La finta moneta europea

Ilvio Pannullo
www.altrenotizie.org

La notizia è ormai conosciuta da tutti. È sempre la stessa da qualche mese a questa parte. Apre tutti i giornali e i telegiornali della nazione, tanto da aver costretto anche il più riottoso italiano ad informarsi su cosa sia il differenziale tra i Buoni Ordinari del Tesoro italiani e i Bund tedeschi. Si potrebbe ragionevolmente considerarla un aggiornamento, un triste aggiornamento. Ecco l’ultimo: ieri, 4 agosto, per la seconda volta nell’anno 2011, le borse europee sono state sospese a causa delle perdite senza freni dei listini.

Alla fine per l’Italia il risultato finale ha visto la Borsa di Milano perdere il 5,6%. Il numero merita però una spiegazione: ieri, 4 agosto, una tempesta di panico, paura, credibilità e speculazione si è abbattuta sui pilastri fondamentali della nostra economia. I titoli di Stato italiani, lo strumento economico-giuiridico grazie al quale il paese finanzia le proprie spese pubbliche, hanno ieri accusato il colpo raggiungendo il livello dei titoli spagnoli, salvo poi tornare sotto i 400 punti. Una ben triste consolazione.

Vanno giù tutte le Borse asiatiche: Tokyo, Shanghai, Sydney e Seul segnalano pesanti ribassi sulla scia delle chiusure negative dei mercati europei e di Wall Street. La peggiore è Taiwan che chiude a -5.58%. Peggio solo noi. Si comprende dunque la febbricitante attesa per la giornata di oggi, soprattutto per Piazza Affari, che apre negativa. Il Ftse Mib all’inizio della giornata di ieri segnava un calo del 3,23%. Raffica di sospensioni per eccesso di ribasso, poi il cambio di direzione e il leggero recupero. Negative anche le aperture di tutte le altre borse europee. Fin qui l’aggiornamento. Ma qual è il senso di tutto questo? Quali sono gli insegnamenti che se ne dovrebbero dedurre?

In primo luogo quanto sta accadendo ci dovrebbe far riflettere sul valore delle nostre democrazie rappresentative. La delegazione senza vincolo di mandato della sovranità popolare, in favore di una classe dirigente non preventivamente selezionata attraverso rigide procedure, ha drammaticamente fallito. Appare oltremodo evidente infatti che i nostri leader, tutti, dai politici di governo a quelli di opposizione, dal Presidente della Repubblica ai sindacati, agli industriali, hanno deciso di lasciarci andare a fondo pur di non ammettere che la causa principale della situazione è l’unificazione della moneta, e riconoscere, quindi, che il progetto era sbagliato.

Non che sia sbagliata l’idea in sé, piuttosto sono state sbagliate le modalità attraverso le quali il progetto è stato realizzato. E’ sorprendente che perfino Berlusconi, accusato di tutte le colpe possibili e immaginabili, non abbia fatto nemmeno un’allusione a questo problema, nel discorso tenuto alla Camera e al Senato proprio per illustrare la situazione economica del Paese.

Costruire una Unione Economica e Monetaria doveva originariamente essere l’inizio di un progetto molto più ambizioso: creare un’Europa unita, una Nazione Europea. Le difficoltà politiche implicate nell’operazione erano straordinarie, apparentemente insuperabili. Appariva come un sogno, una meta: il mondo vero, irraggiungibile, indimostrabile, impromettibile, ma in quanto già pensato una consolazione, un dovere, un imperativo per tutte le classi dirigenti di un continente dilaniato da due guerre mondiali. Si pensò o si indusse a pensare che l’unificazione economica e monetaria avrebbe poi inevitabilmente portato, gradualmente, ad un’unificazione politica. Così non è stato.

Dopo 25 anni dalla firma dell’Atto Unico Europeo nel 1986 e dopo 18 anni da quel 1° novembre del 1993, giorno in cui entrò in vigore il Trattato di Maastricht, o Trattato sull’Unione Europea, allora firmato il 7 febbraio 1992 a Maastricht, dai dodici paesi membri dell’allora Comunità Europea, oggi Unione Europea, nulla di tutto ciò che era stato promesso è stato realizzato. La patria europea rimane un miraggio e ciò che rimane è il senso di amarezza quando si coglie la distanza tra che poteva essere e ciò che è: un gigante economico ora incalzato dalle potenze emergenti di tutti i continenti, un nano politico privo di una voce che possa impegnare tutti gli Stati membri dell’Unione, un verme militare senza bandiera né inno.

