Il Popolo di Alemanno

Valerio Renzi
Carta, 24 maggio 2011

La strategia della tensione contro i movimenti a Roma e le alleanze del sindaco con l’estrema destra. Prima puntata di un’inchiesta sulle relazioni pericolose del Pdl. La via romana al berlusconismo percorre il passato nero della storia italiana.

Il 17 aprile scorso, Gianni Alemanno ha scelto una location particolare per rispondere al segretario del Partito democratico Luigi Bersani sullo stato di crisi delle aziende municipalizzate: il palco della convention del Popolo di Roma dal titolo «I Movimenti per Roma Capitale, destra sociale in azione».

Così, il sindaco di Roma ha trascorso il giorno dell’anniversario del rastrellamento nazista del Quadraro in compagnia di un personaggio che definiremo eufemisticamente ingombrante. Si tratta del leader e segretario del Popolo di Roma Giuliano Castellino, il cui nome è stato associato su enormi manifesti affissi per tutta l’urbe a quello del primo cittadino. È un personaggio dalla biografia quantomeno singolare, che però sembra non mettere in nessun imbarazzo il primo cittadino.
Castellino inizia a farsi conoscere negli anni novanta all’interno del neofascismo romano. Sono gli anni di Maurizio Boccacci, il più irriducibile degli estremisti ora a capo di «Militia», e di Movimento politico, organizzazione che verrà sciolta nel 1993 dalla cosiddetta «legge Mancino», decreto varato in occasione dell’emersione dei cosiddetti «nazi-skin» e che prevede «misure urgenti in materia di discriminazione razziale, nazionale, etnica e religiosa».

La «legge Mancino» punisce «chi diffonde in qualsiasi modo idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero incita a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali etnici o religiosi», vietando inoltre «ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente fra le sue caratteristiche e finalità la discriminazione razziale, nazionale, etnica o religiosa». I guai di Castellino con la giustizia non finiscono qui: verrà indagato nel 2000 per la bomba al cinema romano Nuova Olimpia, dove veniva proiettato un documentario sulla Shoah. La rivendicazione porta la firma del «Movimento antisionista», la stessa che comparirà in occasione dell’attentato contro il museo della Resistenza di via Tasso.

Dieci anni più tardi, in un articolo pubblicato sul giornaletto romano di Fiamma tricolore «Fare quadrato», Castellino rivendicherà esplicitamente il periodo di Movimento politico: «I primi anni novanta – scrive Castellino – furono caratterizzati da una nuova ventata movimentistica, certamente diversa da quella precedente. Furono gli anni della lotta all’immigrazione [i primi a proporla in Italia] e dell’antagonismo alla partitocrazia avvelenata da tangentopoli. Ci fu il ritorno nelle borgate e soprattutto di un sano ritorno al fascismo»

L’estrema destra si consolida nella curva sud dello stadio Olimpico. Castellino gravita attorno a Forza nuova, il movimentino di Roberto Fiore e Massimo Morsello [di quest’ultimo sposa anche la figlia], arrivando ad esserne uno dei volti pubblici. Comincia la transumanza dei gruppuscoli della destra più estrema. Poi fonda assieme a Maurizio Boccacci «Base autonoma». Nel 2005, Castellino e Boccacci traslocano in Fiamma Tricolore, dando vita ad un partitino neofascista che riunisce assieme vecchi tromboni nostalgici con i giovani bone-head e i gruppi della nuova destra radicale.

Castellino diventa dirigente della Fiamma e qui nasce il suo sodalizio con Gianluca Iannone e Casa Pound Italia, anch’essa entrata nel partito, con cui costituisce l’ala «movimentista» occupando uno stabile in via Valadier: nasce «Casa Italia Prati». Più volte, in occasione della campagna elettorale del 2005, una camionetta gira per Roma diffondendo canzoni fasciste e minacciando i passanti che non rispondono al saluto romano. Viene stampato un manifesto con l’immagine di alcuni personaggi in camicia nera e manganello nel corso della marcia su Roma e lo slogan «La squadra del cuore». Mentre è dirigente della Fiamma, Castellino è condannato dopo un corteo dell’11 marzo 2006 a Milano: il reato è «manifestazione usuale del disciolto partito fascista».

