Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio

Marcello Vigli
da www.italialaica.it

Dio non ha bisogno di Cesare, al quale chiede solo leggi che, conciliando libertà individuale ed esigenze sociali, consentano ai suoi fedeli di onorarlo con qualunque nome lo chiamino, all’interno di un regime di autentico pluralismo culturale, idoneo a favorire non solo rispetto reciproco, ma anche interazione e contaminazione fra orientamenti diversi e a realizzare un regime nel quale non sia permesso a nessuno di coartare in suo nome la libertà e che sia fondato su un’autentica laicità delle istituzioni ispirata ad una rinnovata cultura della stessa laicità.

Negli ultimi mesi le esplosioni popolari nel mondo arabo e i moti che ne sono seguiti, provocando il crollo di regimi considerati solidi in Egitto e in Tunisia e che continuano, pur senza lo stesso successo in altri Stati, inducono a rivedere lo schema che vuole solo il Corano e la shari’a capaci di ispirare spinte al cambiamento fra gli islamici. Lo si era già sperimentato, in verità, nella lotta di liberazione degli algerini contro la dominazione francese, nella creazione di regimi “laici” al Cairo e a Damasco e nei primi passi della resistenza palestinese.

Le condizioni economiche disagiate e il bisogno di libertà, intrecciandosi, sono tornati ad essere impulsi al cambiamento anche là dove impera repressione e/o conformismo religioso. Perfino in Iran sembrano emergere le prime crepe nel rigido regime islamico degli Ayatollah.

È presto per valutare lo spessore e le qualità del nuovo che avanza, ma è certo che il fattore religioso ha subìto un ridimensionamento come espressione identitaria e/o fonte di iniziativa politica, anche se non si può pensare che sia diventato improvvisamente irrilevante. Non si può ignorare, infatti, il perdurare ovunque dell’uso politico della religione, anche nello stesso Egitto con il riemergere del conflitto fra copti e islamici, da tutti formalmente condannato ma forse solo funzionale a mettere in crisi il processo di democratizzazione del Paese.

Anche nei paesi cristiani tale uso non viene meno: negli Usa dove le scelte religiose hanno ispirato molti elettori nelle scelte politiche nelle elezioni di mid term, nell’Europa che riabilita il crocefisso e nell’Italia che scippa il Primo maggio con la frettolosa beatificazione di papa Woytjla.

Al contrario in Brasile non hanno avuto successo gli appelli dei leader cristiani circolati per internet, sulla stampa e in alcune chiese, che, chiedevano al popolo in nome della fede di non votare Dilma Rousseff con il pretesto che essa sarebbe favorevole all’aborto, al matrimonio tra omosessuali e ad altre misure considerate “contrarie alla morale” provocando la dura reazione di altri cattolici e protestanti.

C’è da chiedersi se questo ridimensionamento del valore propulsivo della religione, pur nel permanere della sua strumentalizzazione, non offra elementi nuovi per rilanciare ed aggiornare

la riflessione sul rapporto fra religione e politica per eliminare l’uso della prima come criterio discriminante in regime democratico.

Tale riflessione è particolarmente urgente nel nostro Paese dove è sempre più determinante il ruolo esercitato dalla gerarchia ecclesiastica e dall’integralismo cattolico grazie alla sfacciata strumentalizzazione berlusconiana, alla spregiudicata ambiguità della Lega e in presenza di un’inerzia complice dei cattolici all’opposizione, condizionati da un falso senso di appartenenza, e di una subalternità culturale dei tanti altri politici antiberlusconiani.

A renderla urgente è l’acuirsi della crisi che sta attraversando la nostra società per il progressivo sfaldamento dell’etica sociale su cui si sta innestando un declino istituzionale, che mette a repentaglio la tenuta del sistema democratico ben oltre il declino del berlusconismo.

Ad ostacolarla pesa una sorta di rassegnazione di fronte all’ineluttabilità di un primato della religione, che proprio gli ultimi eventi sembrano mettere, invece, in discussione là dove sembrava indiscusso.

Politica e Religione, o Cesare e Dio?

Può giovare un richiamo alla distinzione fra quello che è di Cesare e quello che è di Dio, invocata dal Profeta di Nazareth. Usato in nome di Cesare per legittimare la separazione fra Chiesa e Stato nei paesi cattolici, può essere recuperato rovesciando l’ottica per invocarlo nel nome di Dio.

