PIIGS, stiamo arrivando

Angelo Miotto
www.peacereporter.net, 8 luglio

Un declassamento dell’agenzia di rating internazionale Moody’s è nell’aria. Forse questione di ore. Chi lavora sui titoli non sembra avere dubbi. E soprattutto lo sguardo degli operatori assiste a un doppio colpo, pesantissimo, per il Paese.

Italia sotto attacco speculativo, con dei numeri che fanno impressione. E che non trova nelle parole pronunciate tatticamente dall’ex numero uno di Bankitalia Mario Draghi un sollievo. Anzi. E questo è un segnale preoccupante, perché lo stesso draghi sta per sedersi alla presidenza della Bce, la banca centrale europea. Niccolò Mancini, trader a Milano e collaboratore di E il Mensile, guarda i numeri e li traduce per PeaceReporter.

Partiamo da parole ostiche ai più. Il differenziale fra i rendimenti dei titoli di stato italiani e tedeschi ha toccato un picco con quota 245 punti base. Traduciamo?
Guardando i numeri dal 3 giugno a oggi, cioè un periodo molto breve, il Btp a 10 anni ha perso il 5, 5 percento. Il Btp a 10 anni è quello della pensionata che vuole stare tranquilla sui suoi risparmi. Stiamo assistendo a un colpo pesantissimo. Stiamo perdendo terreno su tutti. Rispetto all’ indice tedesco registriamo una differenza – spread – fra le due Borse di venti punti percentuali a favore della Germania.
Il dato politico: in un Paese in cui l’ex numero uno della Banca centrale si appresta a diventare presidente della Banca centrale europea è paradossale che ci si trovi sotto attacco. L’ultima spallata l’ha data l’inchiesta P4 con il caso di Marco Milanese, che ha coinvolto anche il ministro Giulio Tremonti, l’unico referente, la figura meno discutibile di questo governo, l’uomo in cui hanno fiducia i mercati. E questo ha dato il via libera a una situazione che è già difficile dall’inizio di questa settimana che va sotto il titolo: attacco all’Italia. Ci sononvoci e rumors che ci annunciano un declassamento da parte di Moody’s.

Chi attacca l’Italia?
La speculazione internazionale, identificabile in quattro o cinque grandi banche, come Goldman Sachs o Jp Morgan, legate a qualche hedge fund aggressivo L’Italia finisce con le spalle al muro.
I prezzi dei titoli di stato scendono e quindi si alza il rendimento, quindi lo stato deve pagare più interessi. Quello che sta succedendo oggi porta a far sì che una metà della manovra finanziaria che avrà effetto dal 2013, se ne è già andata in fumo. Questi sono numeri, non opinioni. L’aumento dei tassi fa diventare ininfluente la manovra che colpisce sempre i soliti noti.

Le agenzie di rating giocano sporco
Certo, ma il problema c’è fino a quando non ci sarà una regolamentazione delle agenzie di rating. Prendiamo il Portogallo. Declassato a spazzatura, ogni fondo che avesse avuto dei titoli di stato portoghesi era costretto, per regolamento, a venderli. Tranne la Bce, che ieri ha dato una svolta mai vista, accettando titoli portoghesi come garanzia. Una cosa mai vista. La Bce avrebbe dovuto, seguendo la normale procedura, rifiutare quei titoli e certificare il default del Portogallo. La nostra situazione si è incanalata su una strada che porterà la I italiana a entrare nei cosiddetti PIGS (Portogallo, Irlanda, Grecia, Spagna) trasformandoli in PIIGS.

Perché non c’è una regolamentazione delle agenzie di rating?
Tremonti nel 2008 durante la grande crisi delle banche, aveva detto che si doveva togliere lo strapotere alle agenzie del rating, che i derivati stavano tornando a una situazione pre 2008, dipingendo una situazione con chiarezza. È lì che sono intervenuti Usa e Gran Bretagna, che vivono anche grazie al rating e che hanno rapporti stretti con le stesse agenzie. È un problema di quei paesi che hanno sul proprio territorio le banche più aggressive, che riescono a bloccare la riforma e la regolamentazione del rating.

