Gaza: Oliva, l’ostinata difesa dei più deboli

Silvia Todeschin
Ism – International Solidarity Movement

Oliva, la barca internazionale che naviga in acque palestinesi per monitorare le violazioni dei diritti umani in esse perpetrate, è stata ripetutamente attaccata dalla marina militare israeliana, mettendo in pericolo le vite stesse del suo equipaggio.

Secondo gli accordi di Oslo i pescatori palestinesi non possono allontanarsi più di 20 miglia marine dalla costa di Gaza, ma Israele impedisce loro con l’uso della forza di allontanarsi più di 3 miglia. Due anni fa gli attivisti dell’ISM-Gaza, tra cui Vittorio Arrigoni, accompagnavano i pescatori palestinesi nelle loro uscite in mare, permettendo loro di superare i limiti imposti dall’occupante.

Alla fine i soldati israeliani hanno catturato loro e i pescatori, li hanno tenuti sotto sequestro in una prigione israeliana e deportati nel loro paese d’origine. Per questo si è pensato di mettere in mare un’altra nave che, accompagnando i pescatori di Gaza, monitori le potenziali violazioni di diritti umani.

Le si è dato il nome Oliva perché esso ricorda l’amore dei palestinesi per la loro terra e quell’olio che deve per forza essere il migliore del mondo perché porta in se tutta la forza ed il sangue di coloro che sono morti per difenderlo. La parola Oliva, poi, ha proprio un bel suono.

Le storie dei pescatori palestinesi si somigliano un po’ tutte: Mustafa, Mahmoud e Hjazi erano usciti per pescare il 5 di marzo. La nave da guerra israeliana li ha raggiunti mentre si trovavano a 2,5 miglia dalla costa, ed ha cominciato e sparare alle loro reti. Quando i soldati hanno minacciato di sparare anche a loro se non si fossero fermati hanno spento il motore, sono stati obbligati a denudarsi e buttarsi in mare per nuotare fino alla nave sionista, dove sono stati bendati, fatti inginocchiare sul freddo ponte in metallo e legati con strette cinghie alle mani. Ad Ashdod (il porto israeliano) sono stati interrogati e di fronte a Mustafa è stato posto molto denaro, proponendogli di lavorare per come informatore. Lui ha rifiutato: sono stati rimandati a Gaza senza scarpe, senza barca e senza reti.

Alaam ha 15 anni ed è stato sequestrato con suo padre Nasser mentre stava pescando. Nasser racconta: “[Le navi da guerra] ci hanno raggiunti e ci hanno ordinato di fermarci. […] Io ho continuato a navigare verso la spiaggia: solo 4 giorni fa avevano sparato a mio figlio Yasser e non avevo nessuna voglia di obbedire loro. A quel punto hanno iniziato a sparare e potevo solo fermarmi”. Yasser ha un proiettile nel petto ben visibile dalle ecografie e ci dice: “vogliamo il nostro mare indietro. Aiutateci a far si che il mare sia di nuovo aperto per noi!”.

Solo tra il 27 dicembre 2010 ed il 27 gennaio 2011 sono stati riportati cinque attacchi da parte della marina militare israeliana, che hanno portato al sequestro di 16 persone, con le navi e l’attrezzatura. Secondo il Palestinain Center for Human Rights (PCHR) le forze militari israeliane violano il diritto dei pescatori palestinesi alla vita, sicurezza ed incolumità. L’attacco diretto ai civili è considerato crimine di guerra.

Il 13 e il 14 di luglio Oliva ha subito pericolosi attacchi, entrambi entro le 3 miglia marine dalla costa, da parte delle navi da guerra israeliane. Ruqaya racconta l’aggressione di mercoledì 13: “Li abbiamo visti sparare acqua ad alcune barche di pescatori, quando ci siamo avvicinati la nave da guerra si è rivolta verso di noi. Ci hanno attaccati per circa 10 minuti, seguendoci mentre noi ci dirigevano verso la costa.”

La sera di giovedì 14 luglio due navi da guerra la hanno attaccato Oliva con cannoni ad acqua che hanno rischiato di farla affondare riempiendola di acqua. I membri dell’equipaggio ed il capitano sono stati portati in salvo in un peschereccio palestinese a cui però la nave israeliana ha continuato a girare attorno sparando acqua per un’altra ora. Prima di allontanarsi i soldati israeliani hanno fatto sapere che se Oliva fosse tornata in mare avrebbero sparato sia ai pescatori palestinesi che a chi era li per monitorare le violazioni dei diritti umani.

Infatti il 16 di luglio nella mattinata la barca è stata nuovamente attaccata, in maniera meno forte probabilmente a causa della presenza di numerosi giornalisti. La mattina del 20 è stato danneggiato il motore ed è stato sparato con cannoni ad acqua a distanza ravvicinata. Joe Carton, sulla nave, ha affermato che fintantoché Israele continuerà a impedire ai palestinesi di pescare “Continueremo ad uscire con i palestinesi e documentare le violazioni dei diritti umani, nonostante le forti minacce che subiamo sia noi che i pescatori”.

Il 24 di luglio gli attivisti dell’ISM hanno accompagnato dei pescatori nelle barche palestinesi e si sono visti sparare contro proiettili da parte delle navi da guerra israeliane, nonostante le ripetute dichiarazioni al megafono ad alla radio che ribadivano la presenza di civili internazionali e l’assenza di minacce verso Israele.

Gli attacchi ad Oliva rendono palese che ciò di cui gli israeliani hanno paura è dire la verità su quel che stanno facendo: raccontare i feroci crimini, le azioni terroristiche israeliane, fare in modo che si sappia cosa stanno facendo passare al popolo palestinese. Perché prendendo conoscenza di quel che succede molti adottano una posizione attiva contro l’occupazione, e la crescita di movimenti come quello del boicottaggio, del disinvestimento e delle sanzioni rappresentano davvero una minaccia per l’establishment sionista.