Dio, il seminatore stolto

Fabio Perroni *
Adista n. 46/2011

Commento al Vangelo di Matteo cap. 13,1-23

Gesù esce da casa, il seminatore esce a seminare. Si esce per seminare e per incontrare. Perché solo sulla strada e nei campi c’è la vita, quindi la salvezza: gli uomini e le donne, l’incontro, il Dio di Gesù. La casa, le Chiese, le religioni ci nascondono, ci creano recinti e zolle di terra dove il seme non trova il terreno fertile, il terreno della fede, ma solo quello della religione.

Stare in strada ci aiuta a fonderci anche con quell’uomo di strada che è Gesù. Ma soprattutto ad uscire dalle nostre certezze, dai rapporti che ci soffocano. Non sappiamo cosa ci aspetta là. È lo stupore e la meraviglia dell’ignoto e della novità.

La parabola: simbolo. Simbolo che stupisce, che cresce, che si rivela dentro ognuno, uomo o donna, con modalità nuove. La parabola scuote, svela, vela. I simboli, le parabole nascondono, ma anche svelano messaggi nel silenzio della loro profondità, che ogni donna e ogni uomo leggono con una propria personale chiave. Personale.

Perché l’omologazione di questo miracolo della parola dentro ogni donna e ogni uomo è la morte della parola stessa, una morte che colpisce tutti. Tassello del grande mosaico dell’amore di Dio svelato da Gesù, la parola è un simbolo offerto a tutti coloro che “ascoltano”, libera di raggiungere le donne e gli uomini che sono “fuori”. Fuori dalle case, fuori dai palazzi del potere e delle gerarchie di ogni religione.

Seminatore, rovi, strada, rocce. Questo seminatore è uno stolto? Uno che semina ovunque anche sulla strada, anche tra i rovi, anche tra le rocce? Il seminatore non scarta, anzi. Dà ad ognuno una possibilità nuova, che andrebbe persa altrimenti. La semina è da sempre un nuovo inizio. Che errore aver perso la profondità e la rivoluzionarietà di questo.

Ma soprattutto la paura che ormai domina dentro i templi, è annidata contro “il nuovo”! Semina soprattutto fuori dal solco, perchè non c’è solco. Stolto, semina non nei campi religiosi, nei campi delle sinagoghe, delle Chiese, dei templi delle religioni, ma ovunque, perché ovunque c’è l’uomo.

Ma perché cambiare? Si è fatto sempre così. Soffochiamo il seme. È come rintanarsi in casa. È dirottare lo spirito, non permettergli di creare cose nuove ogni giorno. Siamo custodi del vecchio, custodi di un mondo, di relazioni, di politiche da conservare.

No, tu non puoi stare qui con me. Io sto dentro la mia Chiesa che ha regole e codici. Che ha liturgie e riti. Tu devi bussare ed entrare, se ti apro. Le persone omosessuali con i loro amori, le persone transessuali con le difficoltà connesse al semplice quotidiano, guardate come mostri per poi essere oggetto dei desideri più nascosti, con gli immigrati stipati come bestie sui barconi nel canale di Sicilia oggi, o gli albanesi dell’Adriatico ieri, i rom che sono solo oggetti delle nostre elemosine, guardati con sospetto appena incrociano le nostre strade. Sono i barboni che puzzano in modo schifoso, ma con la profanda dignità di non chiedere nulla.

Bussano come semi gettati silenziosi. La Parola, il seme, l’abbiamo chiusa dentro le nostre teologie e razionalità, dentro i codici e i pensieri forti. Uscire è negare la mediazione dei magisteri, dei sommi sacerdoti, delle teologie dogmatiche, delle regole e dei codici

Che seme è quello gettato? Non è importante, è importante il percorso che il seme fa. È importante il processo di trasformazione e di cura che la terra buona offre per la nascita di una pianta. È il processo di amore di gioia, di tenerezza, di giustizia ma soprattutto di fiducia che trasforma i semi gettati nel nostro quotidiano da sconosciuti seminatori che trasformano, il domani del seme.

*Cofondatore dell’Associazione LiberaMenteNoi, componente del gruppo romano di Noi Siamo Chiesa