Una battaglia di libertà

Paolo Bonetti
www.italialaica.it

La vicenda l’avete letta certamente sui giornali di questi ultimi giorni: Anna, una donna di Treviso di 48 anni, testimone di Geova, affetta da sclerosi laterale amiotrofica, rifiuta, per motivi religiosi, le trasfusioni di sangue, e anche la tracheotomia, come ultimo tentativo per tenerla ancora in vita in condizioni tali che essa giudica non rispettose della sua libertà e della sua dignità.

Il giudice tutelare di Treviso le ha dato ragione e le ha riconosciuto il diritto, previsto dalla Costituzione, dal codice deontologico medico, dalle pronunce della Cassazione, di non essere sottoposta a cure salvavita senza il suo consenso informato; ha, inoltre, nominato il marito “amministratore di sostegno”, qualora Anna non sia più in grado di manifestare direttamente la propria volontà.

Ben diverso è ciò che dice la legge Calabrò contro il testamento biologico, recentemente approvata dalla Camera e che adesso dovrà tornare in Senato. D’altra parte, il ministro Sacconi e la sottosegretaria alla salute Eugenia Roccella, ex-radicale convertitasi da tempo al clericalismo, hanno subito dichiarato che, attraverso il giudice, “si vuol introdurre il suicidio assistito e programmato”.

Non è così: la sottosegretaria Roccella dovrebbe ben sapere che, sul fondamento di diversi articoli della Costituzione (2, 3, 13, 19, 32), ogni cittadino ha diritto di professare liberamente la propria fede religiosa e di scegliere le cure a cui essere sottoposto oppure di rifiutarle, dopo essere stato convenientemente informato. A quanto pare, certi governanti italiani non hanno imparato nulla dai casi Englaro e Welby, o meglio, hanno imparato a violare i nostri diritti in nome della loro particolare ideologia religiosa.

Possiamo non condividere le ragioni che hanno spinto Anna a ricorrere al giudice per avere la garanzia di non essere legata un giorno, contro la sua volontà, a una macchina salvavita. Pensare diversamente è del tutto legittimo, come lo è chiedere che non vengano mai interrotte, anche nel caso in cui ci si trovi in stato vegetativo persistente, l’alimentazione e l’idratazione artificiali, ma non è costituzionalmente legittimo e neppure moralmente giustificabile che si impongano a una persona cure che questa non desidera più ricevere, perché le ritiene contrarie alla propria libertà e dignità.

La legge Calabrò, come quella sulla procreazione assistita, sostanzialmente demolita dalla Corte Costituzionale, viola chiaramente alcuni principi fondamentali sanciti dalla Carta fondatrice della nostra Repubblica e, qualora dovesse essere confermata così com’è, dal Senato, dovranno subito partire i ricorsi alla suprema corte e, contemporaneamente, dovrà iniziare la raccolta delle firme per un referendum abrogativo.

Perché oggi, in Italia, siamo ridotti a questo: il Parlamento legifera contro la Costituzione e la nostre uniche armi di difesa contro i soprusi del potere legislativo in combutta con quello esecutivo, sono le pronunce dei giudici e i referendum abrogativi.

Ma c’è di peggio: anche un eventuale cambiamento di governo, che tutti ci auguriamo per la manifesta incapacità dell’attuale esecutivo di far fronte alla gravissima situazione economica e sociale, non porterebbe, con ogni probabilità, a una migliore legislazione nel campo dei diritti civili. Ogni cambiamento di indirizzo politico passa oggi, necessariamente, attraverso l’alleanza, peraltro molto problematica, fra la sinistra e i centristi del cosiddetto terzo polo.

E tutti sanno che, in quest’ultimo, prevalgono nettamente i gruppi rigidamente obbedienti alle direttive della Chiesa cattolica. Per non parlare di quei deputati del Pd che, come si è visto anche nel caso della legge sull’omofobia, sono pronti a schierarsi con la destra nella difesa di un’etica clericale che si vuol far diventare etica di Stato.

Questa situazione, che non consente illusioni e non lascia adito a molte speranze, deve essere valutata con lucido realismo da tutti coloro che insistono nel perseguire la via parlamentare per l’affermazione di taluni diritti, ormai riconosciuti da tutte le democrazie liberali europee, ma che in Italia non riescono a farsi strada, nonostante ci sia, in molti casi, un’opinione pubblica nettamente favorevole al loro riconoscimento.

Se non ci si rende conto di quella che è l’attuale situazione parlamentare, situazione che permarrà tale anche in caso di sconfitta del centro-destra alle prossime elezioni politiche, si rischia di andare incontro a ripetute sconfitte. Negli anni Settanta, ai tempi delle leggi sul divorzio e sull’aborto, c’era in Parlamento una maggioranza laica che non c’è più e che rischia di non esserci ancora per molti anni.

Paradossalmente la scomparsa della Democrazia cristiana ha reso più debole il fronte laico, perché ha reso possibile a tutti i partiti la partecipazione alla gara per accaparrarsi il sostegno della Chiesa cattolica. Forse, soltanto la ricostituzione di un partito apertamente cattolico e chiaramente sostenuto dalle gerarchie ecclesiastiche, permetterebbe alle forze laiche di ricompattarsi in nome dei comuni principi. Ma la storia non torna indietro, neppure quando sembra farlo.

L’unica strada aperta per coloro che credono sinceramente nei principi dello Stato laico è difendere strenuamente la Costituzione e l’autonomia dell’ordine giudiziario e cercare, intanto, di far capire alla più vasta opinione pubblica che si può essere buoni cristiani e perfino buoni cattolici senza per questo essere clericali.