Siria, una strage decisa a tavolino

Riccardo Cristiano
www.ilmondodiannibale.it

Il lungo silenzio mediatico sulla Siria ha retto fino ad oggi, e per romperlo c’è voluta appunto questa nuova strage di Hama, non ancora conclusa e quindi dal bilancio purtroppo ancora provvisorio

Stando al servizio meteorologico della Bbc oggi nella città siriana di Hama il termometro è salito fino a 43 gradi. Non deve essere facile per gli ottocentomila residenti resistere, visto che il governo di Bashar al-Assad ha fatto tagliare luce e acqua a tutti. Non è un misura nuova, il regime è ricorso tantissime volte a questo barbarica misura per piegare l’insurrezione in numerosi centri, piccoli o medi. Ma credo sia la prima volta per una grande città. E’ in questa città che hanno fatto irruzione i fedelissimi del regime, causando secondo le prime stime 45 vittime (già salite a cento alle 12,30 italiane).

Hama è la città-martire per eccellenza del regime degli Assad. Chi può parlare di Siria e dimenticare il “capolavoro” di Assad padre, Hafez, quando in un giorno solo fece passare a miglior vita (peggiore di quella di suo suddito è difficile) ben 20mila abitanti di questa città. I fedelissimi di Hafez al-Assad minarono le mura della vecchia inespugnabile città insorta, mandando tutti al creatore, compresi ovviamente vecchi, donne e bambini.

Assad junior è ricorso alla misura medievale a lui più cara, togliere a tutti luce e acqua, per poi mandare i suoi a cercare di “ripulire” le strade.

Ma perché? Perché Bashar al-Assad non ha voluto ascoltare i suoi più preziosi alleati, perché dopo essere andato avanti come un mulo con la “linea dura, “ anche al costo di rompere con Turchia e Qatar, oggi non ha ascoltato neanche i “maestri” della linea dura?

Bashar infatti da mesi si è consegnato agli agenti iraniani e di Hezbollah, che secondo molte testimonianze o denunce sarebbero i veri istruttori della repressione, i fautori della politica dei desaparecidos. All’inizio, si ricorderà, i reparti specializzati che guidano la repressione della rivolta, seguendo le istruzione del fratello di Bashar, Maher al-Assad, causarono in pochi giorni un numero molto alto di morti.

Poi iraniani e Hezbollah avrebbero suggerito una strada diversa: per rendere la repressione “compatibile” con il mondo d’oggi, che si impressiona davanti alle carneficine, era molto meglio ricorrere a torture e detenzioni di massa. Così molti stadi siriani sarebbero stati trasformati in luoghi di detenzione di massa, sul modello sudamericano (epoca Pinochet-Videla).

Una scelta che in molti hanno ritenuto “azzeccata”. Il lungo silenzio mediatico sulla Siria ha retto fino ad oggi, e per romperlo c’è voluta appunto questa nuova strage di Hama, non ancora conclusa e quindi dal bilancio purtroppo ancora provvisorio.

Chi tiene il conto delle vittime accertate in Siria dal 15 marzo scorso, data d’inizio dell’insurrezione contro gli Assadm, è arrivato a una cifra importante, quasi 2000. Ma il “gutta cavat lapidem” ha funzionato: era tempo che non si arrivava nel corso di una sola giornata a una cifra tale di assassinii da riportare Damasco sotto i riflettori della grande stampa.

Dunque la domanda resta: perché? Perché la nuova strage di Hama?
Isolato dal mondo, il regime avrebbe due grandi timori: l’insurrezione di Damasco e la defezione di pezzi significativi dell’esercito. Con costi economici enormi (e i soldi cominceranno pure a scarseggiare) il regime è riuscito a reprimere l’insurrezione dei piccoli centri, ma se la rivolta popolare esplodesse anche nelle grandi città, sarebbe la fine.

E questa fine potrebbe essere accelerata da importanti defezioni militari, un campanello d’allarme di cui si parla da settimane e che proprio nelle ultime ore sarebbe tornato a farsi sentire dalla città polveriera del confine con l’Iraq.

Allora, visto che la provincia e le periferie di Damasco ormai ribollono e visto che l’esercito dà sempre più inquietanti segni di rottura possibile, il regime avrebbe deciso di giocare la carta “stragista”, sperando che terrorizzi abbastanza da impedire l’esplosione di Damasco.

E dove colpire se non ad Hama, in modo che quella città nemica e tutte le altre si ricordino la durezza della precedente strage, quella paterna.