Der Spiegel: “Basta !!!”

Fiona Ehlers, Hans-Jorgen Schlamp, Alexander Smoltczyk
Der Spiegel, n. 29, 18 luglio – Traduzione di José F. Padova

Questo lunedì, 18 luglio 2011, nel Palazzo di Giustizia di Milano, difeso da transenne di acciaio e da blocchi di cemento, riprende un processo, dall’inizio degli anni ’90 il 16° contro il Presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi e fino a oggi il più spettacolare. Si tratta di udienze in un processo che non ha avuto ancora un vero e proprio inizio, perché si dibatte sulla competenza dei tribunali o perché l’imputato si attarda in viaggi istituzionali.

In ogni caso l’imputato in questa causa non è ancora comparso nell’aula giudiziaria, la cui parete frontale adornano tre donne– rappresentazioni allegoriche della Verità, della Giustizia e della Legge – e ai cui lati si trovano gabbie, nelle quali sedevano gli accusati in precedenti processi per mafia.

In questo edificio dei tempi di Mussolini, presso il Duomo di Milano, ha avuto origine il fascicolo giudiziario 5657/2011, che intanto comprende 782 pagine, riempite di registrazioni telefoniche di ragazze dei party di Berlusconi, dei loro messaggi, di appunti su diari e di verbali d’interrogatori.

Berlusconi avrebbe avuto rapporti con 33 donne durante feste private nella sua tenuta, la Villa San Martino, di 145 stanze, ad Arcore nei pressi di Milano, e una di queste aveva appena 17 anni, la ballerina di night-club dal nome d’arte di Ruby Rubacuori. L’imputazione della Quarta Sezione del Tribunale Penale di Milano è così formulata: abuso di poteri d’ufficio [concussione] e favoreggiamento alla prostituzione di minorenni.

Decadenza del Paese piu’ bello del mondoI Pubblici ministeri hanno raccolto molte prove indiziarie che portano all’imputazione, quand’anche l’accusato contesta l’accusa come lo fa la ragazza Ruby. Eppure colloqui telefonici intercettati con amiche di Ruby indicano il contrario. Un esempio fra tanti: “Ieri lui mi ha telefonato e ha detto: Ruby, io ti do tutto il denaro che vuoi. Ti pago, ti copro d’oro, ma è importante che tu tenga tutto nascosto – non dire niente, a nessuno”.

Il Cavaliere come peccatore colto sul fatto: non soltanto il Tribunale milanese, ma l’Italia intera deve occuparsi, una volta ancora, delle buffonate del suo sempre più vecchio capo del Governo – e questo in un tempo in cui il Paese è a fuoco, in cui è in gioco la sopravvivenza economica della Nazione Italia e nel quale il futuro del progetto Europa dipende da come la terza potenza economica dell’Eurozona è governata correttamente e con capacità di visioni.

Poiché infatti la super-indebitata Italia di Silvio Berlusconi spinge davanti a sé una massa debitoria che ammonta a 1.850 miliardi di euro – più del doppio di Grecia, Irlanda e Portogallo messi assieme –, poiché soltanto nei prossimi dodici mesi devono essere rifinanziati debiti per 300 miliardi di euro e poiché nel Fondo di Salvataggio degli Stati dell’Euro sono disponibili solamente circa 250 miliardi, da un giorno all’altro il mondo ha perso la fiducia nell’Italia.

Le agenzie di rating, anzitutto la centenaria Moody’s Corporation, hanno minacciato di abbassare il rating del Paese. Investitori privati nel panico si sono liberati dei loro investimenti in Italia, Hedge-Funds americani hanno puntato importi giganteschi sull’ulteriore deperimento dei titoli di Stato italiani, per tutta la settimana i corsi della Borsa di Milano hanno conosciuto una sola direzione: al ribasso. Sembra che l’Italia, ottava nazione industriale della Terra e membro fondatore dell’Unione Europea, sia diventata la nuova Grecia.

Anche questa tempesta su Roma era un procedimento giudiziario: sono i mercati finanziari internazionali che la scorsa settimana hanno messo sotto giudizio l’Italia – e questo per la verità era anche un processo contro il responsabile, Silvio Berlusconi.
Infatti i mercati finanziari vedono il premier italiano come un peso, la sua ulteriore permanenza al governo rende insicuri gli investitori, scrive il Financial Times. Una parte dei suoi stessi sostenitori teme nel frattempo che il capo del governo e i suoi scandali possano irrimediabilmente spingere il Paese nella spirale dei debiti. “Tutti hanno paura delle contraddizioni fra ciò di cui Berlusconi ha bisogno per la sua sopravvivenza politica e ciò che è necessario per i mercati”, dice il giornalista Francesco Scisci.

L’Italia odierna è malata, come lo era Milano ai tempi della peste
“Il vostro governo danneggia l’Italia”, così giovedì scorso la rappresentante politica dell’opposizione Anna Finocchiaro si è rivolta al capo del governo. “Questo grande Paese starebbe molto meglio senza di voi”.

Che il capo del governo mantenga la sua carica fino alla fine della legislatura, nella primavera del 2013, nelle capitali dell’Unione Europea non lo crede quasi nessuno. Quindi è tempo per il bilancio dei danni di un’era che si avvicina alla fine.