Se Moodys taglia e declassa l’Italia?
Allora lo Stato italiano pagherà più caro il proprio debito. Non si deve creare panico, il rischio non è immediato, ma è quello che porta al default: con i tassi di interesse che schizzano e uno Stato che deve emettere nuovi titoli e garantire rendimenti più elevati si dà il via a una spirale di questo tipo.

Riflessi politici?
I mercati stanno mandando a casa il governo. Possono riuscire a resistere a Casini, a Bersani, a Di Pietro, ma ai mercati non può resistere nemmeno Berlusconi, anche perché a differenza dei politici della Prima repubblica ha ancora aziende quotate in Borsa. Più tira la corda, più è costretto ad affrontare rischi.

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Il tasso d’Europa

Ilvio Pannullo
www.altrenotizie.org

La sentenza che i mercati attendevano da Francoforte è arrivata: la Banca centrale europea ha deciso di alzare di un quarto di punto il tasso di riferimento principale in Eurolandia, portandolo dall’1,25% all’1,50%. Il rialzo dei tassi è «reso necessario dai rischi in aumento per la stabilità dei prezzi» ha dichiarato il presidente della Bce Jean Claude Trichet. Visti dall’Eurotower i tassi erano troppo vicini al minimo storico dell’1% raggiunto nel 2009 e mantenuto per ben due anni.

È sicuramente vero che un costo del denaro così basso ha continuato a favorire le spinte inflattive, ma è altresì vero che ha consentito al sistema bancario di sopravvivere allo shock causato dalla crisi americana del 2008. Nell’area euro l’inflazione ha raggiunto così il 2,7%, un livello ben superiore al 2% che è il limite teorico che si è posta storicamente la Banca centrale europea. La svalutazione della moneta e la corsa dei prezzi sono infatti da considerarsi come elementi pericolosi nell’orizzonte di un’eurozona minacciata da focolai di instabilità finanziaria da est a ovest.

Dall’altra parte anche il rialzo ha i suoi costi, anche se preferibili a un rialzo di tutto il paniere dei beni di consumo. Si tratta dunque di scelte politiche, che determinano le spalle su cui andranno a gravare maggiormente le problematiche che investono il nostro continente. Scelte – è bene ricordarlo sempre – prese unilateralmente dai banchieri e non discutibili in alcuna sede, sia politica che giudiziaria.

L’aumento dei tassi di scambio interbancario viene così scaricato sui consumatori, in maniera differente, con conseguenze dirette sui mutui delle famiglie e sui finanziamenti alle imprese. Misure che pesano in maniera ancora maggiore sui Paesi con una situazione debitoria grave. Non solo gli stati sul bordo del precipizio come Grecia e Portogallo, la cui crescita è vincolata alle imposizioni di Unione europea e Fondo monetario internazionale, ma anche per nazioni finanziariamente in bilico come la Spagna e che stanno vivendo una lunga stagnazione come l’Italia.

I maiali europei sono dunque pronti per il macello. Brucia la Grecia, brucia l’Irlanda, il Portogallo trema, mentre noi e gli spagnoli abbiamo lo stesso umore di quei maturandi che, dopo aver mancato di studiare per l’intero anno scolastico, contano i giorni mancanti al loro esame di Stato: si è fatto poco e presto toccherà rendere ragione dei propri comportamenti davanti ai professori banchieri di Francoforte. L’aria si fa ogni giorno più pesante e molte sono le persone convinte dell’inevitabilità di un collasso dell’intera eurozona. Ma non tutto è perduto: possiamo e dobbiamo reagire a quanto sta accadendo ed esistono i mezzi per far valere le ragioni della giustizia e della pace sociale.

