Lo sguardo tedesco sull’Italia

Emanuela Pessina
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“Ciao bella! Il tramonto del Paese più incantevole del mondo”. Così l’autorevole settimanale tedesco Der Spiegel ha titolato la copertina di una sua recentissima edizione, dedicandola interamente alla crisi della nostra Italia. Una crisi che è soprattutto economica, ma non solo: perché il caso italiano ha attirato l’attenzione della stampa internazionale alla luce del recente attacco della speculazione, ma la sua malattia è molto più profonda.

Ed è così che Der Spiegel traccia il ritratto di un Paese paralizzato a livello politico, economico e culturale, che fa fatica ad affermarsi nell’economia globale nonostante la sua presenza nell’olimpo dei Paesi più industrializzati. Un’immagine già di per sé triste, costantentemente schiacciata a livello internazionale dagli ingombranti problemi personali della sua classe dirigente.

Tanto per cominciare, Der Spiegel cita il Forum Economico Mondiale di Ginevra, che ha definito l’Italia “un grosso intralcio” allo sviluppo; un’inefficiente burocrazia statale, un sistema tributario corruttibile, infrastrutture insufficienti e un fiacco sistema di prestiti sono alla base della sua debolezza. Il bilancio 2010 della Banca d’Italia ha rivelato un livello di economia pari a 25 anni fa. Nel 2009 il volume del sistema produttivo si è contratto del 5%, mentre nel 2010 ha superato di poco la parità.

Tra il 2008 e il 2009 sono stati cancellati 560mila posti di lavoro; il debito pubblico ha raggiunto i 1.843 miliardi di euro, più del doppio di quelli di Grecia, Irlanda e Portogallo e nel 2011 raggiungerà con ogni probabilità il 120% del Prodotto interno lordo (Pil). E, dulcis in fundo, solo il 27,5% dei cittadini italiani sostiene l’attuale Governo, ma la forza di cambiare davvero sembra scemare.

È da vent’anni a questa parte che l’Italia perde progressivamente di credibilità sotto ogni punto di vista, e questo non è un mistero. Per il settimanale tedesco il verdetto decisivo in questo senso è arrivato settimana scorsa dai mercati: citando il Financial Times, Der Spiegel scrive che la finanza non dà più credito al Governo italiano perché la sua politica crea insicurezza negli investitori. E anche ora che la manovra per la riduzione del deficit è passata e il vertice europeo di giovedì a Bruxelles sembra aver rassicurato i mercati (tra cui anche Piazza Affari che ha ripreso istericamente colore), il pericolo finanziario non sembra del tutto scongiurato.

Perché in realtà le basi su cui poggia il piano di risparmio da oltre 70 miliardi del Governo italiano lasciano aperti spiragli di insicurezza, suggerisce Der Spiegel. “Tra questo e il prossimo anno si prevede di risparmiare 9 miliardi di euro, solo l’11% del traguardo finale”, si legge nel lungo servizio, 10 pagine che sembrano non finire mai, “nel 2013 ci saranno poi le elezioni e la sopravvivenza della manovra alla campagna elettorale è tutt’altro che sicura”. In pratica, i veri sacrifici sono rimandati a una prossima legislatura: poco probabile che l’Italia stia recuperando la sua attendibilità di fronte ai mercati per la serietà del suo programma di risparmio.

“Di quell’Italia degli anni ’70 e ’80 che l’Europa tutta guardava con speranza, simpatia e forse una punta di invidia rimane sempre meno”, prende atto Der Spiegel, e introduce la sua analisi della nostra società dal punto di vista dei costumi e della cultura. E si parte dal ruolo fisso delle donne nella televisione, che si riduce al mero, inconsapevole “sculettare”, passando per gli “orgogliosi comuni del Nord Italia”, trasformatisi nella “roccaforte xenofoba della Lega Nord”, e per Cinecittà, ormai leggenda nella memoria tedesca, che affonda facendo spazio “all’impero del cattivo gusto”.

Inutile aggiungere che, ancora una volta, al centro del servizio di Der Spiegel c’è il premier Silvio Berlusconi: dai processi in corso al Rubygate, dalla nascita del suo impero mediatico agli interventi sulle leggi italiane che gli garantiscono la sopravvivenza politica ed economica, senza tralasciare i recenti diverbi con il ministro delle Finanze Giulio Tremonti e i provvedimenti per circoscrivere la libertà dei giudici. Nessun particolare è risparmiato all’Italia e alla sua politica, definita da Der Spiegel la “democrazia dell’intrattenimento”, perché l’Europa è preoccupata e osserva.

Ed è proprio un filosofo friulano, Flores D’Arcais, a dare voce alle inquietudini europee: “Il berlusconismo è la moderna alternativa al fascismo e si fonda sulla legalizzazione dei privilegi, così come sul potere assoluto delle immagini”. Der Spiegel non manca di citare le parole dell’intellettuale, facendo presente che il rischio di contagio per il resto del continente è reale. Berlusconi è deciso a portare a termine la sua legislatura nonostante i vari coinvolgimenti privati, e tutte le capitali europee ne sono sbalordite. Nel resto del mondo i politici si dimettono per una tesi copiata o per una relazione clandestina con stagiste: ai più viene difficile capire la mentalità italiana fino in fondo. Perché nulla cambia.

L’Europa non crede più all’Italia e i segnali sono chiari. È difficile accettare il quadro che la stampa internazionale traccia della nostra società, eppure è giusto prenderne atto. Forse preferiremmo non doverci confrontare continuamente con il romanzo dei problemi privati della nostra classe politica, ma come possiamo aspettarci che il mondo faccia finta di niente quando il nostro rapporto con la politica si riduce a questo, a una lotta quotidiana con le loro complicazioni private? La difficoltà maggiore è quella di dimostrare agli stranieri che noi siamo diversi, che la nostra classe politica non ci rappresenta. Anche se è arduo sconfiggere i pregiudizi, almeno quanto il malgoverno.