Europa, populismi sociali crescono

Intervista a Jean-Yves Camus di Anna Maria Merlo
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La minaccia della presenza di Marine Le Pen al secondo turno delle elezioni presidenziali francesi che avranno luogo tra un anno sta scombussolando la destra tradizionale in Francia, che rincorre l’estrema destra sul terreno delle politiche identitarie e anti-immigrazione. Il Fronte nazionale è radicato in Francia da tempo, ma adesso l’estrema destra è in crescita in molti altri paesi europei. Con un cocktail di populismo e xenofobia, paralizza la politica. C’è d’aver paura per il futuro dell’Europa? Lo chiediamo al politologo Jean-Yves Camus, politologo, esperto di estrema destra.

I diversi partiti di estrema destra che in questo periodo crescono nei vari paesi europei – l’ultimo esempio è il partito dei «Veri finlandesi» – hanno qualcosa in comune tra loro? È l’effetto della crisi economica?
Ci sono effettivamente dei punti comuni. A cominciare da un’agenda politica identitaria, che non credo sia principalmente conseguenza della crisi economica. Mi sembra un grande errore di analisi di vedere nella crescita del populismo una conseguenza quasi automatica della crisi, anche se ci sono dei punti di contatto. Il fenomeno non riguarda soltanto regioni in crisi, come dimostra la Lega in Italia, l’Udc in Svizzera o il caso della Scandinavia. La Finlandia, anche se subisce la recessione, o la Danimarca, anche se non è più ricca come una volta, non sono zone povere. Al di là degli aspetti economici, c’è una crisi di identità europea, che risulta dal fatto che parte della popolazione ha difficoltà ad ammettere che la società sta diventando, in modo definitivo, multiculturale, nel senso che si tratta di società dove vivono individui di origine, cultura, religione, etnia diverse. L’estrema destra critica questa immigrazione di popolamento. Bisognerebbe avere il coraggio di dire che queste persone sono destinate a rimanere, che non è mai successo nella storia che dei movimenti migratori massicci siano stati temporanei.

Lo straniero diventa il nuovo paradigma della paura?
L’Europa, dopo il ’45 e fino agli anni ’90 è vissuta in uno schema intellettuale confortevole di guerra fredda, con un nemico identificabile, l’Urss e il comunismo. Oggi lo schema amico/nemico si è spostato su altro obiettivo, riprendendo però il vecchio schema: pericolo esterno (era l’Urss, oggi sono l’islam e il fondamentalismo) e pericolo interno (erano i partito comunisti, oggi sono gli immigrati di religione musulmana).

L’Unione europea non ha la forza di rispondere?
Di fronte a ciò, l’Unione europea non offre un’identità forte. È un’Europa di mercato, uno spazio di circolazione di merci, capitali e servizi. Non è possibile creare un’identità europea sul modello ultraliberista. Sul lungo periodo ci si può interrogare sul senso di una costruzione europea che si sostituisca alle realtà nazionali, mentre la nazione resta la scala dove vive la maggior parte dei cittadini. Trovo che la scomparsa delle nazioni e l’utopia di creare una popolazione europea siano pericolose, soprattutto se basate sul modello e l’ideologia ultraliberista, dove tutto sarebbe indifferenziato. La difficoltà della democrazia è riuscire a conciliare l’esigenza di eguaglianza, l’adesione a valori universali, con quello che mi sembra essere la necessità di preservare le diverse culture, l’autonomia delle scelte dei cittadini, in un quadro che resterebbe nazionale. Se non ci sarà un profondo riorientamento delle politiche della Ue si andrà verso un rafforzamento del populismo, poiché gli elettori condannano un progetto europeo che non ha una dimensione sociale. Il Fronte nazionale è diventato il primo partito operaio, dei disoccupati, lo sarà della classe media in futuro, colpita dal declassamento, dal sentimento che il periodo migliore è ormai dietro le spalle, convinta che regni l’insicurezza su tutti i fronti, dall’economia ai diritti acquisiti. Sarebbe necessario un rinnovamento del software della sinistra, per trarre le conseguenze dalle sconfitte della socialdemocrazia nei vari paesi, in un contesto dove le istituzioni europee, a cominciare dalla Commissione, mancano di legittimità democratica.

