La medicina in corpo

Elena Dusi
La Repubblica, 11-8-2011

“Medicus curat, natura sanat” si diceva un tempo. Oggi che i due piatti della bilancia hanno perso il loro equilibrio, la natura si ritrova soffocata da 60milioni di farmaci ingurgitati in un giorno e 700 milioni di ricette mediche firmate in un anno in Italia. Troppo, secondo alcuni. «Siamo preoccupati per la qualità della salute e i suoi costi. Ci sono trattamenti molto cari che non migliorano la salute, anzi in alcuni casi la danneggiano.

Dobbiamo ricordare che non sempre fare di più vuol dire fare meglio» lamenta la National Physicians Alliance americana. La società che raccoglie i medici non specialisti negli Usa ha appena stilato un elenco delle diagnosi e dei trattamenti da limitare in nome del principio “meno è meglio”. Meno antibiotici per combattere il raffreddore e pillole per abbassare il colesterolo laddove basterebbe cambiare dieta, meno tac, risonanze magnetiche ed esami invasivi per il cuore senza sintomi sono alcuni dei consigli che arrivano dai 250 medici americani delle più varie discipline, interpellati per indicare quali rami sfrondare in un paese malato di troppe cure e preoccupato per il suo portafoglio.

In Italia la percezione dei camici bianchi non è diversa. «L’ 80% dei mal di schiena acuti si risolverebbero da soli. Basterebbe lasciar lavorare il tempo», secondo Carlo Bertolini, primario di riabilitazione al Gemelli di Roma. «La natura sa curare assai bene, ma ha tempi lunghi. Gli esami andrebbero prescritti solo se il dolore dura per due mesi. Ma a volte un paziente è paziente solo di nome. Alla fisioterapia e all’ attesa, unite alla capacità di autoascoltarsi, preferisce la scorciatoia chirurgica».

«Tutto ciò che viene introdotto dall’ esterno, non viene prodotto all’ interno» ricorda poi Manuel Castello, professore di pediatria alla Sapienza di Roma. «È inutile somministrare ai bambini mix di germi disattivati per potenziare il sistema immunitario ed è controproducente dargli pillole di vitamine, che fanno lavorare fegato e reni per smaltire gli eccessi. Non ha senso fargli prendere antibiotici per raffreddori che sono causati da virus.

È dannoso usare steroidi per abbassare la febbre, perché se da un lato si abbassa la temperatura, dall’ altro si deprimono le difese immunitarie. E ci sono malattie, come le infezioni da salmonella, che nella maggior parte dei casi guariscono meglio senza antibiotici». Dai bambini agli anziani: «Non capisco – afferma Giorgio Dobrilla, primario emerito di gastroenterologia a Bolzano e docente di metodologia clinica all’ ateneo di Parma come si possano prescrivere dieci pillole, ognuna da prendere a un orario preciso. I farmaci per gli anziani andrebbero ridotti all’ essenziale anche per ragioni di semplicità».

Medicine e test non appropriati costano al nostro paese tra i 10 e i 12 miliardi di euro all’ anno: circa il 10% della spesa nazionale per la salute. Lo ha calcolato l’ Ordine dei medici di Roma e Lazio con un questionario su 2.700 camici bianchi di tutta Italia. «L’ 85% ha ammesso di fare più del necessario nel timore di essere denunciato» spiega Mario Falconi, presidente dell’ Ordine della capitale. «Basta il sospetto remotissimo di una broncopolmonite per spingere un medico a ordinare un antibiotico».

Il timore di cause giudiziarie e la pressione dei media – non una reale necessità – sono alla base secondo lo studio del 13% delle ricette uscite dalla penna di un dottore. Che un’ altra medicina sia possibile è convinzione di quei professionisti che di strumenti complessi fanno a meno per necessità. «In Sudafrica per curare un paziente con l’ Aids si spendono 150 euro all’ anno. In Italia 8mila. Lì otteniamo una diagnosi con una goccia di sangue, un reagente e una tavoletta di plastica. Qui usiamo macchinari enormi» racconta Gianfranco De Maio, responsabile di Medici senza frontiere Italia.

«Dai paesi poveri guardiamo anche con una certa ironia a una medicina che si è autocostruita con l’ aspirazione di massimizzare i guadagni. Il nostro mestiere è diventato un mercato, con l’ idea di semplificare ridotta a un tabù». Nel mercato di Big Pharma, la gallina dalle uova d’ oro è rappresentata dalle pillole per il cuore, che secondo il Rapporto Osmed 2010 sul consumo farmaceutico in Italia “rimangono saldamente al primo posto della spesa ” con 5,1 miliardi di euro. Ma prima di prescrivere delle statine per abbassare i lipidi nel sangue, sostiene Cesare Fiorentini, professore all’ università di Milano e direttore della cardiologia dell’ ospedale Monzino, «bisognerebbe provare a intervenire con la dieta: verdure, fibre e pesce. I farmaci non devono diventare una scusa per mangiare in modo scorretto».

Quanto agli esami, Fiorentini distingue: «Ci sono test di cui a volte si abusa, come la Tac delle coronarie. Ma non capisco come l’ associazione Usa possa prendersela con i troppi elettrocardiogrammi.È un esame così semplice, rapido e non invasivo. Andrebbe anzi esteso ai neonati per ridurre le morti in culla». L’ esigenza di tornare a Ippocrate e all’ osservazione attenta dei pazienti è ancor più sentita da chi ha in mano i cordoni della borsa. «Sono le Regioni a chiederci di controllare l’ appropriatezza delle prestazioni», spiega Stefano Liverani, direttore sanitario dell’ Istituto ortopedico Rizzoli di Bologna. Che ricorda il costo spropositato di un farmaco contro l’ osteoporosi («diecimila lire all’ anno per ciascun abitante d’ Italia») che era usato in passato e oggi si è rivelato completamente inutile.

Secondo Stefano Boriani poi, che al Rizzoli è direttore della chirurgia vertebrale, a volte l’ utilità di un esame è inversamente proporzionale alla sua complessità: «In alcune deformazioni della colonna, la risonanza magnetica non fa vedere nulla, mentre una semplice radiografia mostra le alterazioni del disco». Ma se il malato si trasforma in un bersaglio per bisturi e pillole, non è solo per la sua ansia di guarire al più presto o per il timore del medico di finire in tribunale.

«Il marketing delle case farmaceutiche è pressante», conferma Alessandro Liberati, che insegna epidemiologia all’ università di Modena e dirige Centro Cochrane Italia, che si ispira alla medicina basata sull’ evidenza. «Perfino l’ aggiornamento obbligatorio dei medici è finanziato direttamente o indirettamente dalle case farmaceutiche. Il rischio è di finire con l’ imitare gli Stati Uniti, dove per esempio l’ 80% dei medici di famiglia prescrive antidepressivi».

L’ uso delle pillole della felicità è una marea montante che nasce dagli Usa (dove dal 2008 antidepressivi e ansiolitici sono la classe farmaceutica più venduta) ed è in arrivo anche da noi. In Italia i medicinali per il sistema nervoso costano 3,3 miliardi di euro all’ anno, sono al terzo posto della classifica della spesa e continuano a scavalcare posizioni. «Gli abusi sono diffusi – secondo Silvio Garattini, direttore dell’ istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri. «Si assumono psicofarmaci per dormire meglio, per arrivare tranquilli a un esame e per fronteggiare momenti di tristezza che sono naturali nel corso di una vita e di fronte alle quali si può reagire con le proprie forze. Senza bisogno dell’ aiuto di un farmaco».