Su la testa!

Marie-Laure Josselin
Adista Contesti n° 50 del 25 giugno

In Africa più che altrove le donne fanno fatica a farsi strada in politica. Ma qualche significativa eccezione potrebbe fare scuola

In politica, le donne devono sgomitare per farsi largo. È così ovunque nel mondo ma è ancora più vero in Africa. Nel continente, le donne elette a livello locale rappresentano circa il 12%, una cifra in costante aumento. Una cifra però ingannevole perché in alcuni Paesi non si arriva all’1%. Per salire i gradini, le donne devono battersi contro gli stereotipi, contro la mentalità e a volte anche contro… altre donne.

«Ciò che la politica insegna alle donne, è che niente è dovuto loro». Aissata Tall Sall infila le sue scarpe da ginnastica, la tuta, annoda un foulard rosso per tenere i suoi capelli a caschetto e si appresta ad affrontare il tapis roulant, come da anni fa con il mondo molto maschile della politica.

Lo sport quotidiano, questa toucouleur (etnia dell’Africa Occidentale appartenente al gruppo Fula, ndt) senegalese l’ha scoperto dopo le elezioni perse dal suo partito, quello socialista, nel 2000. Fin dai suoi primi passi nella politica, Aissata Tall Sall, oggi avvocata e sindaca di Podor, nel nord del Paese, sapeva di doversela cavare in un ambiente maschile. «Ho avuto la fortuna di avere un padre che ha mandato a scuola sia me che le mie sorelle, ed è lì che ho capito che c’era una serie di ostacoli da superare», confida.

«Non si trattava solo di andare a scuola, ma bisognava battersi, diploma dopo diploma, per avanzare nel percorso scolastico. Alla fine questo forgia il carattere e fa sì che si pensi che tutto è possibile». A questa difficoltà di andare avanti nel percorso scolastico, si aggiungono le reticenze della sua famiglia. Sua madre e suo nonno hanno paura che resti “zitella”. Con tutta questa formazione, dove lo trova un marito? I cliché sulla tradizionale ripartizione dei ruoli tra uomini e donne sono ancora solidi…

«In Africa, il vostro posto è in cucina!». Quante volte le donne che si lanciano in politica hanno sentito questa frase. Davanti a una platea di donne, nel marzo scorso a Tangeri, in occasione del Forum delle donne africane elette a livello locale, Brigitte Rasamoelina è insorta contro questa divisione dei ruoli, portata avanti dall’infanzia. È scesa dal palco. C’era un uomo a vederla, scontento, che riteneva che si stesse spingendo un po’ troppo oltre.

E questa dottoressa malgascia di 50 anni, che ha giocato tanto con le bambole che a pallone con il suo fratellino, gli ha risposto: «Dalla più tenera infanzia, la bambina aiuta la mamma e il bambino gioca a pallone. Non va bene, quando diventerà grande sarà stato abituato a vedere sua sorella cucinare o pulire la casa mentre lui sarà stato privilegiato. Oggi, ci sono donne calciatrici, le donne guidano la macchina. Se si vuole instaurare la parità non bisogna veicolare stereotipi sin dall’infanzia!».

Né femminista, né estremista

Questa graziosa bruna dice di non essere né femminista né estremista. Suo nonno, politico, l’ha ispirata, suo marito l’ha spronata e poi l’alternanza politica del 2002 nel suo Paese l’ha incoraggiata a entrare in questo campo. Salvo poi restare velocemente delusa, rendendosi conto che «le donne sono considerate mani per applaudire ma che quando si tratta di attribuire un posto, lo si dà a un uomo, qualche che sia il suo valore». Stessa constatazione per Aissata Tall Sall: «Vecchi cliché si tramandano di generazione in generazione.

Gli ambienti più conservatori, più refrattari ai cambiamenti, sono quelli politici, è una delle ragioni per cui è spesso difficile che una volta arrivati al potere, la democrazia si trasformi come dovrebbe, perché già nell’opposizione e nei partiti politici, la democrazia interna fa troppo spesso difetto». Sa di cosa parla, anche se è diventata una dei dirigenti del Partito socialista senegalese: «Faccio parte di uno dei più vecchi partiti politici del continente che classifica i militanti secondo il loro sesso».

In maniera generale, le donne sono ghettizzate allo stadio di semplici militanti. «Le donne non possono dimostrare che sono capaci di conquistare il potere politico essendo confinate al livello di animatrici di partiti politici con i boubous (abiti tipici, ndt) e i foulard che vengono loro offerti», denuncia Aissata Tall Sall.

Per quanto la riguarda, non se ne parla di lasciare i posti decisionali agli uomini: «Ho voluto rompere». «Questo ha creato un grande dibattito ma alla fine ci si è arrivati». Al punto che pensa già alle presidenziali del 2012. Ellen Johnson Sirleaf ha mostrato la via in Liberia nel 2006.

