Pedofilia, l’alibi del Vaticano

Enzo Mazzi, Cdb Isolotto – Firenze
il manifesto, 8 maggio 2002

“Tolleranza zero: è inquietante questa assunzione da parte del potere ecclesiastico del linguaggio aggressivo tipico della destra a livello mondiale. Ed è ancor più inquietante che nessuna voce, per quanto mi risulti, si sia levata né dentro né fuori dalla Chiesa per denunciare una tale aberrazione. La pedofilia è un crimine e quella dei preti lo è a un livello di gravità e pericolosità smisurata. Ed è certamente irresponsabile chi l’ha coperta col silenzio. Ma la “tolleranza zero” va ben oltre i normali strumenti che la società ha approntato per sanzionare tale crimine. Esula dalla razionalità che s’interroga sui fenomeni e sulle cause per individuare strategie efficaci.

È un messaggio che ha il sapore della prepotenza globale. I preti pedofili sono per lo più il frutto di una educazione e di una condizione di vita repressiva e autoritaria che ha impedito lo sviluppo equilibrato della loro personalità e li mantiene in condizione di nevrosi di vario tipo. La psicoanalisi ha consentito di studiare sistematicamente un tale fenomeno che fino a qualche decina di anni fa era affidato al fiuto della saggezza popolare, consegnato a motti, fiabe, racconti, o alla riflessione di filosofi e romanzieri. Oggi esistono studi di rilievo come quello ponderoso del teologo e psicanalista tedesco Eugen Drewermann Funzionari di Dio (Raetia, Bolzano, 1995).

In molti preti l’educazione repressiva, la condizione di vita, la identificazione totale col ruolo, i sensi di colpa producono sofferenze, squilibri, ossessioni, che normalmente vengono superate, se così si può dire, in chiave ascetico-sacrificale. Quanti eroismi di dedizione totale sono il frutto di tali macerazioni psichiche! E questo è il bene, a volte il bene ammirevole, che viene dal male; è il positivo che scaturisce dalle mutilazioni dell’anima e del corpo.

In alcuni preti invece tutto ciò induce a comportamenti distruttivi al limite del suicidio e alla pedofilia. Tale fenomeno, la pedofilia del clero, non è affatto limitato al Nord America ed è ovunque molto più vasto di quanto emerga: affermano ciò persone che conoscono bene il mondo ecclesiastico. Non è un prodotto del lassismo moderno, come si vuol far credere. Anzi forse una maggiore libertà del clero anche in campo sessuale ha contribuito a contenerlo. È un fenomeno antico, come del resto la pedofilia intra-familiare.

Se oggi emerge e fa scandalo non è perché si sia aggravato ma perché le vittime e i loro genitori hanno il coraggio di denunciare gli abusi e perché il potere del clero è meno assoluto ed è bilanciato da altri poteri fra cui quelli della magistratura. La quale incomincia ad osare in campi minati come l’autonomia delle religioni e la vischiosità dell’etica. Ripeto: il fenomeno della pedofilia del clero nelle sacrestie, nei seminari, negli istituti, nelle scuole è vasto. Ma anche se fosse molto contenuto è un frutto e un segno della distorsione sia nel campo del reclutamento del clero sia in quello della sua formazione e della sua condizione di vita.

Ai preti viene inculcato il disprezzo per il corpo, in particolare per la sessualità, e la fobia della donna. E sono inviati in mezzo alla gente come ministri anzi come segni personali del disprezzo per la carne. Esagerazioni? Certo non sono più attuali gli eccessi preconciliari. Il celibato non è più considerato, come avveniva fino alla riforma conciliare, una condizione di vita superiore. La veste talare capace di nascondere il corpo e di rendere incerta la identità la portano ormai in pochi. I seminaristi non sono più costretti a spogliarsi solo dopo essere entrati nel proprio letto e a rivestirsi prima di uscirne al mattino e non sono più chiusi a chiave dall’esterno nella loro cameretta durante tutta la notte.

Quella rozzezza medioevale è stata sostituita da metodi più sottili ma ugualmente repressivi. E soprattutto resta la sostanza. Che senso ha il celibato obbligatorio del prete, sottolineo l’aggettivo “obbligatorio”, se non quello di porre una separazione netta fra sacro e sesso? Il prete in quanto essere “consacrato” e quindi “separato” deve astenersi dai rapporti che investano la sfera sessuale. Al di là delle consapevolezze e della buona fede dei singoli, non è questo il segno, incarnato da una persona, dell’esaltazione del sacro e del disprezzo per ciò che non è considerato in sé sacro, il corpo e il sesso appunto? E non è forse vero che il peccato per antonomasia continua ad essere identificato nell’uso in qualsiasi modo della sessualità al di fuori del matrimonio?

Ogni pur minima trasgressione del sesto comandamento non è tutt’ora considerata un peccato sempre grave contro Dio, peccato che solo il prete può cancellare con l’assoluzione? Questo “non poter vivere senza il prete che ti assolve” sembra che generi attrazione verso il sacerdozio, cioè verso il possesso del potere di sciogliere e di legare, proprio nelle personalità più fragili nel campo della gestione del proprio corpo e nella consapevolezza della propria identità.

Il matrimonio dei preti potrebbe attenuare il fenomeno della pedofilia ecclesiastica ma non risolverebbe fino in fondo il problema dogmatico e simbolico relativo al discredito del corpo e della sessualità. Perché mai c’è bisogno del prete per contrarre matrimonio? Perché la gestione del corpo viene sottratta alla responsabilità personale, alle dinamiche delle relazioni interpersonali e al laico ordinamento della società e alle sue regole? Se la liceità morale dell’uso della propria sessualità è sottoposta alla legittimazione di una superiore ed esterna autorità sacra allora vuol che la sessualità in sé è peccaminosa.