In secondo luogo si dovrebbero analizzare le reali ragioni dello status quo e proporre delle soluzioni ragionevoli e dunque concretamente e politicamente praticabili. Proporre l’uscita della Germania dall’euro, come fatto dal premio nobel per l’economia Stiglitz, non può che essere una provocazione in quanto la moneta unica è stata creata proprio nell’interesse tedesco. Dunque cosa fare?

Ritornare a battere una moneta il cui valore sia correlato alla nostra economia appare l’unica strada sana e ragionevole, non soltanto per noi ma per molti paesi dell’Unione, quali la Grecia, la Spagna, l’Irlanda, il Portogallo, visto che è evidentemente una finzione e una falsità che paesi finanziariamente così deboli siano titolari di una moneta apparentemente forte perché corrispondente, sotto il nome di “euro”, al vecchio marco tedesco. È dunque di una finzione che si sta parlando, una falsità che i mercati e le Borse valori di tutto il mondo stanno “giustamente” distruggendo.

Si parla molto in questi giorni dell’aggressione all’euro da parte degli speculatori, ma si tace sui motivi per i quali questa speculazione sia capace di metterci al tappeto con tanta facilità. Dopo tutto come europei siamo il popolo che ha conquistato il mondo intero, ad esclusione della penisola asiatica – geograficamente e antropologicamente l’Eurasia è infatti un unico blocco continentale. La popolazione sfiora i 450 milioni di persone, eppure sembra basti poco per metterle in ginocchio tutte in poco tempo.

La verità è stata da tempo raccontata: l’euro – quella che ci viene venduta come la “nostra” moneta – è una moneta fabbricata (“emessa”) da una banca che porta un nome fittizio e truffaldino: si chiama Banca Centrale Europea, ma gli Stati europei non vi hanno quasi nulla a che fare in quanto appartiene a privati cittadini.

Il suo capitale sociale è diviso in quote di proprietà delle singole Banche Centrali Nazionali ed insieme formano il SEBC: il Sistema Europeo di Banche Centrali. Le singole Banche Centrali Nazionali sono a loro volta istituti di diritto pubblico (istituti cioè disciplinati dal diritto pubblico) la cui veste giuridica è quella di mere società per azioni. La proprietà delle azioni, del capitale sociale, implica dunque la proprietà degli istituti di diritto pubblico che sono a loro volta i proprietari della Banca Centrale Europea.

Il cerchio si chiude quando si leggono i nomi delle società per azioni proprietarie del capitale sociale delle Banche Centrali Nazionali: semplicemente le banche e i gruppi assicurativi più potenti delle singole aree di influenza. Gli organismi di diritto pubblico chiamati a sorvegliare e garantire la correttezza del sistema bancario sono espressione delle banche e dei gruppi assicurativi, che vantano la più alta capitalizzazione nelle rispettive Borse valori. In altre parole controllori e controllati esprimono interessi comuni. Detto ancora più semplicemente: il conflitto d’interessi più devastante e spaventoso che si sia mai manifestato in questo angolo di mondo.

Per non rimanere sul vago e ragionare astrattamente, si fa riferimento a singoli gruppi di banchieri banchieri, famiglie ricchissime che esercitano l’attività bancaria fin da quando questa ha iniziato ad affermarsi sul nostro continente: dai Fugger di Amburgo ai Roschildt di Francoforte, che possiedono anche buona parte di altre banche, come ancora i famosi Rockfeller, e ancora re e regine anch’essi ricchissimi, quali la Regina d’Olanda Beatrice (una delle donne più ricche del mondo), la regina di Spagna Sofia, il re del Belgio Baldovino, la Regina d’Inghilterra Elisabetta II, solo per citare i più noti ed influenti.

L’euro, dunque, è un caso unico nella storia: una moneta che non ha nessuno Stato alle spalle e che, di conseguenza, non ha nessuna entità istituzionale capace di garantirla. Si parla infatti di debiti “sovrani” quando ci si riferisce ai debiti degli Stati, in quanto sono gli Stati che sono “sovrani”, ossia esprimono potere, territorio e autorità su popoli che da loro dipendono e che al tempo stesso ne garantiscono la sovranità. La Banca Centrale Europea non possiede ovviamente nessuna sovranità, così come non la possiede l’Unione Europea non essendo il Parlamento europeo depositario ex lege di alcuna sovranità: entrambe, quindi, non sono (recte: non sarebbero) legittimate a produrre e far circolare nessuna moneta.

