Fare memoria per ritrovare un cammino comune. Due storie ecclesiali si incontrano in un carteggio

Giampaolo Petrucci
Adista n. 48/2011

Un breve carteggio – con il valore aggiunto di una «sincerità senza orpelli e senza pregiudizi che manca in tante comunicazioni ufficiali» –, intercorso tra due esponenti “storici” della Chiesa fiorentina, rivela inedite convergenze tra realtà ecclesiali che, dopo vicende (e vicissitudini) diverse ed a volte contrastanti, hanno da tempo avviato un fecondo dibattito, alla ricerca di un terreno di riflessione (e di azione) comune.

Ad interloquire, da un lato, don Enzo Mazzi, storico animatore della Comunità di Base dell’Isolotto, a Firenze, e, dall’altro, Bruna Bocchini Camaiani, docente di storia della Chiesa Moderna e Contemporanea all’Università di Firenze, tra i promotori del gruppo “Lettera alla Chiesa fiorentina”, che dal 2007, dopo il caso Welby e il “Family day”, ha cominciato a manifestare apertamente la propria critica all’ingerenza dei vescovi nelle questioni politiche, rivendicando con forza l’autonomia dei laici nella sfera temporale.

Sono credenti radicati nelle proprie comunità parrocchiali, attivi nell’associazionismo, diversi per storia e cultura politica ed ecclesiale da coloro che in passato venivano sbrigativamente definiti “cattolici del dissenso”; ma accomunati al cattolicesimo di base da un sempre più esplicito senso di sofferenza e disagio per il modo in cui operano i vertici ecclesiastici.

Lo spunto del carteggio, iniziato lo scorso aprile, è stato l’invito di Bruna Bocchini – accolto «senza riserve» da don Enzo – a sottoscrivere la lettera Per interrompere il silenzio, promossa dal suo gruppo (v. Adista n. 36/11), per «manifestare il turbamento e il grave disagio di quanti si sentono parte viva della comunità ecclesiale e, per questo, sentono il dovere di interrogarsi, di reagire, di non stare in silenzio e chiedono giudizi evangelici, non opportunistici e diplomatici, sulla situazione politica ed ecclesiale italiana.

Da tempo infatti manca, da parte di larghi settori della gerarchia, un giudizio chiaro sulla crescente ingiustizia sociale, sul rifiuto ostentato di solidarietà e sul razzismo mostrato verso i migranti, sulla corruzione della vita pubblica, sulla immoralità di modelli di vita basati sulla ricchezza e sul potere che in vario modo vengono proposti ed esaltati».

La lettera, con toni interlocutori ma fermi, evidenzia la crescente disaffezione della base cattolica (parroci, gruppi, fedeli, giornali diocesani) dalla classe politica e, parallelamente, il disagio della prima di fronte ai silenzi offerti dalle gerarchie, in maniera più o meno esplicita, in cambio di potere e privilegi.

«Gli interrogativi che proponete – scrive don Enzo a Bruna Bocchini – non sono cahiers de doléances in una monarchia assoluta, ma piuttosto indicazioni di ricerca di un Popolo di Dio regale che esiste da sempre nella Chiesa come asse portante, anche prima che il Concilio codificasse la sua centralità».

E per rispondere alle molte domande sollevate, incalza nella stessa missiva, «non basta guardare avanti. Occorre anche rompere la vera e propria damnatio memoriae a cui sono condannate le esperienze che in passato hanno aperto varchi e tracciato sentieri».

Mazzi eleva la memoria a strumento privilegiato per recuperare «l’anima sociale della Chiesa dei poveri che ha resistito alla strategia dell’annullamento nella miriade di esperienze soprattutto di base che hanno continuato a vivere e svilupparsi creativamente in tutto il mondo, specialmente negli anfratti della cosiddetta “grande storia”».

In tale direzione, afferma Mazzi, vanno ricerche come quella di Christian De Vito pubblicata dalla Ediesse, Mondo operaio e cristianesimo di base. L’esperienza dell’Isolotto di Firenze (v. Adista n. 39/11, acquistabile anche presso Adista, tel. 06/6868692, e-mail: abbonamenti@adista.it), che ricostruisce «tutta la storia della Chiesa fiorentina (oltre che del mondo operaio) dal dopoguerra ad oggi, la pastorale conciliare e sociale del card. Dalla Costa, Facibeni e la Madonnina del Grappa, Borghi e i preti operai, le “parrocchie rosse”, Barbiana, la pastorale accogliente e pluralista del card. Piovanelli, il lavoro di penetrazione culturale di Balducci, ecc.».

«La necessità della memoria», risponde la Camaiani, «riguarda proprio tutti», non è solo patrimonio dei gruppi cosiddetti “dissidenti”, e «comunque è una memoria conflittuale».

Ma, replica Mazzi, se il conflitto va necessariamente ascritto ad un particolare contesto storico (gli anni della grande contestazione) è vero anche che «la Chiesa dei poveri e della Liberazione non è estremismo, né solo conflitto con l’Istituzione, ma esperienza innovativa complessa e sostanzialmente positiva inserita nel grande processo mondiale di rinnovamento che ha segnato la Chiesa nel secolo scorso prima e dopo il Concilio».

Più che la categoria del conflitto, dunque, don Enzo suggerisce di impiegare «il paradigma teologico e storico della resurrezione» per narrare «la ricerca di fede e di vita che ha accompagnato fino ad oggi le esperienze la cui memoria potrebbe aiutarci a trovare strade nuove e a gestire il conflitto che immancabilmente accompagna ogni parto storico».