Alle elezioni del 2008, Castellino è candidato per Fiamma Tricolore nelle liste de «La Destra». Come al solito, raccoglierà pochissimi voti. Ma subito dopo la vittoria a Roma di Gianni Alemanno, il personaggio continua la sua marcia personale. Castellino comincia un rapidissimo processo di avvicinamento ai palazzi del potere, che lo porta ad essere uno degli uomini di riferimento del sindaco, prima con la costituzione del movimento «Area identitaria romana» e poi con il Popolo di Roma fondato nell’aprile 2009, movimento tutto incentrato nella volontà di essere esplicitamente la longa mano dell’amministrazione sui territori e nel tessuto sociale della città.

Giuliano Castellino e Gianni Alemanno

Il discorso che Castellino tiene il 17 aprile dal palco del Teatro Anfitrione è intriso di retorica e populismo. La parola «identità» si ripete continuamente, l’intento esplicito del Popolo di Roma e di questi sedicenti «movimenti per Roma Capitale» è quello di mettersi al servizio della «rivoluzione identitaria» che Alemanno e il centrodestra starebbero mettendo all’opera a Roma, costruendo un laboratorio politico nuovo che sia da esempio per tutto il paese. In altre parole, si candida a essere la longa manu del sindaco sui territori e nel tessuto sociale della città. Un tentativo patetico eppure pericoloso di costruire dall’alto, dai palazzi del governo, una base sociale e giovanile di estrema destra.

Di fatto il Popolo di Roma si presenta come la claque e il servizio d’ordine del Pdl cittadino, una struttura di base all’apparenza indipendente, che tuttavia, a giudicare dal numero di manifesti affissi e di sedi che sta aprendo, gode di appoggi non indifferenti. Castellino è un politico al servizio diretto del sindaco. Un esempio su tutti: solo due giorni dopo la convention del 17 aprile i militanti del Popolo di Roma si rendono protagonisti di una colluttazione a San Paolo: si scagliano contro alcuni i giovani «colpevoli» di contestare pacificamente Alemanno.

Con Alemanno sembra conclusa davvero la lunga marcia della destra neofascista nelle istituzioni. Quella marcia iniziata proprio a Roma con la candidatura di Gianfranco Fini nel 1994, senza bisogno di questo gran bagno purificatore nelle acque di Fiuggi dopotutto, ma anzi valorizzando tutto il personale politico della destra radicale dagli anni settanta a oggi e reinvestendolo in un progetto politico a tutto tondo, in grado di reinvestire e in parte di sussumere anche le spinte militanti e che provengono dagli ambienti più impresentabili delle destre.

Questo «laboratorio nero» che il centrodestra sta provando a realizzare a Roma non è un caso isolato nel panorama nazionale. Al contrario, si inserisce in quell’esperimento populista che è il Popolo delle Libertà: un contenitore tenuto insieme dall’uomo forte Silvio Berlusconi, che però è in grado di accogliere anche il patrimonio ideologico del neofascismo nostrano, in virtù di un progetto di governance e governo sostanzialmente autoritario.

Quello che stupisce è però la sfacciataggine con cui il Gianni Alemanno sta portando avanti il suo progetto. Il sindaco non ha nessuna remora quando si tratta di nominare l’ex naziskin Stefano Andrini ai vertici di Ama e di investire così tanto, politicamente ed economicamente, in un progetto come il Popolo di Roma. O, ancora, inserendo nel nuovo bilancio comunale – in tempi di crisi e taglio delle spese sociali, una voce di più di 11 milioni di euro per l’acquisto del palazzo di Casa Pound in via Napoleone III.

Roma soffre la crisi. Il prossimo bilancio costerà lacrime e sangue, si farà sentire in una città immobile in cui l’azione dell’amministrazione è impalpabile, non basterà inondare i territori della città di propaganda sulla romanità o di iniziative-spot, virtuali e irrealizzabili, come la Formula 1 all’Eur ad Alemanno per spuntarla. L’attuale giunta capitolina assomiglia sempre più a un comitato d’affari pronto a sistemare e finanziare cricche e amici. Ecco perché ha bisogno delle truppe cammellate dei gruppuscoli dell’estrema destra, per scatenare la logica dello scontro nelle piazze, tenere imbrigliata l’opposizione nella società e spostare l’attenzione dai fallimenti del governo cittadino.