L’uso di questi appellativi Cesare e Dio, rende più concreto il problema del rapporto fra religione e politica e subito evidente il limite dei poteri del primo e le contraddizioni in chi pretende di rappresentare il secondo.

Non demonizza, infatti, il potere, ma delegittima ogni sua pretesa ad essere assoluto, sottraendo l’individuo alla sua piena soggezione. Non si riduce a fondare l’obiezione di coscienza, ma afferma che l’autorità, pur se legittimamente investita, benedetta da un’autorità religiosa o ispirata ad un’ideologia totalitaria, ha un limite invalicabile.

Tale diventa, infatti, il divino non istituzionalizzato in Chiese, ma interiorizzato come “altro trascendente”, per chi crede. La fede nel primato di Dio impegna ad opporsi ad ogni assolutizzazione del potere, anche se esso è esercitato da chi pretende di rappresentarlo sulla terra e di essere autorizzato a proclamare l’imperioso: “Dio lo vuole”.

Anche nelle comunità dei credenti, infatti, c’è chi pretende di agire come Cesare!

È il caso, in particolare, degli ayatollah iraniani e della gerarchia cattolica: diversi, ma meno responsabili quelli di questa perché non hanno, come fonte del loro credo, il messaggio evangelico del quale è parte integrante il primato della coscienza, cardine della libertà della persona. Una libertà a prova di Dio perché, come dice Agostino, Dio che ti ha fatto senza di te non può salvarti senza di te.

Una libertà che non è manifestazione di un titanismo irriverente o di un individualismo esasperato, ma diritto all’autodeterminazione nella rivendicazione della propria libertà e nel riconoscimento di quella degli altri in una prospettiva di solidarietà. Libertà nei confronti di Cesare che diventa tiranno e nei confronti di chi pretende di ridurre Dio a Cesare, per di più autoritario

Una fede religiosa, ispirata a questi principi, dovrebbe essere in grado di sviluppare un potenziale di individui capaci di promuovere “umanità” e di creare coesione sociale, da un lato, e dall’altro opposizione all’autoritarismo sia nella politica sia nella religione.

Nella Chiesa cattolica, invece, i fedeli sono privati, di fatto, dell’autonomia nelle scelte dei modi di testimoniare la loro fede e inglobati in un “mondo cattolico” in nome del quale la sola gerarchia è autorizzata a determinarli.

La gerarchia cattolica ha, infatti, riservato la libertà alla sola “coscienza informata”. Nella Caritas in Veritate Benedetto XVI afferma che “l’unica garanzia di libertà” è la “fedeltà alla verità”, della quale il papa è depositario.

Dio non ha bisogno di Concordati con Cesare

Nel nostro Paese questo farsi Cesare della gerarchia, legittimato dagli atei devoti e non solo, è codificato in un Trattato internazionale, richiamato nell’art. 7 della Costituzione e rafforzato dagli’Accordi del 1984 fra Stato italiano e Santa Sede, che modificano il Concordato lateranense del 1929, firmati da Bettino Craxi e approvati da tutte le forze parlamentari con l’eccezione della Sinistra indipendente formata per metà di deputati cattolici.

Esso va ben oltre la riaffermazione che lo Stato e la Chiesa cattolica sono ciascuno nel proprio ordine indipendenti e sovrani. Nel preambolo si sancisce, infatti, anche l’impegno alla reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese.

Si è deliberatamente ignorato che le divergenze fra la nostra Costituzione e il Codice di Diritto canonico avrebbero impedito la reciprocità legittimando, invece, i cedimenti alle richieste delle gerarchie ecclesiastiche di governi desiderosi del loro appoggio nelle materie sottratte alla libera competenza statale e assoggettate al vincolo pattizio.

Dalla distinzione evangelica fra ciò che è dovuto a Cesare e ciò che è dovuto a Dio, si può, invece, ripartire per riscoprire sia il contributo dato dalle legittimazioni politiche alle forme autoritarie in cui viene esercitato il ruolo delle gerarchie nelle dinamiche interne della comunità ecclesiale, sia il contributo dato da queste al rafforzamento delle forze antidemocratiche.