Italia e Francia si scontrano sui tunisini, la guerra in Libia divide… L’unica risposta sembra dover fare dei passi indietro sulla costruzione europea.
Il problema è che non c’è unità sui principali problemi, dall’immigrazione alla politica estera. L’Ue dà l’impressione di essere un mostro freddo, una macchina per mettere in opera uno spazio di libera circolazione di merci e capitali, i cui beneficiari principali sono un’oligarchia tecnico-politica disincarnata e il capitale finanziario.

Come mai la sinistra non sembra riuscire a modificare la deriva all’estrema destra? E al tempo stesso perché la destra tradizionale corre dietro alle tesi estremiste?
A me sembra che affrontare il fenomeno dell’estrema destra in termini di antifascismo tradizionale sia obsoleto. Continuare ad assimilare i movimenti attuali con l’estrema destra tradizionale è sconnesso dalla realtà. Questi movimenti, dai Veri finlandesi al Fronte nazionale non sono fascisti, anche se questo non vuol dire che non ci sia una dimensione autoritaria al loro interno. Uno dei punti più interessanti è vedere come la destra conservatrice e l’estrema destra si uniscono in parte sulle questioni identitarie, mentre restano opposte sull’economia, sull’Europa, perché rappresentano settori sociali e settori capitalistici diversi. La destra conservatrice, Sarkozy o Berlusconi, sono più legati al mondo dell’impresa e al capitale internazionale, mentre il Fronte nazionale, la Lega o l’estrema destra fiamminga, lo sono al capitale nazionale. Nel futuro, la questione della differenza tra i due tipi di capitale e di finanza a cui le due destre sono legate sarà centrale. Questo spiega come il piccolo imprenditore voti Marine Le Pen che se la prende con la mondializzazione liberista, con la finanza ridotta a un casinò. La critica alla finanziarizzazione dell’economia può evidentemente anche essere fatta da sinistra… Ma qui si paga la fine delle ideologie, che riguarda anche la destra tradizionale, che ha voluto cancellare l’ideologia a profitto dello stato visto come un’impresa.

Quale è il maggior rischio?
Mi chiedo se l’ottica della sinistra di focalizzarsi sull’estrema destra non ci impedisca di vedere che il problema essenziale è l’evoluzione ideologica della destra conservatrice. Chi minaccia di più l’Italia oggi, Berlusconi o Fini? Credo sia Berlusconi. Anche in Francia, il nodo principale è l’indurimento ideologico della destra di governo, altrettanto che le prospettive elettorali del Fronte nazionale. Fa paura il modo in cui la destra accetta di farsi indirizzare dall’estrema destra sulle questioni identitarie. Lo si è visto in Svizzera con i referendum sui minareti e sugli stranieri delinquenti proposti dai populisti elvetici dell’Udc, ma votati da un elettorato non Udc.

L’INTERVISTATO

Jean-Yves Camus, 53 anni, politologo specialista dell’estrema destra e dei nazionalismi in Europa, ricercatore associato all’Iris (Istituto di relazioni internazionali e strategiche), è autore, tra le molte pubblicazioni, di «Estremismi in Francia: bisogna averne paura?» (Milan, 2006) e de «Il Mondo ebreo» (Milan, 2008), scritto in collaborazione con Annie-Paule Derczansky. Jean-Ives Camus ha contribuito alla redazione del «Dizionario dell’estrema destra» (Larousse, 2007) e ha curato il volume «Gli estremismi, dall’Atlantico agli Urali» (Editions de l’Aube, 1996-1998). Collabora regolarmente con i media, da «Le Monde Diplomatique» a «Charlie Hebdo», e al sito Internet Rue89. Jean-Ives Camus è stato ricercatore per il Centro di ricerca e azione sul razzismo e l’antisemitismo. Dal 2002 al 2004 ha lavorato per la Svizzera a un progetto di ricerca sull’Estremismo di destra. È membro dell’European Consortium of Political Research e della task Force on Antisemitism dell’European Jewish Congress. All’Istituto di relazioni internazionali e strategiche (Iris) ha diretto un progetto di ricerca realizzato per la Fra (Agenzia sui diritti fondamentali dell’Unione euroopea), sull’analisi dell’islamofobia nella stampa francese.