Una manovra classista

Angelo Miotto
www.peacereporter.net

La destra italiana ed europea fa pagare la crisi ai meno abbienti. Intervista a Luciano Gallino

La manovra che il governo italiano sta varando parla chiaro. I dati e gli specchietti riportati in queste ore dicono che i livelli più bassi della società, per reddito, e gran parte della classe media italiana dovrà pagare gli effetti di una crisi finanziaria che non hanno causato e nemmeno voluto. Tornano termini che sembravano superati, in tutta Europa. Classe dominante, dicono alcuni analisti che stanno studiando le manovre che si avvicendano alle diverse latitudini dei Paesi in crisi. Luciano Gallino è sociologo del lavoro. Non ha dubbi.

“Quella che il governo ha predisposto si può definire tranquillamente una manovra di classe”. Ne è convinto, professore?
Nell’insieme direi proprio di sì, perché chi ha avuto la maggiore responsabilità della crisi, che è partita dal 2007-2008, è la classe dirigente internazionale, mentre i costi della crisi (compresa l’ultima ondata) in Europa ricadono in maggior parte sulla classe lavoratrice, e le classi medie. Chi non ha avuto responsabilità per questa crisi, ora paga il conto.

L’elemento classista, a questo punto, è doloso.
Quasi tutti i governi europei, compreso il nostro, sono di destra e rappresentano efficacemente gli interessi delle classi che hanno potere politico, economico e ideologico. C’è una consonanza molto evidente fra gli interessi di una classe che molti chiamano classe dominante a livello internazionale e che, naturalmente, fa il possibile per far ricadere ogni tipo di costo sul basso, verso classi meno abbienti, meno fortunate.

È una scelta politica. Ho visto in tempi recenti che analisti e organi di stampa non certo di sinistra criticano questa dinamica affermando che i governi europei hanno deciso di socializzare le perdite, dovute soprattutto all’inefficienza del sistema finanziario, e scaricare i costi sui più deboli

Con una manovra che colpisce famiglie, lavoro dipendente, sanità, che tipo di politica industriale avremmo bisogno per poter pensare che non sarà una manovra di tipo recessivo?
Quello che non è stato fatto in quindici, venti anni non si può fare in alcuni mesi. Non c’è nemmeno il più pallido tentativo di farlo. L’esempio più eclatante è l’enorme sviluppo dell’industria automobilistica tedesca e il serio declino della stessa in Italia. In Germania forti e potenti interventi del governo centrale e regionale, in Italia si è assistito semplicemente al trasferimento all’estero di produzioni o chiusura di stabilimenti come Termini Imerese senza levare un dito

Si aspetta un aumento della conflittualità sociale? Diritti negati sul tema lavoro, mani nelle tasche delle classi medie e meno abbienti…
Ci sono le premesse per un inasprimento del conflitto sociale, che può prendere diverse forme. Alcune politicamente progressive e altre un po’ meno. È interessante notare come attacchi al sistema internazionale finanziario e al legame di questo con la classe dominante vengono spesso da formazioni di destra ed estrema destra. Questo avviene in molti paesi europei. Il conflitto sociale potrebbe essere quindi non solo fra chi è stato duramente punito, senza avere responsabilità per la crisi e ora se la prende con la classe dominante. Ma anche altri che hanno una veste e una coloritura di estrema destra.

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Lacrime e sangue, ma non per i padroni

Giorgio Cremaschi
www.micromega.net

No signor Presidente della Repubblica, mi permetto di obiettarLe che questo non è il momento della coesione nazionale. Capisco le buone intenzioni di natura istituzionale, ma esse oggi lastricano una via che porta al massacro sociale in Italia come in Europa.

Non di coesione, ma di una irruzione di giustizia, eguaglianza sociale e democrazia ha oggi bisogno la nostra stanca ed inutile politica per affrontare davvero la crisi.

Giustizia, perché nessuna misura è credibile se non vanno in galera i potenti che rubano, se non si colpiscono davvero gli evasori fiscali, se non c’è un risanamento morale della politica e se non si liquida il suo intreccio con gli affari.

