La radici della P4 nelle stragi del ’93

Enzo Mazzi (Cdb Isolotto – Firenze)
il manifesto, 24 giugno

Negli stessi giorni in cui esplodeva lo scandalo della P4, nell’aula bunker di Firenze si riapriva il processo sulle stragi del ’93. Il nesso temporale fra i due eventi è puramente casuale, ma ha una potente valenza simbolica. Il sistema di potere instaurato dalla P4 ha avuto nella stagione delle stragi la sua levatrice.

Lo dice con coraggio e con forza l’avvocato Danilo Ammannato, che rappresenta 18 familiari delle vittime di via dei Georgofili, la Regione Toscana, il Comune di Firenze. «Tutto inizia da Riina», dice Ammannato nella sua arringa. Il 30 gennaio ’92 la Cassazione, per la prima volta, confermò le condanne al gotha di Cosa Nostra. È una data storica.

Brusca ha detto: «Tutto inizia da lì. Riina non aveva mai avuto un ergastolo». Il significato della sentenza è che il vecchio referente politico (Lima, Andreotti) non esisteva più, non funzionava più. Da qui scatta il movente delle stragi del 1992: la vendetta.

Per vendetta vengono uccisi Salvo Lima, europarlamentare eletto in Sicilia con 600 mila voti, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, con le rispettive scorte, l’esattore Ignazio Salvo e si pianifica l’assassinio del magistrato Pietro Grasso.

Nel frattempo, il 17 febbraio ’92 con l’arresto di Mario Chiesa è partita l’inchiesta Mani Pulite che “rompe il giocattolo”, cioè il sistema politico, economico, imprenditoriale sul quale Cosa Nostra aveva fino ad allora contato. E inizia la trattativa con un nuovo sistema che sta emergendo.

Lo scrivono anche i giudici estensori della prima sentenza sulle stragi: la trattativa ci fu. Una eventualità del genere fa rabbrividire, scrissero i giudici. E la trattativa fu idonea a convincere i mafiosi che la strage pagava, perché lo Stato cedeva.

Dopo l’arresto di Riina parte la campagna delle stragi sul continente. Dopodiché vengono chiuse le carceri dell’Asinara e di Pianosa, e arriva in Parlamento la norma di legge che doveva consentire anche agli imputati di strage di ricorrere al giudizio abbreviato, con pratica conseguente abolizione dell’ergastolo.

Che era ciò che chiedeva Riina nel famoso “papello”. Nel ’93, dopo l’arresto di Riina, il ministro Martelli è costretto a dimettersi per la vicenda del Conto Protezione. Gli subentra Giovanni Conso. Il primo aprile la mafia decide di fare le stragi in continente. Il 14 maggio attentato in via Fauro a Roma contro Maurizio Costanzo. Il 15 maggio il ministro Conso toglie 140 decreti del 41 bis.

Cancemi racconterà che nella primavera del ’93 Provenzano gli dice: «Le cose marciano bene, il 41 bis va a morire». Per tutto il corso del ’92 Riina aveva detto che si sarebbe giocato i denti per far abolire la legge sui pentiti, l’ergastolo, il sequestro dei beni, il carcere duro.

E Cancemi, già nel ’99, in udienza pubblica, aveva dichiarato che all’epoca Riina sosteneva di avere nelle sue mani Dell’Utri e Berlusconi (non ancora in politica). Il 4 giugno ’93, pochi giorni dopo la strage di Firenze, il governo sostituisce al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Amato con Capriotti.

Il 20 luglio il 41 bis viene confermato e una settimana più tardi Cosa Nostra aziona di nuovo il tritolo, con gli attentati di Roma e Milano. Il pentito Sinacori racconta che in agosto il senatore dc Inzerillo dice: «Non avete ottenuto nulla, con un governo che un po’ è fermo e un po’ cede».

A questo punto l’avvocato Ammannato arriva all’incontro fra Graviano e Spatuzza del gennaio ’94 al bar Doney di Roma. Graviano dice: «Abbiamo l’Italia nelle mani, abbiamo concluso tutto», il che significa che ci sono nuovi referenti, Dell’Utri e Berlusconi.

Nel contempo dà personalmente l’ordine di eseguire l’attentato dell’Olimpico contro cento carabinieri, per dare il “colpo di grazia” alla trattativa perdente, quella con il colonnello dei carabinieri Mario Mori, il cui terminale era il ministro Mancino. Il colpo di grazia ai vecchi referenti apre la strada ai nuovi.

Ammannato conferma le connessioni fra la stagione delle stragi e il sistema di potere che incatena la società italiana, connessioni «riconducibili al disegno di rendere praticabile la strada delle modificazioni istituzionali che apertamente e da vario tempo il potere piduista aveva invocato, modificazioni funzionali alla conservazione del potere politico-economico nelle mani della oligarchia conservatrice» (sentenza-ordinanza dell’86 dei giudici istruttori di Bologna, Vito Zincani e Sergio Castaldo).

La lezione è chiara: finché i centri di potere che hanno utilizzato il terrorismo restano impuniti non si può abbassare la guardia della memoria e la ricerca della verità.