Nel 150° anno della sua esistenza la Repubblica Italiana è profondamente spaccata, la sua Costituzione denigrata e logorata dai suoi propri organi istituzionali. Il capo del governo a livello internazionale è penalizzato con il ridicolo e la disistima a causa del bunga-bunga, della durevole crisi di governo, della perdurante zavorra debitoria.

“Ciao Bella”, un Paese – non sempre esemplare, ma sempre apprezzato – abbandona il primo rango: nel 2009 l’economia si è ridotta del cinque percento, nel 2010 non è cresciuta. Il forum dell’economia mondiale nel suo rapporto 2010/2011 definisce lo Stato come l’ostacolo più grande: burocrazia statale inefficiente, voragini di evasione fiscale, infrastrutture insufficienti e pessima gestione del debito. L’intera produzione industriale è tornata indietro di 25 anni, questo il bilancio della Banca d’Italia diffuso lo scorso anno. Fra l’inizio del 2008 e la fine del 2009 sono scomparsi 560.000 posti di lavoro.

In Europa il Paese perde sempre più terreno, economicamente, culturalmente, politicamente, e dura fatica a trovare il suo posto nel mondo globalizzato. Da molto tempo i cinesi copiano il famoso “Made in Italy”, raramente peggio e sempre più a buon mercato dell’originale. E i politici dell’Unione Europea nel frattempo guardano con la medesima impazienza a quest’uomo, come se avessero guardato Hosni Mubarak.

Questo fanno anche molti italiani. “Nella mia fantasia la Piazza del Popolo a Roma si è trasformata nella Piazza Tahrir”, scrive il blogger Enzo Coniglio, un giovane siciliano e uno dei molti che la pensano in modo simile. “In fondo, qual è la differenza fra giovani egiziani e italiani?”. Berlusconi a settembre sarà vecchio di 75 anni, perché non mandiamo una buona volta in pensione il nostro pascià?”

Poco prima di lasciare la sua Diocesi per raggiunti limiti d’età, l’arcivescovo di Milano, cardinale Dionigi Tettamanzi dal pulpito del Duomo ha detto ai suoi più o meno credenti ascoltatori: “L’Italia di oggi è malata, come lo era Milano al tempo della peste. L’amoralità fa presa intorno a sé, a tutti i livelli della società”.

Egli ha letto nell’anima di tutti coloro che pensano “Basta!”. Ancora e soltanto: mettiamo fine alle orge nell’harem del capo del governo, alla situazione economica che diventa sempre più drammatica, alla cronica debolezza dell’opposizione, al disprezzo per i giudici. Basta soprattutto all’onnipresente ghigno, al make-up appiccicato e ai capelli troppo vistosamente trapiantati di colui che è qui da 17 anni per plasmare l’Italia sulla sua immagine. Basta Silvio Berlusconi.

Solamente il 27,5 percento di tutti gli italiani, così indicano i più recenti sondaggi, vogliono rivotare Berlusconi, quasi la metà sono tanto delusi che non vanno più a votare o vogliono decidersi solo all’ultimo minuto.

Rimane sempre meno dell’Italia degli anni ’70 e ’80, alla quale l’Europa guardava con speranza, simpatia e talvolta con invidia. Il Paese è colato a picco in molte sue parti.

In televisione le donne sono ampiamente ridotte ad agitare le chiappe, molti fieri Comuni del Nord sono diventati roccaforti xenofobe del partito di destra Lega Nord. Il mito del cinema, Cinecittà, ha lasciato il posto all’impero del pessimo gusto, al conglomerato mediatico di Berlusconi, Mediaset.

La terra leggiadra, il “Belpaese”, che nelle settimane estive centinaia di migliaia di turisti ancora visiteranno – ogni anno ne arrivano 40 milioni, soprattutto tedeschi, per i quali l’Italia resta come sempre il Paese del desiderio – in molte sue parti è diventato un “Malpaese”.

Tutto questo non è certo colpa di un solo uomo. Ma Berlusconi ha favorito tutto ciò che già in ogni caso andava in malora.
Ai suoi successori egli lascia in eredità un Paese in difficoltà.

Berlusconi aveva iniziato con la promessa di mettere in moto una “rivoluzione liberale”. Questa avrebbe dovuto portare un ordinamento economico più libero e le famiglie italiane ce l’avrebbero fatta in modo migliore. Con grande gesto l’8 marzo 2001, pochi giorni prima della sua seconda vittoria alle elezioni, al talk-show “Porta a Porta” Berlusconi offrì al popolo italiano un contratto.

Egli si impegnava, nel caso fosse stato eletto capo del governo, a diminuire fortemente le tasse entro cinque anni, a elevare le pensioni minime per lo meno a 500 euro mensili, a ridurre della metà la disoccupazione e a effettuare imponenti investimenti nelle infrastrutture italiane. Se avesse chiaramente mancato questi obiettivi non avrebbe potuto ricandidarsi alle elezioni successive.

Il popolo fu impressionato e votò per quest’uomo, che aveva firmato il contratto in diretta alla TV. Alla fine del periodo di cinque anni di governo il risultato appariva scarso: la pressione fiscale era scesa dello 0,1 %, tre quarti dei pensionati, che prima delle elezioni ricevevano meno di 500 euro al mese, anche in seguito non ne ebbero di più e gli investimenti ammontavano a circa la metà dell’importo totale promesso. Nessun punto del contratto era adempiuto.