Una sessualità che ha bisogno di essere purificata e per così dire “lavata” col sacramento del matrimonio vuol dire che è sporca. Anche il prete la cui sessualità fosse stata “lavata” e resa pura col sacramento, cioè il prete sposato, in chiesa resterebbe pur sempre sacerdote, essere sacro dotato a sua volta del potere di “lavare” la sessualità degli altri e quindi continuerebbe ad essere segno di una sacralità repressiva, di una sacralità del disprezzo.

È in queste profondità esistenziali e teologiche che si annida il cancro della disumanizzazione. Da lì, anche da lì, nasce l’inclinazione alla pedofilia. La tolleranza zero contro i preti pedofili si presta ad essere considerata solo un alibi per non uscire dal medioevo ecclesiastico. Il potere ecclesiastico sembra ancora convinto che per la salvezza del mondo non esiste nessun’altra dimensione della fede se non quella della colpa, del sacrificio e del perdono calato dall’alto.

Sarà anche un perdono paterno e pieno di misericordia quello concesso dal potere divino di sciogliere e di legare ma è certo fonte di angoscia perché marca e riproduce il senso di colpa e crea dipendenza totale proprio nelle persone più fragili per le quali se venisse a mancare quel perdono il giudizio divino di condanna resterebbe senza appello per tutta l’eternità.
L’anello del peccato e del perdono incatena alla dipendenza dal potere di sciogliere e di legare della Chiesa.

Chi si trova nelle sue maglie è portato a sentirsi come un bambino bisognoso della mamma, la Chiesa appunto, per sopravvivere in senso etico, esistenziale e morale. La confessione rigidamente individuale ora ribadita da un nuovo documento pontificio può essere vista proprio come la saldatura di una tale dipendenza infantile. Il perdono, di cui tutti abbiamo bisogno, è sottratto alla rete delle relazioni e posto sotto il dominio e il ricatto di un potere sacro, come avviene per la sessualità, l’amore e la vita.

Se si dovesse parlare di tolleranza zero bisognerebbe rivolgerla a questa teologia e pratica che non esiterei a definire “pedofilia strutturale”. Gli esseri umani sono oggetto, come bambini appunto, dell’amore materno della Chiesa in funzione della stabilità della Chiesa stessa perché da tale stabilità dipende la loro salvezza eterna e la salvezza del mondo. In nome di tale amore materno si sono accesi i roghi, si sono convertiti a forza gli indigeni, si sono fatte guerre di religione. In nome di tale amore si continua a educare i bambini al senso del peccato, del sacrificio, del perdono.

Sarebbe esagerato chiamare “pedofilia strutturale” questo amore spietato per gli uomini-bambini? Per fortuna ci sono tanti preti che non praticano più una tale pastorale che ho definito “strutturalmente pedofila” e ci sono tanti teologi che negano il peccato originale e la teologia sacrificale. Essi affermano che il sesso è in sé sacro, l’amore è in sé sacro, il matrimonio è in sé sacro. Per loro il sacramento è il gioioso riconoscimento nel cerchio comunitario del dono divino della sacralità insito nella creazione e l’assunzione responsabile di tale sacralità.

Il sacramento, ogni sacramento compreso il matrimonio, è fondato sulla eucaristia che vuol dire proprio “rendimento di grazie”. E Gesù è il testimone di tale sacralità e non invece il suo ricatto. Ma coloro che sostengono questa visione della fede non sono affatto considerati in linea, sono anzi eretici. Per la maggior parte vengono ignorati, anche se sono tanti, finché non fanno clamore. Qualcuno più in vista viene scomunicato o in altri modi condannato esemplarmente in nome dello splendore della verità.

Si apre qui una contraddizione intrigante: come può essere sacra la realtà della materia e della vita umana se il sacro è essenzialmente separazione? Se “sacro” significa proprio “separato”? La contraddizione si scioglie forse distinguendo il sacro come reificazione violenta del mistero e dell’inesplorato dal sacro come anima profonda della esistenza. Ogni potere tende a sacralizzarsi e a costituirsi in mondo a parte.

Nascono il “tempio” e il “palazzo”. Nascono le teologie e le ideologie. Nasce il concetto di Dio quale personificazione dell’alterità, “cifra assoluta dell’aggressività umana”, come lo definì Ernesto Balducci (Testimonianze 328/1990, citato più ampiamente nel mio libro in stampa presso Manifestolibri: Ernesto Balducci e il dissenso creativo). Nasce la casta dei chierici che divide il sacro dal profano, che istituisce come si è visto il cerchio vincolante peccato-sacrificio-perdono-purificazione-salvezza. All’opposto, il sacro può essere visto come miniera profonda e fonte nascosta di inedito che soggiace alla razionalità, alle provvisorie conquiste umane, alle consapevolezze e alle identità acquisite o “edite”.

Questo secondo universo del sacro è sì “separato” ma non dalla vita di cui invece è l’anima segreta. Allora in che senso è separato? In quanto è “altro” rispetto alla cultura dominante e come riserva di criticità rispetto a tutte le sacralizzazioni delle nostre provvisorietà (ho sviluppato questo tema nel libro La forza dell’esodo, Manifestolibri, Roma, 2001).

Cari cardinali, è contro la “pedofilia strutturale” della Chiesa che dovreste rivolgere la “tolleranza zero”, contro la sacralizzazione del vostro potere, contro la vostra teologia e pastorale del disprezzo. E liberate gli uomini e le donne dai pesi insopportabili che il potere ecclesiastico ha caricato da secoli sulle loro spalle, già tanto gravate dalla fatica del vivere, pesi che nemmeno voi riuscite a portare. Forse non sparirà la pedofilia ma certo verrà colpita a fondo, e non solo quella dei preti.