Anche il Senegal ha avuto una donna, una delle poche del continente, primo ministro: Mame Madior Boye (2001-2002). Le donne rappresentano l’11% degli esecutivi locali, una legge sulla parità nelle liste elettorali è stata votata nel 2010 ed è in attesa di promulgazione. Il Senegal si attesterebbe dunque nella media.

Nonostante non vi siano statistiche, si parla di una media del 12% di donne elette a livello locale sul continente africano, una cifra gonfiata dai buoni risultati di alcuni Paesi come il Rwanda, che ha il 56% di donne in Parlamento, o ancora l’Africa del Sud, il Mozambico e l’Uganda, aiutati da un sistema di quote.

«Prima, in Rwanda, noi donne non avevano diritto di parola davanti agli uomini ma ora siamo su un piano di uguaglianza, possiamo giocare lo stesso ruolo in politica», spiega Eugénie Musanabaganawa, militante nel suo Paese del Partito della prosperità e della solidarietà. La dirigente di questa formazione, Phoebe Kanyange, non nasconde d’altronde che spera di essere la prossima presidente del Paese.

«Le donne rappresentano ovunque il 50% della popolazione, eppure, quando si guarda ai governi locali, la situazione non è rosea», ammette Jean-Pierre Elong-Mbassi, segretario generale delle città e dei governi locali uniti d’Africa (Cglua). «Come è possibile che le donne che amministrano la vita quotidiana siano così poco rappresentate a livello di collettività locali?», insorge.

«È difficile per loro. Bisogna tenere presente la grande povertà delle donne in generale, non hanno alcuna autonomia finanziaria», sottolinea Elaine Hemond, fondatrice del Gruppo donne, politica e democrazia in Québec. Secondo il Cglua le donne rappresentano il 70% dei poveri del Continente, possiedono meno del 2% delle terre, beneficiano di meno del 5% dei prestiti bancari e non hanno generalmente la padronanza dei testi, delle procedure o degli ingranaggi.

Ragion per cui Elaine Hemond forma delle donne, soprattutto del Niger, all’impegno politico, alla negoziazione del potere, con lo scopo che si affermino nella comunità conservando la loro identità. «Le donne spesso pensano che non possono che fare proprio il discorso del partito, ma devono portare i loro messaggi, i loro valori, le loro visioni politiche».

Il peso delle convenzioni

Il padre di Odette Mouyayou Ndember, quinta sindaca aggiunta di Libreville, le diceva che lei era un uomo, cosa che fa sorridere questa donna che si lamenta in cambio della mancanza di sostegno delle sue “sorelle”. «Nella maggioranza dei casi, siamo più incoraggiate dagli uomini che dalle donne! Il nemico della donna è la donna stessa», dice.

E poi ci sono anche le cattive abitudini, come tutti quelli che gratificano Fatimetou Mint Abdel Malick, sindaca di Tevragh-Zeina, nel cuore di Nouakchott in Mauritania, con un «signor sindaco!». La piccola donna dal carattere forte ha preso l’abitudine di rettificare sistematicamente. Infine, ne parlano tutte: conciliare la vita familiare e il mandato elettorale non è così scontato.

Alcune, come Malika El Rhannoussi, hanno anche a-spettato la pensione per lanciarsi in politica. Incontrata a Tangeri, nel marzo scorso, questa anziana insegnante marocchina puntava il dito verso uno spazio pulito tra due palazzi, poi verso dei lampioni. «Il mio lavoro è riparare questo. La luce è rotta, faccio una telefonata. Qui c’era un cumulo di macerie, ora è tutto pulito! Sono fiera di seguire il mio lavoro fino alla fine», spiegava senza dissimulare il suo piacere. «Non faccio politica, sono contenta di essere eletta per aiutare i cittadini, tutto qui».

Anche Malika partecipava al Forum delle donne d’Africa elette localmente. «Non appartengo più alla cucina, ma allo spazio pubblico!», ha detto in questa occasione con forza l’anziana parlamentare keniana Esther Keino: «Dobbiamo aiutare le nostre sorelle che sono ancora confinate in cucina. Più donne ci saranno nello spazio pubblico, ai posti di comando e più saranno buone le decisioni prese».

Infine, Aissata Tall Sall confessa che gli uomini «pensano di poter negoziare di più» con lei quando è in abiti tradizionali piuttosto che quando è in pantaloni o in tailleur occidentale, perché l’immagine della donna africana fa pensare di poter ottenere maggiori concessioni.

Come la mauritana Fatimetou, «stanca di questo lavoro stressante, un po’ ingrato ma con la soddisfazione morale di rendere contenti i cittadini», la senegalese confida di essere anche lei spesso stanca ma «che ogni giorno emerge una nuova forza di volontà», e anche se vuole credere che il prossimo ostacolo sarà l’ultimo, dentro di sé sa che non è vero: «È il gioco della politica, il gioco della vita. Non c’è che la morte a separarcene». Scoppia a ridere e torna sul suo tapis roulant, ad allenare il suo corpo per accompagnare il suo spirito di combattente.

Tratto dal portale di informazione All Africa (6 giugno 2011). Titolo originale: Afrique: La difficile émergence des femmes africaines en politique