Romano Prodi, il grande avversario del capo del governo, cui riuscì due volte vincere Berlusconi alle elezioni, conosce bene questo “stile spericolato di fare politica”. Un mese prima delle votazioni dell’aprile 2006 Prodi, lo sfidante, nei sondaggi era di sei punti percentuali più alto del premier. Ma il grande populista Berlusconi sorprese i suoi connazionali con l’annuncio: “Aboliamo l’imposta di proprietà sulla prima casa!”. Il vantaggio di Prodi si dissipò in quella notte. Certamente Prodi vinse, ma di misura tanto esigua da bastare soltanto per una coalizione molto vacillante, che andò in pezzi due anni più tardi.

Come suo successore nel 2008 Berlusconi prese posto per la quarta volta a Palazzo Chigi, sede del governo e, come promesso, cancellò l’imposta immobiliare. Con ciò improvvisamente mancarono ai Comuni tre miliardi di euro all’anno. Per sopportare la perdita da quel momento in poi i Comuni misero mano là dove avevano diritto di imporre tasse: per la costruzione di nuove case od officine, per l’edificazione di impianti industriali, centri logistici o supermercati.

E molti Comuni da allora arraffano – per pure necessità finanziarie – con tanta forza che ai potenziali investitori passa la voglia. “Questo ha danneggiato durevolmente l’economia italiana“, lamenta Prodi, ma per Berlusconi ciò è insignificante: “L’Italia non lo interessa per niente!”.

Il programma di questo governo è una mozione di sfiducia contro sé stesso. Anche il londinese Economist ritiene il “totale disinteresse di Berlusconi per la situazione economica” come il più grande fallimento del capo del governo. Ed effettivamente, mentre Romano Prodi nei suoi due brevi periodi di governo aveva almeno, anche se di poco, ridotto la montagna del debito pubblico, lo zar dei media Berlusconi, ricco a miliardi, che appena può presenta sé stesso come l’esperto di economia “Presidente del Consiglio di Amministrazione della Ditta Italia”, non se n’è proprio preoccupato.

Nei tre anni del suo quarto mandato l’indebitamento dello Stato italiano è salito dal 103,6 percento del PIL dell’anno 2007 al 119 percento dell’anno scorso. Nonostante le casse dello Stato siano oberate dai debiti, Berlusconi fino allo shock della settimana scorsa ha promesso nuove riduzioni d’imposte. “Senza riduzioni d’imposte andiamo in rovina”, si lagna continuamente con il suo ministro delle Finanze. Il quale però si è adesso impegnato a una rigida linea di risparmi. E l’uomo è testardo.

Giulio Tremonti, 63 anni, era uno dei fiscalisti italiani di maggior successo finché Berlusconi, per il quale aveva lavorato, lo chiamò nel 1994 al ministero delle Finanze. Invece adesso il suo capo, come anche i partner della coalizione della populistica Lega Nord, non lo vedono di buon occhio. Tremonti non sarebbe “disposto ad alcun lavoro di squadra”, si è lamentato di lui Berlusconi e gli ha dato del traditore. Cosa che lo lascia piuttosto freddo, visto che considera sé e il suo programma di risparmi come insostituibili: “Se cado, cade l’Italia. Se cade l’Italia, cade l’euro”.

Salvo che la sua caduta non è più così inverosimile, da quando Tremonti, il laconico, sobrio uomo dell’Italia del Nord, all’improvviso è capitato in un gorgo che potrebbe portare in una palude di cricche e corruzioni.

Responsabile di ciò è da molti anni il suo stretto consulente, Marco Milanese. Il deputato però, parallelamente al suo posto di lavoro al ministero, aveva anche altre fonti di guadagno. Come privato va in giro con una Ferrari da 270.000 euro, pilota un motoscafo da 700.000 euro – e adesso si trova con la Procura della Repubblica addosso: l’accusa è di aver smerciato incarichi derivanti dal ministero di Tremonti contro pagamenti in contanti e costosi donativi. All’istante Tremonti si è distaccato da Milanese.

È un caso che l’incredibile storia divenga pubblica proprio adesso che Berlusconi e i suoi alleati della Lega si sbarazzerebbero volentieri dello scomodo ministro?

Quando Tremonti presentò il suo programma di tagli il coro delle proteste fu grande e rumoroso. Entro quattro anni devono essere tagliati 47 miliardi, dalle pensioni, nella sanità, dalle spese dei ministeri e delle amministrazioni regionali. Le imposte vengono innalzate e le possibili detrazioni ridotte.

Comuni e Regioni hanno lanciato alte grida come anche i sindacati, l’opposizione ha parlato di “macelleria sociale” e la base del partito berlusconiano “Popolo delle libertà” ha annunciato la sua resistenza insieme ai partner della coalizione, quelli della Lega Nord.

Tuttavia gli avvenimenti degli ultimi giorni hanno portato gli avversari a tacere. Perfino Berlusconi si è provvisoriamente ammutolito. La drammatica caduta dei corsi azionari sulla Borsa italiana e l’esplosione dei tassi d’interesse per riuscire a collocare le obbligazioni di Stato hanno infuso la paura a tutti. La cancelliera tedesca Angela Merkel in un colloquio telefonico con Berlusconi lo ha ammonito a modificare velocemente il piano economico.

Altri, cui Berlusconi ha telefonato, come il capo della Banca italiana di Emissione [Banca d’Italia] Mario Draghi, che fra poco dirigerà la BCE a Francoforte, tutti hanno consigliato di lanciare al più presto un segnale convincente di volontà di risparmio. E – anche questo è Italia – per così dire durante la notte tutti erano improvvisamente concordi. A tempo di record il Parlamento ha approvato un piano che deve ridurre i costi dello Stato non soltanto di 47 miliardi, ma all’incirca di 79.

