Cooperazione internazionale dell’Italia: prospettive future

Vincenzo Pira
www.paneacqua.eu

La cooperazione internazionale per un paese come l’Italia non può essere una moda che viene messa nell’agenda politica a secondo delle convenienze del momento. Purtroppo non è mai stata tra le priorità della politica estera anche se ogni tanto, soprattutto durante i vertici internazionali, si fanno promesse di rilancio e di maggior impegno per ridurre il divario esistente tra mondi ricchi e poveri del pianeta

Rispettare gli impegni e investire risorse adeguate nella cooperazione internazionale

Dal punto di vista quantitativo, le risorse italiane disponibili per l’Aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS) italiano sono negli ultimi anni progressivamente diminuite dallo 0,34% del PIL (del 1992) allo 0,15 % del PIL nel 2010. Ben distanti dallo 0,7 % assunto come percentuale a livello OCSE e UE.

La conferenza internazionale sul finanziamento dello sviluppo, tenutasi a Monterrey (Messico) dal 18 al 22 marzo 2002, ha portato ad un consenso sul finanziamento dello sviluppo mondiale nei paesi in via di sviluppo. L’UE, che contribuisce per oltre il 50% in materia di aiuti pubblici allo sviluppo su scala mondiale, ha svolto un ruolo significativo nel successo di tale conferenza.

La Commissione europea ha invitato gli Stati membri a continuare ad aumentare i rispettivi bilanci per gli aiuti pubblici allo sviluppo (APS) e ad oltrepassare gli impegni assunti a Monterrey. Essa propone di stabilire per il rapporto APS/PNL un nuovo obiettivo individuale minimo dello 0,51% entro il 2010 (0,17% per i nuovi Stati membri), portando così il contributo collettivo dell’UE allo 0,56%.

Questo impegno si tradurrebbe in un aumento di 20 miliardi di euro all’anno e consentirebbe di raggiungere nel 2015 l’obiettivo dello 0,7% del PNL. Negli ultimi 20 anni, l’APS annuale è stata fra i 50 miliardi e i 60 miliardi di dollari USA, ma ha superato i 100 miliardi di dollari già nel 2005 (OCSE, 2009).

Non solo aiuti ma nuove relazioni qualitativamente diverse

La qualità degli aiuti è un aspetto fondamentale per l’UE, che provvederà a controllare l’osservanza del suo impegno a garantire l’efficacia degli aiuti, in particolare definendo obiettivi concreti per il 2010. I principi fondamentali in questo contesto sono la titolarità nazionale, il coordinamento e l’armonizzazione dei donatori (già a partire dal livello locale), l’allineamento ai sistemi dei paesi destinatari e l’orientamento ai risultati. Saranno sviluppati meccanismi di aiuto più prevedibili che consentiranno ai paesi partner di definire una programmazione efficace.
L’UE promuoverà un migliore coordinamento e una maggiore complementarità tra i donatori, puntando su una programmazione pluriennale congiunta, basata sulle strategie e sulle procedure dei paesi partner, su meccanismi comuni di attuazione e sul ricorso a dispositivi di cofinanziamento. Inoltre favorirà la coerenza delle politiche di sviluppo in vari settori.
Ripensare i paradigmi fondamentali della cooperazione prendendo atto del fallimento della strategia assistenziale degli aiuti e denunciare un uso troppo strumentale e, spesso speculativo, delle emergenze e degli aiuti umanitari.

Il sistema Italia nella cooperazione europea e multilaterale

Il Dac / OCSE, all’inizio del 2010, ha inviato un documento che traccia un quadro critico della cooperazione italiana.
Rileva che non esiste ancora un ampio consenso politico su come arrivare ad una riforma della Legge n. 49/87, nonostante i diversi tentativi fatti nelle precedenti legislature e l’unanime consenso di tale necessità. Si nota che l’Italia mancherà di molto l’obiettivo europeo per il 2010 per risorse destinate allo sviluppo, lo 0,51% del PIL. E, più grave, sarà tra i paesi responsabili del fallimento di tutta l’Unione Europea, che aveva promesso di destinare all’aiuto lo 0,56 % del PIL dell’Europa a 15.