L’Unione Europea ricorda come struttura l’Organizzazione delle Nazioni Unite, l’Unesco, e cioè organizzazioni internazionali istituite in forza di accordi internazionali, dotati ciascuno di essi di particolari compiti e particolari strutture. Rimane però il punto di cui sopra: non sono Stati sovrani. Farebbe davvero ridere se l’Onu, per esempio, pretendesse di emettere una moneta valida per tutti gli Stati che vi appartengono. L’euro è perciò una moneta “finta” e non regge alla prova dei fatti in quanto nessuno può garantirla.

Dunque, delle due l’una: o si cambiano d’imperio gli obiettivi statutari della Banca Centrale Europea – cosa vietata ad oggi dagli stessi Statuti, della BCE e del SEBC – o gli Stati sovrani d’Europa, e cioè i popoli detentori delle singole sovranità nazionali, farebbero bene a salvaguardare i propri interessi per continuare ad immaginare un futuro libero e sostenibile.

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Il commissariamento e i complici

Fabrizio Tringali
www.megachipdue.info

La BCE ha deciso di procedere all’acquisto di titoli del debito pubblico italiano e spagnolo. Questa decisione, che sarebbe stata impossibile fino a qualche mese fa, è stata resa realizzabile tramite l’introduzione di nuove regole nella governance europea, approvate recentemente dai Paesi dell’Euro. La discussione politica che si sviluppò nel periodo immediatamente precedente l’introduzione delle nuove norme, vide una divisione fra la Francia e Germania da una parte, e il resto d’Europa dall’altra.

I due paesi con economia più forte cercarono di introdurre regole molto rigide, al fine di dare alla UE gli strumenti per determinare le politiche economiche degli stati membri. Gli Stati più deboli opposero una timida resistenza, e strapparono un compromesso che fu poi approvato da tutti.

In pratica ottennero che nonostante le amplissime possibilità di condizionamento da parte degli organismi comunitari, le competenze formali relative alle decisioni sulle politiche economiche nazionali restassero in carico ai governi degli stati membri.

Con il procedere della crisi, Francia e Germania ritornano all’attacco per cancellare quel minimo residuo di sovranità nazionale ancora appannaggio degli esecutivi degli Stati. L’acquisto dei titoli italiani e spagnoli da parte della Banca Europea non è un salvataggio, né tantomeno un aiuto o un favore fatto a Paesi in difficoltà. E’ un ricatto.

E’ oramai chiaro a tutti che la BCE chiede in cambio che i governi nazionali attuino le riforme indicate da Bruxelles (cioè volute da Francia e Germania), così come è evidente che l’esecutivo italiano è stato sostanzialmente commissariato.

Ma quali sono queste riforme? Cosa viene chiesto all’Italia? Quali sono gli obiettivi della UE? Si potrebbe pensare che l’Europa voglia che gli Stati in crisi garantiscano la solvibilità del debito. Il che è vero. E per far pagare i costi della crisi ai ceti medi e medio-bassi impongono durissimi tagli, privatizzazioni e svendite di patrimonio pubblico.

Ma tutto ciò ancora non basta. C’è un altro elemento che rende il futuro dei paesi come l’Italia estremamente cupo.

L’Unione Europea è nata mettendo insieme Stati con economie molto diverse e variegate, ed ora l’Euro fatica a tenere insieme Paesi con ampi differenziali di produttività. Gli Stati con l’economia più forte hanno bisogno di colmare questi differenziali, e per farlo utilizzano le nefaste ricette del liberismo. I Paesi mediterranei come l’Italia o la Grecia sono destinati ad un costante deperimento delle condizioni di lavoro. Tutti i diritti e le tutele che abbiamo conosciuto fino ad oggi vanno eliminati, in quanto ostacoli all’aumento della produttività.

Ecco perché Sarkozy e Merkel, tramite Trichet e Draghi, chiedono al governo italiano misure di riforma del lavoro, tra le quali figurano la facilitazione dei licenziamenti e il potenziamento dei contratti di secondo livello, che vuol dire svuotamento dell’efficacia dei Contratti Nazionali di Lavoro. Tutto in nome della produttività

Purtroppo questa disastrosa linea è stata già accettata anche da Susanna Camusso, leader della CGIL, come testimonia la firma in calce all’accordo interconfederale del 28 giugno, che depotenzia la contrattazione nazionale e riduce la democrazia sindacale, al fine di consentire alle aziende di imporre qualsiasi decisione finalizzata all’aumento della produttività dei lavoratori. Al momento la Camusso finge una timida opposizione ad ulteriori decisioni che impattino sul mondo del lavoro, strumentale a facilitare la caduta del governo Berlusconi. Una volta ottenuto un esecutivo bipartisan, sorretto anche dal centrosinistra, la CGIL lascerà i lavoratori italiani al fosco destino cui sono stati relegati dagli Stati forti che governano la UE.