Ma la manovra economica poggia su basi insicure. Quest’anno e il prossimo sono tagliati appena nove miliardi di euro – soltanto l’11 percento dell’obiettivo fissato. Nel 2013 poi ci saranno le elezioni e non è per niente sicuro che gli obiettivi della manovra per gli anni successivi superino indenni la contesa elettorale.

“Il programma di questo governo”, sfotte Romano Prodi, “è una mozione di sfiducia contro sé stesso: rimanda il lavoro al governo successivo”.

Perfino un Tremonti, già durante la stesura della legge, ha evidentemente perso il coraggio di affrontare bocconi veramente pesanti da digerire. Nella manovra non trova posto una riduzione della straripante burocrazia dello Stato, che paralizza più di ogni altra cosa lo slancio dell’economia. E il ‘commissario’ ai tagli lascia ai margini anche il dispendioso apparato della politica e ci va con le forbicine.

I pagamenti miliardari ai partiti sono mantenuti intatti. Il contribuente italiano spende ogni anno un buon miliardo di euro per la gigantesca flotta di auto blu a disposizione gratuita della classe politica. Con regolarità esse intasano le strade e i vicoli intorno al Parlamento e ai palazzi del governo nel centro di Roma – che i comuni mortali già da molto tempo non possono percorrere con le loro auto.

La stagnazione, durante la prevedibile lenta fine dell’era Berlusconi, si può toccare con mano.

La politica economica di Berlusconi è una miscela finale di interventi e di lasciar fare. Tutto è possibile, anche se la sua caduta avviene soltanto negli immediati sondaggi. Questa non è politica, questa è democrazia dell’intrattenimento. “Berlusconi è patologicamente orientato a piacere agli altri, la loro simpatia gli è necessaria”, dice qualcuno che lo conosce bene, Giuliano Ferrara, editore del “Foglio”, un piccolo giornale fedele a Berlusconi.

Eppure gli anni del Cavaliere hanno reso l’Italia anche un Paese nel quale le giovani generazioni di molte posizioni [direttive] possono soltanto sognare, perché nella gerontocrazia italiana quelle decisive restano occupate dalla coorte di vecchi del loro premier. Giovani donne gli hanno domandato: che dobbiamo fare, signor presidente del Consiglio? “Cercatevi un uomo ricco” – è stato il consiglio del miliardario, che in questo Paese manda avanti gli affari più male che bene.

„The man who screwed an entire country”,, [ndt.: L’uomo che ha fottuto un intero Paese], ha titolato il britannico “Economist”. In tedesco: l’uomo che ha preso per il naso l’Italia intera. Ma anche:l’uomo che al proprio Paese ha fatto ciò che verosimilmente fa alle sue papi-girl ad Arcore.

Anche per questo nelle imbarazzanti udienze [al Tribunale] di Milano non si tratta molto della questione di quale indecenza possa essere provata a carico del premier, ma della questione di quanto a lungo l’Italia è ancora disposta a sopportare questo primo ministro.

Berlusconi è impegolato in una guerra privata contro la giustizia, che è diventata una ossessione morbosa. “Sono il politico più inquisito al mondo”, così si dà spesso delle arie. Lo avrebbero incriminato oltre 2.500 volte e lui avrebbe dovuto trovare 200 milioni di euro per “pagare consulenti e giudici – ah, no, avvocati!”.

Condannato in ultima istanza non lo è mai stato, e anche in prigione non ci è mai andato. Qualche volta è stato assolto, altrimenti spesso la causa è caduta in prescrizione oppure il capo del governo ha fatto arbitrariamente modificare le leggi a suo favore. Adesso Berlusconi deve pagare oltre mezzo miliardo di risarcimento danni al suo antico nemico Carlo De Benedetti, l’editore del secondo più diffuso giornale in Italia, “la Repubblica”, al quale nel 1991 aveva potuto soffiare la casa editrice Mondadori in base a una controversa sentenza.

Un altro Tribunale anni dopo aveva sentenziato che il giudice allora titolare della causa era stato corrotto. Berlusconi non poté più essere citato in giudizio perché la causa penale era prescritta per decorso dei termini. Quindi adesso lo colpisce il diritto civile. Naturalmente Berlusconi, che è già scampato da molti processi, anche questa volta vuole adire a tutti i gradi di giudizio.

Ma al primo posto sulla sua agenda c’è il “Rubygate”. Nel giorno di San Valentino del 2010 la ragazza fa per la prima volta la sua comparsa nella villa privata di Berlusconi. Karima el-Mahroug, di origine marocchina, aveva 17 anni, tre mesi e tre giorni di età. Berlusconi avrebbe pagato 13 volte la ragazzina per fare sesso, si sarebbero telefonati 67 volte.

Già soltanto l’idea suona folle. Una prostituta perseguita per furto, tirata fuori da una casa di rieducazione in Sicilia e amica di un equivoco proprietario di discoteche dispone del numero di cellulare di uno dei più noti politici del mondo. In altri Paesi dopo vicende di questo tipo un capo di governo sarebbe liquidato – non in Italia.
Nel gennaio 2011 la Procura di Stato confermò che si procedeva contro Berlusconi e tre complici. In febbraio una giudice stabilì che il processo a Berlusconi sarebbe stato celebrato col rito abbreviato; lo minacciano fino a 15 anni di carcere. Se poi davvero a un processo si arriva.