Eguaglianza sociale, perché sinora il mondo del lavoro, i pensionati, i disoccupati, ancor più se giovani o donne, han pagato tutti, ma proprio tutti i costi della crisi. Mentre le banche, la finanza, i padroni hanno ricevuto tutti gli aiuti possibili, li hanno intascati e han continuato a fare lo stesso di prima, peggio di prima.

Democrazia, perché non è più tollerabile che i governi dei paesi democratici siano sottoposti alla dittatura delle agenzie di rating, del fondo monetario, della banca europea. Dieci anni fa siamo scesi in piazza a Genova contro il pensiero unico liberista. Oggi in Europa c’è un governo unico delle banche, della finanza e della casta dei padroni e dei manager più ricchi che impone le sue decisioni a tutti i governi, siano essi di destra o di centrosinistra.

Dopo tre anni di sempre più vacui sogni berlusconiani l’Italia si risveglia in un incubo. Liberarsi presto di questo padrone oggi sul viale del tramonto politico ed economico è indispensabile. Ma non per cadere sotto il dominio degli altri grandi padroni uniti.

Da tre anni Berlusconi nega la crisi e annuncia la ripresa alle porte; per questo oggi la Confindustria, Cisl e Uil abbandonano la barca che affonda, per salire su quella del sistema della coesione nazionale, di cui dovrebbero far parte anche centrosinistra e Cgil.

Il fatto però è che questo nuovo punto di vista abbandona sì Berlusconi al suo sacrosanto destino, ma non le politiche liberiste che a questa crisi hanno portato. Anzi si chiede al governo di mettersi sulla via della Grecia per evitare di finire come la Grecia. Il liberismo non ha funzionato perché è stato sinora troppo compassionevole, troppo poco impopolare, ora si deve fare sul serio, questo ci chiede l ‘Europa.

Bene, a tutto questo è giunto il momento di rispondere NO! Questa Europa nemica del lavoro e dei suoi diritti, che vuol distruggere la sua più grande conquista civile e democratica, lo stato sociale, è nostra nemica. L’ euro e’ stata una costruzione stupida, una moneta senza stato e senza democrazia di cui ora pagano i costi tutti i lavoratori ed i poveri del continente. Certo non è semplice tornare indietro, ora i costi sociali sarebbero altrettanto terribili, ma quello che si può e si deve fare è disubbidire all’ Europa restando in Europa.

Bisogna nazionalizzare le banche che hanno usato i soldi pubblici solo per salvare i loro profitti. Bisogna colpire la speculazione finanziaria con tasse e controlli, anche mettendo in discussione i paradisi fiscali dei ricchi europei. Montecarlo, Liechtenstein, San Marino devono veder messa in discussione la loro funzione di patria degli evasori, a costo di chiudere. Bisogna fermare le multinazionali e le delocalizzazioni, ci vuole un piano per il lavoro che parta dal blocco dei licenziamenti e della chiusura delle aziende. Ci vuole un rinnovato intervento pubblico nell’economia.

Si deve combattere e non estendere la precarietà, rovesciando leggi ed accordi in vigore. Si deve rafforzare e non indebolire il contratto nazionale, e l’accordo recentemente sottoscritto tra sindacati e Confindustria va travolto in quanto non solo è ingiusto, ma è inutile e dannoso perché espressione di quella politica liberista che ha fallito.

Bisogna cancellare le missioni di guerra, tutte e subito, e tagliare tutti i veri sprechi nella spesa pubblica, le inutili grandi opere, le consulenze gli stipendi d’oro le burocrazie politiche inutili. Bisogna finanziare scuola e ricerca pubblica tagliando ogni sostegno a quella privata. E’ necessaria una decisa redistribuzione dei redditi aumentando salari e pensioni basse e istituendo un reddito sociale garantito pagato da un tassa patrimoniale sui ricchi. Bisogna ridurre l’orario di lavoro e ricostruire diritti e libertà soppressi in tanti luoghi di lavoro. Deve finire il regime di apartheid per i migranti e le loro famiglie.

Ma soprattutto si deve rovesciare il modello di crescita e sviluppo fondato su finanza, competitività e produttività estreme, a favore di un sistema fondato sulla crescita dei beni comuni. Quello che hanno chiesto i 27 milioni di cittadini che hanno votato ai referendum. Che è anche ciò che il governo unico dell’ Europa ci impedisce di realizzare, visto che una delle prime misure imposte alla Grecia è proprio la privatizzazione dell’acqua.

