebbe chiarire la dimensioni del’interesse generale perché la parola riforma non identifica automaticamente questa dimensione. Per l’acqua la privatizzazione aveva già di per se un aspetto moralmente ed economicamente discutibile, se ora viene a cascare anche la foglia di fico del vantaggio dei cittadini, ci dovrebbe rimanere, a sostenere questa ipotesi solo, la stampa e la propaganda. di quegli interessi. Si sa che non è poco, ma sarebbe intanto doveroso segnalarlo. Anche perché i segnali di insofferenza economica, sociale, e morale nel paese non sono affatto inesistenti quanto piuttosto in attesa di attori e interpreti credibili.

In questo scenario la proposta della CGIL della imposta sulle grandi ricchezze pone finalmente sul tavolo una questione molto semplice: in una fase non breve di crisi economica generale non ha alcun senso e non ha alcuna giustificazione che i poteri pubblici accettino che ci siano dei divari nella distribuzione della ricchezza al disopra di ogni possibile motivazione. E non è accettabile che in questa materia il nostro paese sia da anni il peggiore dell’Unione Europea come se fossimo una specie di emirato orientale.

Si afferma, spesso, per contrastare proposte come quelle delle CGIL, che non ha molto senso sottrarre risorse ad un numero relativamente modesto di persone per dare un contributi necessariamente molto esiguo ai molti. Sarà bene sgombrare il campo da questo tipo di osservazione perche nello specifico della proposta della CGIL si può discutere se quanto viene attribuito ai molti sia poco o tanto, se occorre aumentarlo o meno, ma il fatto è che esiste una motivazione morale che non è discutibile su questo piano. Sapere che esiste una persona che deve campare con qualche euro al mese mentre altre – certamente meritevolissime – devono regolarmente passare il tempo a contare le entrate, è un semplice non senso, punto e a capo.

Il fatto che questa Unione Europea non dia indicazioni in materia di coefficiente di Gini – cioè, appunto, di distribuzione della ricchezza – è solo uno dei tanti elementi di una costruzione politica ancora embrionale e piena, come si vede, di acciacchi e di deformazioni. Ma se è vero, come si sostiene da parte di molti economisti, che una cattiva distribuzione della ricchezza non giova nemmeno allo sviluppo, allora anche l’Unione potrebbe, un giorno o l’altro, svegliarsi e dire la sua.

Ma l’attesa non deve passare con le mani in mano. Le forze politiche devono esporsi e porre con forza sul tappeto la questione sollevata dalla CGIL perché quella proposta tocca un aspetto centrale della nostra politica economica. Naturalmente nessuno si aspetta una accoglienza a braccia aperte da parte dell’attuale Governo, ma la scusa della mancanza di fondi che viene spesso accampata per non fare nulla, nello specifico della proposta della CGIL non regge perché si dice cosa fare e come trovare le risorse conseguenti.