Viene ora alla luce la tragedia di un vecchio satiro che ha perso il contatto con la realtà. Un potente in una gabbia dorata, ricattabile, affiancato da ragazze squillo pronte ad approfittare della sua solitudine e del suo potere. Che dormono con lui, come dichiarano nelle deposizioni, per poi “fare cassa come si deve”. Lo chiamano “Papi”. Sono creature che egli stesso ha prodotto con le sue emittenti televisive: stelline da TV, ballerine, avide e volgari.

Si chiamano Marishtelle, Ans, Iris, Aida o Michelle, provengono dall’Ucraina, dalla Repubblica Dominicana e abitano esenti d’affitto a “Milano Due” [ndt.: in realtà all’Olgettina], la città satellite che Berlusconi fece costruire negli anni ’70. Gli hanno condotto le ragazze i “talent-scout”, come quell’ammiratore di Mussolini, Lele Mora, che aveva scoperto la sedicenne Ruby in una discoteca milanese.

Era anche colui che presentò a Berlusconi la minorenne napoletana Noemi Letizia, l’avventura amorosa del 2009, che portò la moglie di Berlusconi a inoltrare istanza di divorzio e a definire suo marito un “uomo malato”.

Da giugno Mora si trova in custodia cautelare. La Procura lo accusa di bancarotta fraudolenta. Dava istruzioni alle ragazze per come [piacere a] Berlusconi: “Tu devi essere l’infermiera d’ospedale. Devi portare con te un misuratore di pressione finto e un camice bianco. E naturalmente niente sotto. Gli fai una visita medica, sai bene come prova gusto a queste cose”.

L’ex igienista dentale Nicole Minetti, pure incriminata, sa come si fa carriera nel Berlusconistan: una volta era una starlet, oggi è consigliere regionale per il partito di governo. Dice: “Lui ci manda in Parlamento, lui pensa di essersi liberato da questi stress, adesso il nostro stipendio lo paga lo Stato”. Eppure anch’essa presagisce quanto sia scabrosa la sua situazione: “La politica è un pasticcio, se lui cade allora cadiamo anche noi”.

Per quanto tutto questo porti in modo devastante alla rovina la reputazione del premier – e danneggi anche quella del suo Paese – alla fine non si tratta tanto della mancanza di disciplina e di onore del capo del governo. La vita privata del Silvio B. in fondo è un affar suo.

Imperdonabile comunque è ciò che a questi scandali personali si accompagna, perché Berlusconi è affaccendato alla soluzione dei suoi problemi privati, o a mandare avanti ciò che gli interessa, perché serve a incrementare i suoi affari privati: il decadimento della cultura politica, l’imbavagliamento della giustizia, la degradazione delle donne – queste sono circostanze di fatto per le quali Berlusconi dovrà assumersi la responsabilità, non davanti ai giudici, ma davanti a coloro che vengono dopo di lui.

Ci sono pochi Paesi nei quali il capo del governo rende pubblico un simile disprezzo verso gli organi costituzionali esistenti, dalla Corte Costituzionale fino al Capo dello Stato, e che per di più fa diffondere questa disistima attraverso i canali televisivi di sua proprietà. L’entusiasmo per lo Stato non è mai stato particolarmente diffuso. Ma le conseguenze sono fatali, se proprio il presidente del Consiglio segue queste orme.

Da poco si è festeggiato proprio il 150° anniversario della fondazione dello Stato. Ma in alcune zone del ricco Nord, dove la Lega Nord ha i suoi elettori, è quasi impossibile acquistare una bandiera italiana. In Veneto è stata pubblicamente bruciata un’effige dell’eroe della libertà Giuseppe Garibaldi.

Così non sorprende che tre ministri della Lega abbiano annunciato di non andare alle celebrazioni. Sarebbe come se i ministri del Partito Liberale Democratico (Freie Demokratische Partei, FDP) prima della ricorrenza della caduta del Muro minacciassero di non cantare l’inno nazionale. Il capo del partito Lega Nord, Umberto Bossi, ha fatto la sua comparsa estremamente di malavoglia, al bavero non portava la coccarda bianca-rossa-verde dell’Italia, ma una croce celtica e fazzoletto da taschino verde, simbolo del suo attaccamento a quello stato che sogna trovarsi sul suolo del Norditalia – la “Padania”.

La cultura è la materia prima, ma le ricchezze non sono potenziate, bensì sotterrate. In questo modo l’Italia diventa una piccola rappresentazione dell’Europa, divisa in un ricco Nord, che più di tutto aprirebbe volentieri un suo proprio club, e un Sud dipendente dai pagamenti di incentivazioni.

“La secessione sarà il pericolo maggiore del dopo-Berlusconi”, profetizza lo scrittore e pubblicista Curzio Maltese. E domanda che cosa abbiano ancora in comune la super sviluppata Lombardia e la Calabria, regione più povera d’Italia – all’infuori della mafia.
Berlusconi è un maestro della dilazione e del cambiamento di rotta, non è per niente un visionario che lavorando porta a compimento un’agenda. Nasconde il suo fallimento mediante “polemica, sfarzo e propaganda”, così precisa lo storico Hans Woller, ricercatore all’Istituto per la Storia contemporanea di Monaco, Baviera, e uno dei migliori conoscitori tedeschi dell’Italia. Perfino gli scandali del premier realizzano l’obiettivo della distrazione.

