Un governo senza Stato

Paolo Bonetti
www.italialaica.it

19.08.2011 – Può sembrare una questione marginale, quella dell’accorpamento delle feste cosiddette laiche deciso dal governo nel decreto varato per far fronte a una crisi economica che diventa ogni giorno più preoccupante. I cittadini sono preoccupati per le nuove tasse e per i tagli alla spesa pubblica, soprattutto di comuni e regioni, tagli che andranno inevitabilmente a incidere sulla qualità della vita di tante famiglie italiane, perché significano in sostanza cancellazione di servizi essenziali nella sanità e nella scuola. Per di più la manovra, come giustamente è stato detto da più parti, viene pagata, ancora una volta, dai contribuenti onesti, quelli che non evadono il fisco, anche perché sono nella condizione oggettiva di non poterlo evadere.

Eppure la soppressione delle festività laiche, che sarebbe più opportuno chiamare civili, per togliere ad esse ogni sospetto di connotazione ideologica, è un fatto grave, contro cui bisogna protestare fermamente, perché denota, nei nostri governanti, quella mancanza di senso dello Stato e quel disprezzo dei valori repubblicani che essi hanno già manifestato in molteplici occasioni. In una manovra per tanti aspetti confusa e contraddittoria, essi hanno inserito un provvedimento i cui benefici economici sono controversi ed incerti, ma il cui significato civile è fin troppo evidente: il governo di centro-destra non si riconosce negli eventi fondativi della nostra Repubblica e in quella festa del lavoro che ha, anch’essa, un preciso riscontro nel primo articolo della nostra Costituzione.

Senza volere in alcun modo polemizzare con le tradizioni cattoliche della nostra società, non possiamo però esimerci dal porre a chi dovere questa domanda: in un momento in cui si chiedono sacrifici a tutti, perché non si accorpano anche le festività religiose? Tralasciamo naturalmente la Pasqua, che viene comunque di domenica, e non spostiamo il Natale dalla data del 25 dicembre, perché si tratta di una ricorrenza a cui siamo quasi tutti sentimentalmente legati, ma che dire dell’Epifania, dell’Assunzione, dell’immacolata Concezione, per non parlare delle feste dei santi patroni che si celebrano in ogni paese e città d’Italia.

Non sarebbe un bel gesto da parte della Chiesa cattolica, un gesto di solidarietà civile e sociale, se essa stessa prendesse l’iniziativa di spostare alle domeniche successive tutte queste feste? Si eviterebbero, in questo modo, anche i problemi posti dalle norme concordatarie, le lunghe trattative e le polemiche di una revisione che, peraltro, l’attuale governo, quanto mai bisognoso dell’appoggio della Chiesa, non avrebbe mai il coraggio di chiedere. Quella di un’ulteriore revisione del Concordato e, in prospettiva, della sua abolizione, è una questione che noi laici dobbiamo tenere costantemente aperta, anche se i partiti, compresi quelli di sinistra, si muovono su questo terreno con una cautela che segnala, ancora una volta, assieme alle loro paure, la grave mancanza di una credibile identità politico-culturale.

Ma le esenzioni fiscali e i privilegi economici di cui la Chiesa cattolica continua a godere, la vera e propria truffa, a danno di noi cittadini, costituita dall’otto per mille, con la speciosa ed iniqua ripartizione di questa tassa, sono motivi più che sufficienti per continuare una lotta che sarebbe sbagliato definire antireligiosa o anticlericale, perché è semplicemente una questione di giustizia. Nello Stato di diritto la legge è uguale per tutti, non ci possono essere una cittadinanza normale e una speciale, la prima riservata ai cittadini comuni e la seconda riconosciuta a quelli che godono di un trattamento particolare, perché appartenenti a una determinata comunità religiosa o, addirittura, a uno Stato estero.

Si torna così alla questione di fondo di ogni autentica concezione dello Stato laico e liberale, e della sua necessaria supremazia su ogni altro organismo politico, religioso o economico che sia. Ognuno di noi, in quella società aperta e plurale che dobbiamo ogni giorno difendere accanitamente, appartiene a una qualche confessione religiosa o a nessuna di esse, perché segue un suo individuale percorso intellettuale e morale la cui libertà è insindacabile.

Possiamo essere cristiani cattolici o protestanti o ortodossi, oppure ebrei, islamici, buddisti, confuciani, o ancora atei, agnostici, variamente razionalisti e quant’altro ciascuno può in coscienza decidere di essere, ma prima di ogni altra cosa siamo cittadini dello Stato a cui per nascita o per libera scelta apparteniamo. Il nostro primo dovere di lealtà e di rispetto deve essere per questo Stato, le leggi fondamentali a cui dobbiamo obbedire sono una sua emanazione, i diritti di cui godiamo trovano in esso le loro garanzie.

E’ grave, perciò, quando la classe politica di governo ignora questa elementare verità e disconosce, con le sue decisioni, quei valori etico-politici che stanno alla base del patto fondativo dello Stato repubblicano. Diciamolo senza timore: la festa della Liberazione e quella della Repubblica sono, per noi italiani, più importanti di ogni festività religiosa, perché ci accomunano tutti, mentre queste ultime, per quanto possano avere profonde risonanze emotive nel cuore di tantissime persone, sono le feste di una particolare confessione religiosa alla quale non tutti aderiscono. Si ripete spesso che il cattolicesimo è la religione della stragrande maggioranza degli italiani, quando in realtà è ormai, nella pratica effettiva, la religione di una minoranza. Ma fosse pur vera la prima affermazione, va ribadito con forza che la Repubblica non è della maggioranza, ma di tutti.