Quando si dice buddismo

Marcello Vigli

C’è stata una stagione, fra la fine degli anni sessanta e l’inizio degli anni ottanta, in cui molti italiani, giovani e non solo, delusi dall’impegno politico e/o insoddisfatti di una religione cattolica sclerotizzata, nelle forme istituzionali e rituali, cercarono altre proposte cultural/religiose per uscire dalla crisi esistenziale che stavano vivendo.

Molti furono affascinati dalle idee e soprattutto dalle prassi proposte dalle religioni del lontano Oriente. Vagarono per l’India alla ricerca di se stessi e nel tentativo di scoprire una libertà interiore e una spiritualità che il mondo occidentale sempre più tecnologico, scientifico e secolarizzato stava perdendo.

Infatti, l’affermarsi della cosiddetta “modernità”, con i suoi progressi nelle scienze empiriche, nelle tecniche e nelle discipline liberali, aveva di fatto relegato il cristianesimo, che nel passato era stato il fulcro della civiltà occidentale, a semplice tradizione religiosa, di cui le chiese si erano limitate ad essere depositarie.

Fu in questo contesto che con progressiva accelerazione si diffuse in Italia anche la conoscenza del buddismo, il cui incremento ed espansione sono culminati con il riconoscimento legale dell’Unione Buddhista Italiana come ente religioso, con Decreto del Presidente della Repubblica del 3 gennaio del 1991.

E’ seguita la stipula dell’Intesa con lo Stato Italiano, prevista dall’articolo 8 della Costituzione, che l’U.B.I. ha siglato nel 1999 con il governo ottenendo un effettivo riconoscimento istituzionale, che favorisce indirettamente il dialogo interreligioso tra il buddismo e il cristianesimo.

Inserito in questo contesto delle religioni riconosciute il buddismo offre di sé, però, un’immagine inadeguata che non dà conto della ricchezza dei suoi contenuti e della loro varietà nelle diverse forme che assumono i gruppi di fedeli che interpretano in vario modo il messaggio del Maestro.

Apre alla conoscenza di tale ricchezza, pur se nella sola realtà giapponese, il saggio di estremo interesse elaborato da Tarcisio Alessandrini della Comunità di base di San Paolo, Giappone nuovo e antico. Studio fenomenologico del Movimento Buddhista: Risshō Kōsei-Kai. Il vero ed il perfezionamento nella Condivisione, Editrice Pontificia Università Gregoriana, Roma 2007.

Un libro di oltre 430 pagine frutto di una ricerca svolta con un raro acume di studioso ed un’acuta visione nata da una lunga esperienza sul campo, scrive nella Prefazione Maria Angela Falà, Presidente Unione Buddista Europea. Alessandrini ha vissuto a lungo in Giappone, con cui ha mantenuto frequenti contatti come impiegato all’Ambasciata giapponese a Roma e dove è spesso tornato proprio per approfondire la sua ricerca.

Unico nel suo genere in Italia, il libro inserisce l’analisi di tre movimenti buddisti contemporanei in un più ampio studio delle fasi dello sviluppo della società giapponese.

I primi capitoli sono infatti dedicati alla metamorfosi della religiosità in Giappone nella storia delle popolazioni stanziate sulle isole dell’arcipelago a partire dalle forme maturate, prima dell’avvento del buddismo, nello Shinto, una fede vaga in una moltitudine di spiriti della natura, all’interno delle realtà contadine e delle lotte fra i clan, che ne hanno accompagnato l’evoluzione.

Con i successivi interscambi con la Cina e la Corea, altri elementi si aggiungono e si integrano nella primitiva religione nazionale fino al VI secolo d. Ch. quando appare il Buddismo che viene introdotto a corte dal principe reggente Shōtoku Taishi – il Costantino del Buddhismo nipponico lo definisce l’autore – trovandolo un ottimo espediente per l’unificazione e la pacificazione del Paese.

Ne nacque un processo di integrazione con le credenze tradizionali il cui sviluppo si è intrecciato con i processi che hanno portato alla formazione della struttura unitaria dell’Impero in un susseguirsi di trasformazioni nelle espressioni formali e nelle strutture istituzionali giungendo alla formazione di un Buddhismo giapponese con sue peculiari caratteristiche.

L’autore nella prima parte del libro le illustra nelle loro evoluzioni a partire dalla considerazione, condivisa con altri studiosi, che la diffusione del Buddhismo, in Giappone, si è effettuata venendo all’alto, secondo un processo, esattamente, inverso a quello che ha fatto capo all’invasione del mondo romano da parte del Cristianesimo.

Al suo interno nacquero e si svilupparono varie sette o scuola fra cui la Scuola Nirichen dal nome del suo fondatore, Nichiren, una personalità carismatica del XII secolo che pone al centro della sua predicazione il Sutra del Loto diffusa in India e in Cina e introdotto in Giappone nella metà del VII secolo, determinando un profondo rinnovamento della tradizione buddista, nel contesto di un aggiornamento della cultura e della politica giapponese.

Alla sua dottrina e al suo interesse per la forma istituzionale della comunità – strettamente legata a quella politica – l’autore pone particolare attenzione rilevandone l’importanza per la definizione del buddismo giapponese, al cui interno continuarono a fiorire e a scontrarsi diverse scuole che, però, finirono per isterilirsi specie dopo il XVIII secolo quando furono chiuse le frontiere dell’Impero del Sol levante.