Il suo governo ha tentato sistematicamente di porre fine all’indipendenza della magistratura. Giudici e pubblici ministeri, che in maggioranza sicuramente hanno poca simpatia per Berlusconi, sono insultati e disprezzati da costui e dai suoi seguaci con toni tali che in Europa si possono osservare soprattutto in Bielorussia. Agli organi giudiziari si tolgono le risorse necessarie per le indagini, il personale, le auto di servizio, i viaggi. Solo che al premier non è riuscita una riforma della giustizia, secondo la quale un imputato può rifiutare il foro competente non appena sospetti che uno dei giudici che vi lavorano possa avere simpatie per un partito. La legge avrebbe significato certamente la fine di tutti i processi di Berlusconi.

I sostenitori del premier possono perfino ipocritamente ostentare che in Italia non ci sono più falsi in bilancio. Ciò è corretto, la fattispecie è stata semplicemente eliminata. Molte fattispecie penali peculiari della criminalità finanziaria nel frattempo sono state sottratte alla giustizia.

In nessun altro Paese sviluppatola politica è tanto spolicitizzata e tutto ciò che non è politico politicizzato come in Italia. Media, giustizia, economia, educazione, cultura – di tutte le erbe si fa un fascio politico. Ma la politica è fatta al livello di una soap opera della televisione : “Meno male che Silvio c’è”, Zum Glück gibt es Silvio.

La comprensione che Berlusconi ha della democrazia è: A chi, in qualsiasi momento, ha la maggioranza dei voti appartiene il potere assoluto. Gli è permesso distribuire a sua discrezione posti e posticini alla sua clientela e rendere inoffensiva l’opposizione. Il suo concetto del parlamentarismo è premoderno. Basterebbe, così si è espresso il capo del governo, che in Parlamento votassero solamente i capigruppo. Si risparmierebbe tempo e dibattiti superflui.

Il ministro della Giustizia Angelino Alfano è stato prescelto da Berlusconi per addomesticare l’apparato giudiziario. Ma Napolitano ha bloccato la sua legge sull’immunità – anch’essa ritagliata sulle necessità processuali del premier. Come ringraziamento per essere a lungo riuscito a proteggere il premier dai suoi processi è stato da poco nominato segretario del partito di Berlusconi, che ha potuto presentare Alfano come suo successore se nel 2013 Berlusconi stesso veramente non ripresenterà la sua candidatura, come ha annunciato poco fa.

Lo scrittore Umberto Eco parla di un “colpo di Stato strisciante”: Quando le istituzioni di uno Stato vengono modificate passo a passo, poi è difficile dire che ogni singolo cambiamento fa già intuire in sé una dittatura. La funzione del colpo di Stato strisciante è quella di non fare percepire nella pratica i cambiamenti alla Costituzione. E quando questi tutti assieme avranno ormai palesato la Terza Repubblica sarà ormai troppo tardi”.

In modo particolarmente violento, durante l’era Berlusconi, è stato oggetto di attacchi ciò che costituisce la fama dell’Italia in tutto il mondo – la vita culturale. Il budget a essa riservato negli ultimi anni è stato sempre più ridotto, instancabilmente si elevano proteste contro il deperimento. La cultura è la materia prima di questo Paese. Qui si possono visitare ben 44 monumenti dichiarati eredità culturale mondiale, ma le ricchezze non sono incentivate, bensì seppellite.

Pompei a esempio sta vivendo la sua seconda rovina. Il bene catalogato dall’Unesco come patrimonio mondiale sta deteriorandosi e vi spadroneggiano cani randagi e bande di guide turistiche mafiose. Non è il denaro che manca a Pompei. Visitano Pompei poco meno di tre milioni di turisti stranieri in Italia e pagano 11 euro per l’ingresso, da Roma inoltre arrivano 40 milioni di euro come sovvenzione, ma il denaro si disperde o è investito in pompose spese per pubbliche relazioni. L’ultimo restauratore di mosaici è andato in pensione già tre anni fa.

“Un tempo i nostri antenati creavano capolavori, il Rinascimento, il Barocco, Venezia”, dice l’architetto Massimiliano Fucsas, che a Francoforte ha edificato il Centro commerciale MyZeil. “Il nostro splendido passato potrebbe adesso aiutarci a salvare l’Italia. Ma è come se il nostro DNA si fosse modificato. Siamo mutati in un popolo senza memoria. Viviamo nell’ Isola dei Famosi e nelle soap dozzinali sui canali di Berlusconi”.

Si può osservare questa indifferenza anche per quanto riguarda la natura, da sempre la più importante attrattiva per milioni di stranieri. Ogni primavera intere colline scivolano a valle, valanghe di fango spazzano via le case, sommergono borghi nei fiumi in piena. Una conseguenza della cementificazione del paesaggio, delle costruzioni abusive, della pianificazione miope, dell’affarismo e della criminalità organizzata.

Il caso dell’autostrada A3 Salerno – Reggio Calabria è leggendario. In Europa non si è mai lavorato tanto a lungo a un’autostrada. L’avvio dei lavori risale al 1962, quando a Bonn ancora governava Konrad Adenauer. Venne terminata nel 1974, d’altronde completamente priva di corsia d’emergenza e quindi per le norme EU non classificabile come autostrada. Nel 1997 iniziò il rammodernamento che dovrebbe essere concluso nel 2017. Con costi nel frattempo lievitati a decine di volte quelli preventivati.

