Guerra in Libia: davvero non esisteva altra strada?

Floriana Lipparini
www.womenews.net, 25 agosto 2011

Una volta di più, e forse mai come questa volta, un giornalismo totalmente embedded rispetto alle leadership europee e alla Nato ci ha ammannito la rappresentazione mediatica della guerra in Libia, mostrandoci folle festanti che agitano bandiere, giovani guerrieri col mitra che sorridono alle telecamere, e lontani fumi che si alzano da macerie non ben identificabili.

Ma dove sono i morti? Quanti civili sono stati uccisi? Quante donne e bambini? Come mai non ne vediamo traccia?

Certo, la guerra in sé non è mica bella da vedere. Meglio costruire una narrazione senza veri testimoni, meglio far parlare un solo punto di vista, una sola parte.

Altrimenti come si potrebbe rappresentare la guerra come una festa, la violenza come promessa di giustizia e democrazia, le bombe come salvatrici dei popoli oppressi?

Con quanta tronfia ipocrisia l’Occidente si erge a difensore delle “primavere arabe”, nelle terre che non più di un secolo fa ha saccheggiato e sfruttato, e con quale rapida intesa i leader europei hanno forzato i termini della risoluzione Onu per lanciarsi nell’ennesima, maledetta guerra del petrolio a suon di bombe.

Davvero non esisteva altra strada per liberarsi di un dittatore? Davvero la gente libica non poteva iniziare una resistenza pacifica, forse lunga e pericolosa, ma certo meno sanguinosa di una guerra gestita dalla Nato?

Davvero non si poteva aspettare per capire cosa realmente la gente volesse, prima di seminare bombe sulla testa dei civili e probabilmente creare una frattura insanabile fra le diverse anime tribali di cui è composto il paese? Ora si parla di una taglia sulla testa di Gheddafi, wanted per prossima esecuzione. Tutto il mondo trasformato nel Far West senza regole che gli Usa ci hanno abituato da tempo a conoscere.

Questa overdose di informazione televisiva “in tempo reale” ad alcune persone forse regala l’illusione di condividere il farsi della storia mentre, al contrario, ci si stanno vieppiù ottenebrando le comuni capacità critiche. Nulla più è verificabile, tutto è falsificabile con una potenza mai raggiunta prima.

Una potenza così schiacciante da riuscire ad annientare anche le tradizionali voci di dissenso che, per quanto poche, comunque esistevano e resistevano.

La violazione della risoluzione Onu, che non consentiva i bombardamenti, e dell’articolo 11 della nostra Costituzione, è passata nel totale silenzio, come se non rappresentasse un segnale devastante rispetto ai rapporti interni e internazionali.

Le regole non servono, quando occorre si violano: questa è la filosofia delle cosiddette “democrazie” occidentali. In altre parole, la legge della giungla. E con questo tipo di democrazia si va a “salvare” un popolo dalla dittatura.

Solo uno sparuto gruppo di superstiti nel pacifismo, nel femminismo, nel giornalismo critico ha avuto la forza di continuare a protestare. Il timore di farsi prendere per “amici di Gheddafi” è grande, come se qualcuno potesse ignorare che sono sempre state queste voci a condannare i crimini di ogni dittatura e specificamente anche quelli di Gheddafi, in particolare per gli orrori contro i migranti nei campi di raccolta.

In compenso si sente parlare la destra che prende i panni di un pacifismo d’accatto, sottolineando i danni economici che la caduta del rais ci potrà comportare!

Purtroppo il potere e la potenza nel mondo sono nelle mani di leadership costituite in massima parte da uomini (e da qualche donna) mai evolutisi rispetto a una fase di infantile onnipotenza: prendo ciò che voglio e lo prendo con la forza. Sono più forte e quindi il diritto è mio.
Faccio la guerra perché non so o non voglio nemmeno immaginare un’altra via per risolvere i conflitti, e la chiamo pace. Faccio la guerra anche se è il più tragico spreco di vite e di risorse che si possa immaginare.

Faccio la guerra come se fosse un gioco. Gioco ovviamente maschile, oltre che infantile.

Ecco perché le donne consapevoli dovrebbero riprendere con grande impegno quel discorso contro le guerre che negli anni Novanta ha prodotto esperienze di grandissimo interesse e che si è poi affievolito fino a sbiadire del tutto.
Ma le guerre continuano e anzi ritornano.

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da: www.peacereporter.net

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