No, signor Presidente, non usciamo dalla crisi con la coesione con coloro che l’ hanno provocata e ce la vogliono far pagare: No, senza una rivoluzione democratica che tolga a banche, finanza e multinazionali il potere di decidere sulle nostre vite non avremo maggiore coesione, ma solo più ingiustizia e meno democrazia.

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“Lacrime e sangue”, per noi di più

Beatrice Ippolito
www.womenews.net

Il richiamo del capo di stato all’ “unità nazionale” e il pronto “obbedisco” di buona parte dell’opposizione sono bastati per indurre il parlamento a votare “responsabilmente” SI a una manovra iniqua e inutile in nome della ventilata favola della parità di bilancio a dispetto di ogni lezione proveniente dalla Grecia e dall’Irlanda.

Ma tant’è. “Noi non siamo come la Grecia” continuano a ripeterci, così alla fine ci credono anche loro.

E allora, SI alla manovra “lacrime e sangue” che affama gli affamati, strema i malati, mette sul lastrico quelli che già ci stanno – le statistiche danno in Italia poco più di 8 milioni di poveri relativi, ossia quelli che vivono con €992 mensili in due e poco più di 1 milione di poveri assoluti -.

L’accanimento è sulla povertà che, come dicono gli studi, è donna. La femminilizzazione della povertà, che è un dato globale, è vero, ma l’Italia non se ne chiama fuori, anzi – l’occupazione femminile, la più bassa in Europa e la disparità salariale (il pay-gap come amano chiamarlo perché si capisca meno di che si parla) – si capisce immediatamente chi dovrà in particolare svenarsi e piangere, qualunque sia l’età.

Perciò, via le agevolazioni fiscali per le/i figlie/i minori: a loro basteranno il latte e le cure materne tanto più che tra non molto saranno rispedite a casa ad occuparsi di ciò che la “biologia”, la mistica del focolare, “ i sacri affetti” e quant’altro le hanno sempre destinate.

Del resto, quando lavorano, lavorano non per sé, per realizzarsi, per esprimere una professionalità, ma per un salario aggiuntivo – a che?, a chi?, l’hanno scritto!!

L’accanimento si abbatte anche sul dolore. E a quali altri mani può essere affidata la cura del dolore se non alle Florence Nightingale di tutti i giorni e tutte le case?

Via, allora con l’aggravio dei ticket per farmaci, prestazioni diagnostiche, accessi ai Pronto Soccorsi che pronti, e soccorrevoli saranno solo per censo e non per diritto.

Senza parlare poi delle agevolazioni all’assistenza domiciliare i cui tagli agevoleranno le donne a starsene a casa e tornare a fare le badanti ad anziani e ammalati a loro cari dato che forse, private anche dei salari aggiuntivi, di soldi in casa non ce ne saranno a sufficienza.

Ed è ovvio. Le/i povere/i son tante/i. Già lo diceva Malthus, si riproducono in un batter di ciglia, avvezze/i come sono a fornicare.
Bisogna tenerle/i occupate/i, fino a sfinirle/i così non resta tempo.
I ricchi, invece, son pochini.

In Italia, appena il 10% della popolazione. Se poi si toglie anche a loro la capacità di spesa, chi comprerà le Jaguar da regalare ai/le amici/he, le case per i ministri ignari, gli orologi da mille euro, i macchinoni blu, i super elicotteri da mettere a disposizione di quanti si spostano per attendere alle superiori cure dei summit internazionali con cui decidono le nostre lacrime e il nostro sangue?
Altro che mercati, allora. Sarebbe la fine di tutto quel prestigioso made in Italy per cui andiamo famosi e pareggiamo creativamente i conti.

Ai/lle molti/e che son davvero tante/i non resterà altro che, come commentava un mestrino sull’autobus H2 venerdì scorso, “Mi, o magno o me curo!”. E a buon diritto perché il Veneto, con virtuoso zelo, sarà tra i primi ad applicare i nuovi aggravi sanitari a cominciare da Lunedì.

E noi, davvero non possiamo far altro che starcene “speechless” dallo sgomento?