Di questo non sono responsabili i problemi di tecnica e d’ingegneria. I costruttori italiani di strade sono eccellenti. Ma la A3 passa attraverso Mafialand. Ogni singolo chilometro è costruito da una impresa diversa e quasi tutte hanno relazioni più o meno chiare con la ‘N’Drangheta’, il crimine organizzato della Calabria. L’autostrada è considerata il “più lungo corpo del delitto” d’Italia, infarcito di elementi edilizi simulati, cadaveri seppelliti nel cemento, lavoratori inesistenti, soldi per il pizzo e macchinario edilizio che va a fuoco da sé.

Quando la vecchia amica di Umberto Eco, Inge Feltrinelli, si trasferì nel 1960 da Amburgo a Milano, arrivò in un Paese nel quale le donne vivevano in pieno Medioevo. Non potevano ottenere il divorzio, che divenne possibile soltanto dal 1970, l’aborto era illegale. “Esse si muovevano fra figli, cucina e chiesa”, dice l’ottantenne signora nell’ufficio milanese della sua Casa editrice, l’ultimo pezzo di artiglieria rimasto in Italia alla sinistra.

Eppure in breve tempo le italiane hanno ricuperato, dice Feltrinelli, hanno opposto resistenza contro il machismo e la potente Chiesa cattolica. “Hanno mostrato orgogliose il loro corpo, faceva parte della liberazione, ma a che prezzo?”. Oggi l’Italia è un Paese nel quale le donne si distinguono perché fanno lo spogliarello in televisione e dicono sciocchezze.

Dopo un breve periodo di progressi sotto l’aspetto dell’emancipazione le italiane costituiscono nuovamente il fanalino di coda dell’Europa. Il tasso di occupazione delle donne è uno dei più bassi del Continente, nell’Italia meridionale è soltanto al 33 percento. Esse guadagnano la metà degli uomini e sgobbano 21 ore la settimana nelle faccende di casa. La graduatoria della equiparazione dei diritti del „Global Gender Gap Report” compilata dal Forum mondiale per l’economia vede l’Italia al 74 posto su 134 Stati, largamente distaccata dopo Paesi come il Ghana o il Botswana.

La forza più grande di Berlusconi però è la debolezza dei suoi avversari, la “miope stupidità dei capi dell’opposizione”, come precisa Flores D’Arcais. Al momento nella sinistra odierna non si trova alcuna figura che secondo lui possa diventare veramente pericolosa.

Nonostante il referendum vinto in giugno, che ha annientato i piani di Berlusconi per la costruzione di nuove centrali atomiche, nonostante le elezioni comunali vinte a Napoli e a Milano, la sinistra italiana si dimostra incapace di liberare il Paese dal suo capo del governo.

Da quando Berlusconi predomina in Italia, cioè dal 1994, le coalizioni di centro-sinistra sono state quattro volte al potere per breve tempo. Avrebbero avuto l’occasione di tarpare le ali del Cavaliere. Avrebbero potuto approvare una legge sul conflitto d’interessi come è consueto nelle democrazie classiche. Ma non lo hanno fatto. Negli Stati Uniti, in Francia e in Germania un imprenditore eletto capo del governo si ritira dalla propria azienda. Perché non in Italia?

La sinistra ha perso una dopo l’altra le sue occasioni
La povertà d’idee dell’opposizione è uno degli assi nella manica di Berlusconi. Molti politici dell’opposizione sono ex comunisti, cresciuti negli stereotipi e maestri della tattica politica.
Il successore di Prodi, Massimo D’Alema, quando nel 1998 assunse il governo, avrebbe soltanto dovuto aspettare.

Berlusconi in quel periodo si trovava in grandi difficoltà economiche, aveva le Procure alle calcagna ed era contestato come capo della destra. Eppure il nuovo presidente del Consiglio volle effettuare insieme a lui una riforma elettorale. Berlusconi ricevette ulteriori crediti, fu riabilitato politicamente e in regalo ricevette leggi, votate trasversalmente dai partiti, che gli risparmiarono il carcere. Poco tempo dopo vinse nuovamente le elezioni. Così una dopo l’altra la sinistra ha perso le sue chance.

Molti economisti attribuiscono anche agli italiani una corresponsabilità nella crisi. I loro salari sono aumentati più fortemente di quelli in altri Paesi. Dal 2000 i costi per pezzo prodotto sono aumentati del 27% più che in Germania. Soprattutto per quanto riguarda la produttività le cose in Italia prendono una brutta piega. Nella graduatoria della capacità concorrenziale fra gli Stati il Paese occupa il 48° posto – distaccato da Polonia, Spagna e dallo stesso Portogallo. Che cosa ciò significhi in concreto lo ha spiegato poco tempo fa ai suoi conterranei il capo della Fiat Sergio Marchionne in uno show televisivo di successo.

Dei circa due miliardi che nel 2010 la Fiat ha guadagnato nella sua attività operativa, ha detto il manager dell’auto, “non un solo euro” proviene dalle sei fabbriche italiane. L’azienda guadagna esclusivamente all’estero. La causa di questo è semplice: ogni lavoratore che fabbrica in Polonia i modelli della Fiat produce statisticamente 100 auto all’anno, in Brasile sono 77, i loro colleghi italiani arrivano a 30 pezzi scarsi. Da dieci anni l’Italia perde terreno, non tiene il passo dei vicini, ha detto Marchionne. Per questo non vi sono “stranieri che ancora investono qui”.