All’inizio del XX secolo, dopo la fine dell’isolamento, ai suoi insegnamenti s’ispirano i tre movimenti vero oggetto della ricerca, che s’inseriscono in quelle che vengono chiamate nuove religioni del Giappone. In verità si tratta dell’aggiornamenti di antiche forme intrecciati con l’evolversi delle dinamiche politiche Per questo molti preferiscono non qualificarle come nuove religioni, pur se c’è chi si domanda se il Buddismo giapponese attuale sia ancora radicato nella tradizione e su quale tipo di Buddhismo abbia a che fare il Giappone di oggi.

Si può dire che il libro cerca di dare una risposta a questa domanda evidenziando che le caratteristiche dei movimenti in questione sono: sia quella di presentare non tanto nuovi contenuti religiosi quanto piuttosto nuove forme di organizzazione, con base laica e di massa, sia quella della laicità delle nuove religioni fondate sulla fiducia nel laicato e nell’ampio impegno per attirare nuovi membri.

Se limitata, ma esauriente, è la presentazione dei primi due, Amici dello Spirito (Reiyu-Kai) e Movimento per la creazione dei valori (Soka Gakkai), ampia e minuziosa è l’analisi del terzo, Rissho, Kōsei-Kai (R.K.K), il vero oggetto del lavoro di Alessandrini che ne traduce il titolo sintetizzandolo: Movimento per il vero ed il perfezionamento nella vita di relazione. Poco noto, quest’ultimo, in Italia mentre il secondo è conosciuto e seguito anche in Europa.

Nato nel 1938 per iniziativa di Niwano Nikkyo, alla cui biografia l’autore dedica molta attenzione, il Movimento, che ebbe difficoltà a diffondersi a causa della partecipazione del Giappone alla seconda guerra mondiale e per una serie di critiche esterne e difficoltà nelle dinamiche interne, conta oggi circa sette milioni di aderenti. ,

Non è possibile dar conto né della minuziosa ricostruzione delle vicende, che accompagnarono la nascita del Movimento, la sua maturazione e diffusione, né della puntuale presentazione della dottrina di cui è portatore nella sua forma di buddismo moderno laico nel senso che opera nella famiglia e nella società, che costituiscono la seconda parte del libro.

Val la pena di sottolineare che in essa l’autore rileva che particolare caratteristica del Movimento è la vita comunitaria, che i suoi aderenti vivono intensamente attraverso gruppi di reciproca consulenza, hōza, vere strutture portanti delle Chiese locali. La hōza si sviluppa come luogo di pratica per chi guida e per chi è guidato…

Si fa osservare che tra i problemi sollevati dai partecipanti figurano principalmente quelli riguardanti la salute spirituale e fisica, le situazioni economiche, i rapporti umani nelle pareti domestiche, in ufficio, nei luoghi di lavoro ecc… E’ da tenere presente, comunque, che lo scopo centrale della hōza sta nel condurre l’individuo sula via autentica di vita.

Solo un’attenta lettura delle oltre trecento pagine ad esse dedicate può, però, consentire una piena conoscenza della R.K.K. e, soprattutto, di entrare in sintonia con l’autore appassionatamente impegnato in questa ricerca: Nell’intento di portare alla luce, in chiave fenomenologica, i punti salienti della vita di un Movimento che oggi si affaccia sul mondo contemporaneo.

Conviene, invece, cercare d’interpretare la motivazione profonda di tale impegno rilevando una peculiarità del Movimento alla quale l’autore attribuisce grande importanza. In quanto istituzione religiosa, (esso) pone l’accento sul dialogo interreligioso come scopo per la convivenza pacifica con tutte le religioni del mondo, invitate ad offrire il loro valido contributo per la pace nel mondo.

Intenzionalmente l’autore cita ampiamente i testi preferiti da Niwano, fondatore e Presidente del Movimento fino alla sua morte, per sottolineare che è la pace fra gli esseri viventi, conquistata con la benevolenza, ad essere il filo conduttore della R.K.K. Si sofferma molto sulla partecipazione dello stesso Niwano, come osservatore, al Concilio Vaticano II, e sul suo impegno nella promozione nel 1963 con altri capi religiosi del Giappone di una Delegazione per la pace che intraprese un viaggio di 40 giorni in dieci nazioni, inclusi USA, GB e URSS per perorare il bando delle armi atomiche; prima tappa del viaggio fu Roma dove Niwano incontrò Paolo VI.

Seguirono altre innumerevoli iniziative per la pace, per l’assistenza alle popolazioni dei paesi poveri e viaggi per la diffusione del buddismo inteso come strumento per creare una società che rinunci a tutte le rovinose lotte per il potere. Come Presidente della Lega delle Religioni in Giappone patrocinò nel 1970 la prima Conferenza mondiale delle religioni per la pace che continuò a sostenere negli anni successivi, fino a quella di Riva del Garda, la sesta, che fu inaugurata a Roma alla presenza di Giovanni Paolo II.

Particolare interesse, in questo contesto, l’autore attribuisce ai rapporti di Niwano con il cattolicesimo e con la Santa Sede, da un lato, rilevando affinità nella dottrina e nella prassi fra le due religioni, dall’altro, ricordando gli incontri con i diversi papi e i rapporti con la teologia accademica cattolica riscontrando un particolare interesse da parte di esponenti di entrambe le fedi ad incontrarsi in uno spirito di profondo rispetto.