La raccomandazione è quella di presentare un piano d’incrementi di lungo periodo che consentirà all’Italia di avere un programma di cooperazione credibile. Lo scarso investimento politico-finanziario e l’inadeguatezza della normativa contribuiscono a spiegare anche altre carenze messe in evidenza dal documento del DAC:

• l’assenza di una visione strategica d’insieme e di valutazioni sistematiche per i programmi di cooperazione allo sviluppo dal 2002;
• l’insufficiente coordinamento tra Ministero degli Affari esteri, Ministero dell’Economia, Ministero dell’Ambiente, dipartimento della Protezione civile e amministrazioni locali per le iniziative di cooperazione allo sviluppo;
• la progressiva riduzione del personale tecnico per la cooperazione allo sviluppo;
• una programmazione geografica inattuata, con l’Africa Sub-sahariana che vede ridurre progressivamente la quota d’aiuto italiano nonostante sia regione prioritaria dal 2005;
• nessun progresso sulla questione della coerenza delle politiche tra le relazioni esterne dell’Italia e gli obiettivi della cooperazione allo sviluppo;
• la maggior parte delle misure non realizzate sono a “costo zero”, ma lo scarso investimento finanziario ha un peso. È il segnale del disinteresse della classe politica e del progressivo smantellamento della struttura della cooperazione allo sviluppo, che non trova ragioni e motivazioni per riformarsi profondamente dal suo interno ma procede per inerzia, a vista.

Il Dac prescrive una cura completa di riforme da somministrare nell’arco di quattro anni, ma non fa i conti con il fatto che le nuove sedici raccomandazioni possano restare inattuate come quelle del 2004 per negligenza e per oggettiva difficoltà di una struttura indebolita.

La lista di raccomandazioni da realizzare nel primo anno si riduce a quattro:

1) incrementare progressivamente l’investimento finanziario;
2) riavviare il dibattito parlamentare sulla riforma legislativa;
3) eliminare le incoerenze;
4) realizzare valutazioni d’impatto.

Rispettare tali indicazioni è l’unico modo per poter continuare ad esistere una cooperazione internazionale pubblica dell’Italia.

É importante continuare a difendere il principio che la cooperazione è parte integrante della politica estera italiana. Parte integrante non significa strumento. Vuol dire difendere un ruolo importante degli attori di cooperazione nel pretendere coerenza tra la solidarietà e le altre scelte politiche. Significa non ridursi a un ruolo marginale fatto di elemosine che non incidono sulle cause. Assumere il ruolo di rilevanza adeguato nell’ambito della comunità internazionale e nei rapporti multilaterali in Europa, nelle Nazioni Unite e negli ambiti collegati.

Il Parlamento deve svolgere la funzione di indirizzo e di controllo con efficacia. Come?

È questo uno dei punti più controversi e anche polemicamente discussi nelle scorse legislature.

Alcuni parlamentari hanno proposto l’esistenza di una Commissione bicamerale permanente di vigilanza sulla cooperazione. Dalle loro stesse testimonianze si sottolinea la difficoltà di far funzionare le commissioni parlamentari. Poco tempo, troppe cose da seguire, poche mezzi, supporti inadeguati. Se viene meno un funzionamento pieno di questa funzione si perde la dimensione fondamentale di indirizzo e controllo che renda politica di cooperazione, nel più vasto ambito di quella estera, qualcosa di coerente con le indicazioni del mandato democratico di parlamentari. O si danno le condizioni per far funzionare bene le attività di indirizzo e controllo oppure viene meno un pilastro fondamentale e tutto l’edificio rischia di crollare.

Se questo tema deve avere una maggior attenzione e divenire prioritario è meglio prevedere l’istituzione di una Commissione speciale per la cooperazione con parlamentari che si occupino nella loro attività, prioritariamente, di questo settore.

L’altro punto rilevante delle nuove proposte di legge sulla cooperazione italiana – il più difficile, controverso e discusso – è la nascita dell’Agenzia per la funzione di gestione. Su questo punto è importante fare una ulteriore e pubblica istruzione per definire ogni minimo aspetto di identità, funzionamento e inter – relazione con le altre entità citate nella proposta di legge.

Occorre predisporre le cose per evitare che si crei un doppio binario tra la diplomazia tradizionale nei territori di competenza e l’azione dell’Agenzia che opera per la cooperazione amministrando milioni di Euro e gestendo rapporti che sono sempre anche politici e diplomatici. Importante l’elaborazione programmatica e la definizione delle metodologie di lavoro. Su questo occorre fare chiarezza prima della costituzione dell’Agenzia.

Occorre definire come incidere a livello comunitario affinché vi sia un reale coordinamento delle attività evitando di tornare a delegare tale materia agli stati nazionali. Condividere a livello multilaterale progettualità per il raggiungimento degli obiettivi generali condivisi.