Il capo della Banca d’Italia Draghi, già a mezza strada per Francoforte sul Meno, al momento del congedo ha fatto al suo Paese una paternale. Ha chiesto riforme profonde e ha ritenuto responsabile per stagnazione e stasi il governo Berlusconi. Senza crescita non sussiste “alcuna realistica prospettiva per la riduzione della montagna di debiti”.

Soprattutto i giovani italiani hanno rinunciato da tempo a sperare in una politica migliore. Essi cercano posti di lavoro all’estero, emigrano, non importa dove.

La fuga di chi possiede una buona formazione è un problema nuovo e molto imponente, 40.000 studenti lasciano ogni anno il loro Paese. 50 anni fa arrivarono gli italiani del Sud e aiutarono i tedeschi nel loro miracolo economico, oggi arrivano per dimostrare di essere migliori della reputazione che ha il loro Paese.

Questo è dunque il bilancio del Silvio Berlusconi: per il suo Paese ha fatto poco. Ma controlla le teste e ha iniziato una controrivoluzione culturale dalla quale la politica non si riprenderà ancora per lungo tempo.

L’Europa rischia oggi più che mai di essere contagiata da questo berlusconismo. Tutto questo potrebbe lasciare indifferenti i Paesi vicini. Se Berlusconi fosse soltanto un’altra figurante dell’”italianità”, tanto grottesca quanto innocua, e in ogni caso da sopportare per alcune settimane estive o per i 90 minuti di un lungometraggio.

Ma non pochi osservatori considerano pericoloso questo atteggiamento.
“Il berlusconismo”, scrive Flores D’Arcais, “è il pendant postmoderno del fascismo, fondato sulla legalizzazione dei privilegi e sul dominio dell’immagine”. Incarnerebbe la Destra del futuro. Con privilegi per i clan dominanti, per i giornalisti intimiditi e con una giustizia impotente. “L’Europa rischia oggi più che mai di essere contagiata da questo berlusconismo, questa forma occidentale del putinismo”.

E che cosa arriva dopo Berlusconi? Supposto che il 74enne sia prossimamente rovesciato, cosa non inverosimile, o che pensi seriamente ciò cui ha recentemente accennato e non si presenti proprio più alle elezioni del Parlamento nel 2013. Supposto che dica: “Basta! Ne ho abbastanza!” e si ritiri con i suoi amici e i suoi piaceri maschili, come il patriarca Don Silvio. Che c’è dopo?
Senza il centro gravitazionale costituito da Berlusconi anche in Parlamento tornerebbero i tempi delle coalizioni caleidoscopio, le alleanze tattiche effimere con lo stesso personale politico sempre uguale. Senza contrappesi i separatisti della Lega Nord diventerebbero ancora più potenti. E sullo sfondo rimarrebbe il Vecchio, come un’ombra su tutto il Paese.

L’opposizione perderebbe il suo punto fisso [di riferimento]. Nel peggiore dei casi essa dovrebbe perfino governare. Ma non ha provveduto a formare un politico col carisma, la tenacia e la forza di seduzione politica di un Berlusconi – e con quella sincerità e serietà che al Cavaliere mancano in misura tanto assoluta.

Finché la sinistra non comprende ciò che Berlusconi ha dato agli italiani, quali segreti bisogni egli soddisfa, non occorre che sogni di un cambiamento, scrive Mark Lilla, professore di Storia delle idee alla Columbia University di New York e specialista di quella attrattiva propria degli autocrati, verso la quale si sentono ancora trascinati anche i moderni europei. “La sinistra deve diventare una forza politica post-berlusconiana”. In caso contrario rimarrebbe soltanto la variante brechtiana: Disperdete il popolo e sceglietevene un altro.

In Italia Berlusconi ha dato il tono durante diciassette anni. Il berlusconismo era come un dolce veleno, dapprima godimento, poi depravazione. Saranno necessari lunghi anni per toglierne l’abitudine a questo strano Paese.

D’altra parte l’inizio c’è già stato. Era il 17 febbraio di quest’anno, poco prima di mezzanotte, un giovedì, quando ha avuto luogo una sorta di rifondazione civile dell’Italia, quasi inosservata dai Paesi vicini. È avvenuta sul palcoscenico del Festival di San Remo, il reliquiario dell’intrattenimento televisivo italiano. Roberto Benigni, il comico, ha terminato un estasiante monologo di 56 minuti con l’inno nazionale.

È stata un’ora di lezione di politica e senso civico, piena di spirito e derisione, a pazza velocità e accompagnata dalle sue gesticolazioni da mulino a vento. Su un cavallo bianco, sventolando il tricolore, il Premio Oscar ha cavalcato nei tinelli della Nazione, ha riso e sparlato e seguito le tracce di ogni parola dell’inno. E poi lo ha cantato. Senza orchestra, improvvisamente calmo e pensoso, così, come se volesse allontanare lo sciagurato presente. “Fratelli d’Italia”, Brüder Italiens.

Ancora nella notte il Capo dello Stato Napolitano lo chiama al telefono, per ringraziarlo. 66 percento degli italiani hanno vissuto questo momento, che deve averli toccati nell’anima. Se ne racconta ancora. È stato un momento storico ed è stato molto italiano. Un comico salva la politica perché un politico ha fatto diventare sé e il suo Paese uno zimbello.