A Dio, in verità, non serve che Cesare legittimi l’ordinamento che le diverse comunità religiose si sono date, tanto meno che ne rafforzi le gerarchie interne con privilegi discriminanti per i non credenti. È necessario restituire a Dio quel che è di Dio e a Cesare quel che è di Cesare.

Non serve, quindi, trincerarsi dietro l’irriformabilità unilaterale del regime concordatario e dell’indisponibilità della gerarchia a rinunciare alle condizioni di privilegio che ne derivano.

Non serve moltiplicare le Intese con le confessioni che ancora ne sono prive e con gruppi religiosi sopraggiunti attraverso i flussi migratori, tanto meno estenderle alle formazioni ateistiche per par condicio.

Non serve sostenere la proposta di legge sulla libertà religiosa in discussione perché questa non ha bisogno di maggiori tutele o garanzie diverse dalle altre libertà.

Serve piuttosto rovesciare il fronte e cominciare a riconquistare gli spazi in cui il potere e l’ingerenza delle gerarchie ecclesiastiche oltrepassano quelli garantiti dal regime concordatario.

La scuola offre ampio spazio d’intervento in questa direzione: si può regolamentare la presenza dell’insegnamento della religione cattolica (irc) in modo più rispettoso della sua facoltatività, regolata per legge, ampiamente ridotta, invece, da circolari applicative e da prassi locali tollerate, quando non sollecitate.

Bisogna avviare l’eliminazione del ruolo dei docenti di religione, riducendone per di più il numero, in funzione del servizio realmente necessario e le “competenze” acquisite surrettiziamente in nome di un’inesistente parità dell’irc con le altre discipline. Applicare seriamente le norme imposte dalla legge di parità scolastica, in attesa della sua abolizione. Intervenire, inoltre, drasticamente nel ridimensionamento delle convenzioni fra sanità pubblica e privata.

Sconvolgere il sistema del finanziamento alle chiese cominciando con l’eliminazione della scandalosa ripartizione delle quote dell’otto per mille non destinate dai contribuenti, per finire con l’estendere il diritto a partecipare alla ripartizione del suo ammontare alle organizzazioni ed enti oggi destinatari del 5 per mille, che andrebbe perciò abolito.

Le premessa per poter avviare questa nuova strategia nei confronti del regime concordatario deve essere la sua delegittimazione attraverso una campagna culturale ispirata proprio alle novità di cui abbiamo parlato. Anche nella società italiana e nella stessa comunità ecclesiale orientamenti e consapevolezze sulla sessualità, sulla morte, sui rapporti familiari stanno profondamente mutando, nel bene e nel male.

Non siamo forse ad una svolta del comune sentire pari a quella che consentì l‘approvazione delle leggi sul divorzio, sulla interruzione della gravidanza e sul regime familiare, ma lo sfacciato affermarsi del clerico-berlusconismo, in concomitanza con la crisi di credibilità dell’istituzione ecclesiastica, semina insoddisfazione verso una situazione considerata insostenibile.

Solo il controllo della virtualità mediatica offerto dall’impero berlusconiano lascia emergere a fatica l’insofferenza sociale e il disagio ecclesiale verso una gerarchia ecclesiastica che, per di più, sostituisce alla forza eversiva del messaggio evangelico la difesa di “valori eticamente sensibili”.

Bisogna avere il coraggio politico di dar loro voce e prospettive di cambiamento affermando che Dio non ha bisogno di Cesare, al quale chiede solo leggi che, conciliando libertà individuale ed esigenze sociali, consentano ai suoi fedeli di onorarlo con qualunque nome lo chiamino, all’interno di un regime di autentico pluralismo culturale, idoneo a favorire non solo rispetto reciproco, ma anche interazione e contaminazione fra orientamenti diversi e a realizzare un regime nel quale non sia permesso a nessuno di coartare in suo nome la libertà e che sia fondato su un’autentica laicità delle istituzioni ispirata ad una rinnovata cultura della stessa laicità.

L’obiettivo è ambizioso e illusorio? Non quanto quello che mosse chi, oltre centocinquantanni fa, si mise in cammino per creare un’Italia unita a spese, anche, di un Potere temporale con oltre mille anni di vita.