Ma andiamo con ordine. Che è successo? Cosa sta accadendo sui mercati, ora che la crisi finanziaria si dice sia finita? La verità è che nessuna crisi nasce dal nulla e finisce nel nulla. Ci sono sempre delle cause, dei moventi, degli interessi che generano i problemi. Se questi non vengono risolti è inutile sperare in un miglioramento della situazione e, per tornare a noi, nulla di quello che andava fatto è stato fatto.

La crisi greca rappresenta in modo impietoso come il sistema finanziario, di fatto, governi ormai l’Unione Europea mediante le sue propaggini operative: la Commissione europea, il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Centrale Europea. I governi eletti dal popolo hanno scelto da tempo di fungere da rimorchio al sistema finanziario. Avrebbero dovuto riformarlo dopo l’esplosione della crisi nell’autunno del 2008, quando, con le parole del ministro tedesco dell’economia di allora, Peer Steinbruck, «abbiamo visto il fondo dell’abisso». È vero che a Bruxelles si discute da due anni di riforme finanziarie, ma dinanzi alla natura e alle dimensioni del problema si tratta del solito secchiello per vuotare il mare.

Non avendo riformato il sistema finanziario, ed avendolo anzi aiutato a diventare più potente di prima, i governi europei si trovano ora esposti alle sue pretese. Giusto com’è avvenuto negli Stati Uniti. Al momento il sistema pretende che siano salvate le banche dalla crisi del debito greco, in vista di altre richieste analoghe che nei prossimi mesi potrebbero riguardare il Portogallo, la Spagna, l’Italia. Fedeli al loro ruolo di organi democraticamente eletti che non vedono alternative se non quella di soggiacere al dettato di organi mai eletti da nessuno – quali sono la Commissione Europea, la Bce e l’Fmi – i governi dell’Unione sono unanimi nell’esigere dalla Grecia di ridurre drasticamente il suo debito pubblico. Ha vissuto al disopra dei suoi mezzi, affermano, e ora deve imboccare un severo percorso di austerità.

Da cosa sia formato ed in cosa consista tale percorso lo sanno tutti, anche perché è lo stesso che quasi tutti i governi europei, compreso quello italiano, stanno proponendo ai loro cittadini: tagliare i salari, le pensioni, la sanità, la scuola; privatizzare tutto, i trasporti, i servizi collettivi, le isole, i porti, le spiagge e, perché no, il Partenone, il Colosseo e la Sagrada Familia.

Bisogna capire che quanto accade oggi in Grecia, accadrà presto in Italia: la Grecia non è il nostro futuro, è il nostro domani mattina. Quanto sta avvenendo altro non è se non un grande esperimento. Se funziona in Grecia il modello sarà esportato ovunque. Non è dunque questione di fraternità o solidarietà, si tratta di noi, della nostra vita, della nostra futura sopravvivenza. La logica di Francoforte è infatti entrata in piena collisione con il patto sociale che ha retto fino ad oggi la possibile creazione politica del nostro continente. Adesso sono i popoli a essere entrati in conflitto con le banche.

Ciò che nella sostanza si afferma e che viene veicolato dall’intero mainstream televisivo, con ossessiva volgarità, ci spinge a credere che i popoli – alcuni popoli – non siano capaci di vivere in questo sistema, dove tutto appare calcolato salvo poi non funzionare nulla. Il popolo portoghese, irlandese, italiano, quello greco, quello spagnolo hanno la grande colpa di aver speso troppo, di non essere stati capaci di gestire le proprie società. Adesso devono quindi pagare e poi si penserà a privatizzare tutto.

Quello a cui stiamo assistendo è dunque un ricatto: la sopravvivenza in cambio della cessione a tempo illimitato della propria sovranità. Siamo quindi ad una svolta, un passaggio che sarà ricordato nei decenni che seguiranno. Se cediamo, cederemo tutti insieme e cederemo tutto quanto abbiamo da cedere.