L’amore omosessuale, un’opera di Dio

Silvia Cerami
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«E’ il Signore che ha creato gli omosessuali: e pensare che Lui abbia creato qualcosa di sbagliato è blasfemo. Il Papa, che è un teologo, dovrebbe capirlo». Parla il sacerdote gesuita John McNeill: «Sono felice di essere a Roma per celebrare negli stessi giorni la Pentecoste e l’Europride»

«L’amore omosessuale può essere un amore santo». «Il matrimonio gay è basato su persone che si sentono alla pari e il Papa dovrebbe capirlo». «La Chiesa dovrebbe superare la sua misoginia». A dirlo è John McNeill, sacerdote cattolico, fra i pionieri del movimento di liberazione dei diritti umani delle persone LGBT.

Mc Neill, arrivato a Roma dalla Florida, per presentare all’Europride, in anteprima mondiale, “Taking a Chance On God” (Scommettere su Dio) il documentario sulla sua vita del regista Brendan Fay, afferma con fermezza che «visto che anche la Chiesa riconosce l’omosessualità come qualcosa di innato, allora Dio ci ha creato così e pensare che ha creato qualcosa di sbagliato è blasfemo».

I suoi scritti, in particolare “La Chiesa e gli omosessuali”, hanno ispirato la nascita di Dignity, movimento che lega gli omosessuali cattolici nel mondo, ma hanno causato anche una dura reazione delle autorità della Chiesa che gli hanno imposto il silenzio. Lui non l’ha rispettato. «Non potevo accettare un documento del Vaticano che definiva l’omosessualità come un disordine oggettivo», fa notare, «perché essere dipendenti da una persona che ti dice cosa fare è un atteggiamento infantile».

Nell’87 l’allora cardinale Ratzinger le ha ordinato il silenzio sulla questione dell’omosessualità. Lei non ha obbedito ed è stato espulso dall’ordine dei gesuiti. Pensa che ora si possa aprire un dialogo con Papa Benedetto XVI?
«Non ne ho idea. Spero che riveda la dottrina della Chiesa in chiave diversa. Si è creata una divisione tra quello che pensa il Papa rispetto alla base cattolica, basti considerare che il 65 per cento dei cattolici americani è favorevole ai matrimoni tra omosessuali. Ogni volta che Papa Benedetto XVI ribadisce posizioni retrograde, come sulle coppie di fatto, sui preservativi e sui gay, mette una distanza con il suo popolo, invece di ascoltarlo. Il matrimonio eterosessuale è nato nel XIII secolo ed è stato introdotto per sancire la compravendita della donna, considerata inferiore all’uomo. Il matrimonio gay invece è basato su persone che si sentono alla pari. Il Papa dovrebbe capirlo. Ma soprattutto io penso che il vero capo della Chiesa sia lo Spirito Santo. Il Papa è solo il leader politico del momento».

In cosa dovrebbe cambiare l’atteggiamento della Chiesa?
«La Chiesa dovrebbe innanzitutto superare la sua misoginia. A causa della misoginia la nostra cultura è portata a far sopprimere il lato femminile e ad impedire rapporti liberi. La Chiesa dovrebbe poi prendere in maggior considerazione le Scritture. Nella cultura ebraica la mancanza di procreazione era considerata una colpa, ma il profeta Isaia sostiene che anche gli eunuchi avranno un posto nel regno dei cieli, perché la Chiesa è una Chiesa per tutti. Il messaggio di speranza del Nuovo Testamento è davvero importante, come dimostra l’incontro tra l’apostolo Filippo e un eunuco etiope che viene battezzato e che tornato in Etiopia fonda la prima comunità cristiana fuori Gerusalemme. La Chiesa non deve guardare le persone omosessuali e dire loro cosa devono fare. La Chiesa dovrebbe essere fatta con il contributo di ciascuno di noi. Il movimento Dignity è diventato un modello, perché è basato sul messaggio della Chiesa originaria, che promuove l’inclusione».

Quanto è diffusa l’omosessualità nel clero cattolico? C’è una doppia morale della Chiesa per cui viene condannato il disordine morale e si chiude un occhio sui preti gay che insegnano nei seminari e predicano dai pulpiti?
«Ritengo ci siano molti omosessuali tra i sacerdoti perché le persone che esplorano il loro lato femminile sono più spirituali e questo vale in molte culture. Noi nasciamo gay, ma essere gay non vuol dire avere relazioni omosessuali. Conosco molti sacerdoti che ne hanno avuti e molti altri no. Essere omosessuale non è un peccato per la Chiesa, ma lo è solo avere relazioni sessuali. Il problema è che tu puoi essere un prete gay e non ti succede nulla, ma se sfidi e metti in dubbio gli insegnamenti della Chiesa è un problema. Inoltre, recentemente, in coincidenza con lo scandalo della pedofilia è stata presa una decisione paradossale: se sei omosessuale non puoi entrare in seminario»

C’è il rischio che si mescoli omosessualità con pedofilia?
«Si, stanno mischiando le cose e lo fa soprattutto la gerarchia cattolica omosessuale che odia se stessa. Ha interiorizzato che essere omosessuale è sbagliato, ma voglio far notare che se tutti abbiamo acclarato, Chiesa compresa, che l’omosessualità è qualcosa di innato, allora Dio ci ha creato così e pensare che ha creato qualcosa di sbagliato è blasfemo».

Cosa ha scritto nella lettera che consegnerà ai leader della Congregazione Vaticana della Dottrina e della Fede?
«Sono venuto a Roma perché ho visto una particolare coincidenza: negli stessi giorni si celebreranno l’Europride e la Pentecoste. Lo vedo come un segno di speranza. Per la prima volta all’Europride è stata inserita ufficialmente una sezione di eventi sul tema fede e omosessualità. Nella lettera ricordo che i rapporti tra le persone dello stesso sesso possono essere buoni e frutto di un amore santo. Inoltre chiedo dialogo con la gerarchia e soprattutto che la Chiesa condanni a voce alta le violenze e le discriminazioni sofferte dalle persone LGBT. Nelle Scritture il messaggio chiave dello Spirito Santo è “Stai attento, sto facendo qualcosa di nuovo, puoi percepirlo?”. E’ questo il messaggio che deve cogliere la gerarchia».

Ma lei aveva già provato a scrivere a Giovanni Paolo II, ottenne una risposta?
«Negli anni ’90 ho scritto una lettera a Papa Wojtyla, scrivendo persino in italiano “Basta, basta, basta”, ma non ho avuto risposta. Ci sono migliaia di giovani omosessuali cattolici che tentano di uniformarsi all’insegnamento della Chiesa Cattolica, ma spesso scoprono che per farlo devono distruggere la propria persona. La Chiesa non può comportarsi così. Dobbiamo trovare un altro modo per arrivare a Dio. Un modo che non sia la gerarchia e sviluppare quello che i padri della Chiesa chiamavano “l’ascolto della coscienza”. Dobbiamo ascoltare quello che Dio dice alle nostre coscienze. Lo dobbiamo fare direttamente, perché essere dipendenti da una persona che ti dice cosa fare è un atteggiamento infantile».