La prevedibile durata dell’uranio

Franco Bianco
www.paneacqua.org

Il problema nucleare può essere affrontato da varie angolazioni, come è stato largamente fatto da fonti diverse ed estremamente attendibili; anche questo giornale, che si schiera risolutamente nel campo anti-nuclearista, e di conseguenza sostiene il SI al quesito referendario, ha dedicato più interventi all’argomento. In questo breve articolo vogliamo illustrare ragionare ”con i” e ”sui” numeri

Facendo, secondo lui, sfoggio di lungimiranza – come si addice agli statisti – e di competenza energetica – che non si sa da dove gli derivi -, il nostro Presidente del Consiglio ha dichiarato pochi giorni fa che era opportuno sottrarre il futuro del nucleare nel nostro Paese al voto del referendum, poiché esso sarebbe stato dettato da scelte ”emotive” (lui intende ”non razionali”) dovute agli accadimenti recenti (e tragici, parola che lui non ha usato) del Giappone ed avrebbe privato per molti anni l’Italia della possibilità di servirsi dell’energia nucleare. La quale – affermava solennemente il Capo del Governo – è (nientemeno!) ”l’energia del futuro”.

Il problema nucleare può essere affrontato da varie angolazioni, come è stato largamente fatto da fonti diverse ed estremamente attendibili; anche questo giornale, che si schiera risolutamente nel campo anti-nuclearista, e di conseguenza sostiene il SI al quesito referendario, ha dedicato più interventi all’argomento.

In questo breve articolo vogliamo illustrare qualche semplice dato che dimostra quanto sia inconsistente l’affermazione che con grande leggerezza – come gli succede spesso – ha prodotto il Presidente Berlusconi e che viene ossequiosamente riportata dai suoi collaboratori di Governo, che sono più rispettosi delle tesi, per quanto avventate, del loro Capo che della verità (capovolgendo così una famosa frase latina – ”magis amica veritas”, più amica la verità). Non si può fare a meno, dato l’argomento, di ragionare ”con i” e ”sui” numeri (che hanno il pregio di essere ”razionali”): ma sono numeri semplici, basta solo un po’ di attenzione (e di pazienza) da parte di chi legge.

Perché un’energia possa avere un futuro bisogna, come appare evidente a chiunque, che si possa disporre a sufficienza e per lungo tempo della materia prima necessaria a generarla: nel caso specifico, dell’uranio. Ci serviremo, in quanto sosterremo, di dati ufficiali forniti dalla WNA, World Nuclear Association, un’associazione internazionale che è la fonte che fa testo per quanto riguarda il nucleare ed i suoi vari aspetti.

Nel mondo sono attuamente operative (dato 2007) 439 centrali nucleari; di queste, 249 sono possedute da USA (104), Francia (59), Giappone (55) e Russia (31): quindi, il 57% (249 su 439) di tutte le centrali nucleari in esercizio appartiene a solo 4 Paesi, di grande forza economica e/o militare (entrambi gli aspetti sono molto importanti).

L’insieme delle 439 centrali nucleari in esercizio consuma, ogni anno, 66.000-68.000 tonnellate di uranio (!). E’ un dato che molti non si aspettano, ma è la realtà.

Le riserve complessive accertate di uranio, nel 2006, ammontavano a 3.622.000 tonnellate: di conseguenza, ai consumi attuali dovuti alle 439 centrali complessive (68.000 tonnellate l’anno) l’uranio esistente basterebbe quindi per circa 50 anni.

Ma c’è un’altra considerazione da fare: il 67% delle riserve complessive di uranio, per circa 2.426.000 tonnellate, è posseduto da 4 soli Paesi: Australia (30%), Canada (12%), Kazakistan (17%) e Sud Africa (8%). Di questi, è noto a tutti che solo i primi due, Australia e Canada, possono essere considerati, ad oggi, politicamente stabili (caratteristica importantissima, perché è su di essa che si basa una ragionevole sicurezza di approvvigionamento): ed essi posseggono, insieme, il 42% delle riserve di uranio complessive.

Incrociando i dati esposti, se ne desume che l’uranio posseduto dai due Paesi politicamente più stabili può garantire, da solo, poco più di una ventina d’anni di autonomia all’insieme delle 439 centrali nucleari in esercizio (il 42% corrisponde a circa un milione e mezzo di tonnellate; ad un consumo annuo di 68.000 tonnellate, queste danno 22 anni di autonomia). E questo ai consumi attuali: è del tutto evidente che, se le centrali aumentassero, l’autonomia – cioè la durata della disponibilità di uranio – diminuirebbe (si pensi che la sola Cina, che attualmente ne ha 11, ha programmato la costruzione di altre 24 centrali).

Non solo: quei quattro Paesi suddetti, che detengono il 57% delle centrali operative, sarebbero i più avvantaggiati, data la loro forza economica e militare, nell’approvvigionamento di uranio dai Paesi stabili, se insorgessero instabilità tali da rendere problematico l’acquisto di uranio dai produttori ”minori” (che sono quasi tutti ”instabili”). Se è lecito, come sembra abbastanza plausibile, stabilire una relazione lineare, al 57% delle centrali corriponde un consumo annuo di uranio di circa 40.000 tonnellate o poco meno (il 57% del consumo complessivo delle 439 centrali attive, che tutte insieme valgono 68.000 tonnellate all’anno).

Quei due Paesi stabili, Australia e Canada, con il loro milione e mezzo di tonnellate, basterebbero per garantire ai ”quattro Grandi” – solo a loro – meno di 40 anni di operatività. Tutto questo fa intravedere scenari estremamente preoccupanti di competizione per la risorsa uranio, se pure la situazione energetica mondiale restasse così com’è; ancora peggio se altre centrali si aggiungessero a quelle esistenti, o se queste venissero sostituite da centrali più grandi e quindi con maggior consumo di uranio: perché l’ipotesi di ”guerre dell’uranio” sarebbe tutt’altro che peregrina.

Già queste brevi ed elementari considerazioni bastano a dimostrare quanto sia precaria la situazione dell’uranio come risorsa, e come essa lasci prefigurare scenari che non è esagerato definire angosciosi: come si fa, allora, a pensare che l’energia nucleare possa essere ”l’energia del futuro”, se le riserve di cui si dispone sono così scarse, e se il ”gioco” dell’approvvigionamento non potrebbe che favorire chi è più forte, a scapito degli altri? Se questo avvenisse, come farebbero quegli altri a soddisfare le loro esigenze energetiche, ad alimentare le loro attuali 190 centrali, o quelle che sarebbero? E si badi: in tutto questo ragionamento non si è nemmeno accennato al problema del prezzo dell’uranio; mentre è ben noto che, quando una risorsa comincia a scarseggiare, il suo prezzo va alle stelle (questa sarà, se mai, un’altra puntata del discorso: quella sulla presunta – e falsa – ”economicità” del nucleare).

Il nucleare, anche per le ragioni sopra esposte (e per mille altre), è un’esperienza da concludere: per questo occorre votare SI al referendum (a tutt’oggi esso non è stato escluso).