Sono diversi anni, ormai, che la lentezza e la scarsa trasparenza delle procedure in vigore rappresentano il principale ostacolo che la DGCS deve affrontare per poter sviluppare un’azione più efficace e coerente. I tempi, spesso lunghissimi, che intercorrono tra le diverse fasi delle istruttorie dei progetti rendono molto difficoltoso realizzare in modo credibile i progetti promossi e quelli affidati e praticamente impossibile utilizzare lo strumento degli aiuti di emergenza nell’ambito della cooperazione bilaterale.

Di fronte a questa grave situazione non è sufficiente invocare l’approvazione di una nuova legge. Indipendentemente dalla sua approvazione, occorre confrontarsi da subito con le problematiche sottese all’identificazione di modalità e strumenti compatibili con i tempi e le caratteristiche operative della cooperazione internazionale.

La stessa scarsità delle risorse umane costituisce un motivo in più per “ridisegnare” un sistema di procedure in grado di funzionare a partire dalla condizioni date. Un secondo tema, strettamente collegato con quello anteriore, riguarda l’adozione di nuovi strumenti operativi capaci di riattivare in modo sostanziale la nostra cooperazione bilaterale e di rendere più agile l’utilizzazione del canale multilaterale.

Altro aspetto riguarda il riconoscimento dei “nuovi attori” della cooperazione e come fare sistema tra tutti. E qui si parla di cooperazione decentrata che è riduttivo, dome invece afferma il MAE, che sia quella che realizzano gli enti locali. E’ qualcosa di più importante e pretenzioso. Significa si il promuovere un reale decentramento di funzioni da uno Stato centralista a realtà locali dove la partecipazione e il coinvolgimento dei differenti attori sia più efficace.

Ma questo nuovo orientamento si basa su alcuni punti fondamentali e innovativi :

• Riconoscere la molteplicità degli attori nel settore della cooperazione allo sviluppo : pubblici, privati, locali, nazionali e internazionali;
• Il dialogo, la concertazione e la ricerca di obiettivi comuni tra questi differenti attori;
• La più ampia partecipazione diretta come finalità e metodologia operativa;
• L’appoggio allo sviluppo istituzionale e la formazione di questi attori;
• La gestione locale e decentralizzata degli interventi;
• Il vincolo e interazione definita tra il locale e il globale;
• Il passaggio da una visione di sviluppo meramente quantitativo (l’aumento delle ricchezze porterà benessere a tutti) a una visione qualitativa (rispetto dei diritti umani e sviluppo sostenibile).

Questa visione porta a un impegno di revisione dei nostri modelli di vita; a impostare il lavoro di solidarietà con un radicamento locale ma con una visione globale. Un rilancio positivo della cooperazione internazionale passa per alcune decisioni strategiche che devono essere assunte da tutti i soggetti coinvolti:

• Concepire prioritariamente la cooperazione come processo sistematico e coerente per la globalizzazione dei diritti umani e lo sviluppo umano sostenibile.
• Riconoscere nelle Nazioni Unite rinnovate il punto di riferimento per il coordinamento sistematico, operativo e per lo spazio di confronto in cui rafforzare il multilateralismo democratico. Il sistema ONU deve diventare il fiduciario di tutte le entità governative e delle società civili planetarie per il governo globale, la prevenzione dei conflitti, la concertazione e partecipazione che devono caratterizzare la buona cooperazione.
• Superare la frammentarietà e il progettismo per realizzare programmi strategici in accordo agli obiettivi proclamati nella Dichiarazione del Millennio, aggiornandoli criticamente sulla base delle esperienze fatte.
• Mantenere gli impegni assunti per destinare le risorse necessarie per la lotta alla povertà e lo sviluppo umano globale: destinare a tali attività almeno lo 0,7 % del PIL dei paesi ricchi.
• Favorire le azioni capillare e locali, coinvolgendo direttamente le comunità locali come protagoniste principali per la promozione della Cooperazione Decentrata e i partenariati territoriali.

Concludendo

1. Occorre riavviare il dibattito parlamentare su nuovi interventi legislativi sulla Cooperazione allo Sviluppo che – superando la Legge 49/87 – introducano direttrici radicalmente nuove su obiettivi, metodologie, attori e strumenti istituzionali.

2. Accogliere le raccomandazioni della Peer review del DAC / OCSE e indicare per ognuna di esse un’agenda di azioni concrete volte a rimuovere le criticità emerse

3. Riallineare la quantità di fondi stanziati per la Cooperazione allo Sviluppo (Legge 49) ai livelli del 2008 e assolvere agli impegni nei confronti delle Istituzioni e dei Fondi multilaterali rilanciando il sistema Italia nella cooperazione bilaterale.