Gheddafi, colpe di Stato

Cora Ranci
www.peacereporter.net

Quarantuno anni fa, il golpe di Gheddafi. Il piano della presa del potere fu perfezionato in Italia, con l’aiuto dei nostri servizi segreti

Il colpo di Stato con cui, esattamente 41 anni fa, un gruppo di militari rovesciò la monarchia dell’ottantenne re Idris di Libia, consegnando il Paese nelle mani del colonnello Gheddafi e di un gruppo di ufficiali dell’esercito, è stato preparato in Italia con l’aiuto dei nostri servizi segreti. Giova ricordarlo, oggi, nell’anniversario del golpe, consumato nella notte tra il 31 agosto e il primo settembre 1969, per renderci conto con più consapevolezza della profondità dell’intreccio che ha legato – e, a quanto pare, continuerà a legare – l’Italia e la sua ex-colonia. E dell’ipocrisia politica in cui un Paese incappa quando non è in grado di sviluppare una politica estera coerente ed autonoma proprio nel Mediterraneo, di cui è al centro.

Quando all’inizio di agosto 1969 re Idris, ormai ottantenne, comunicò al governo libico l’intenzione di abdicare a favore del principe ereditario, i membri delle famiglie libiche decisero di preparare in segreto un’evoluzione politica diversa e a loro più conveniente. I tempi erano stretti e la posta in gioco troppo alta per essere persa. Il complotto venne architettato sotto la regia di Abdulaziz el-Sheli, uomo di fiducia del re. Un cambiamento di governo in un Paese strategicamente così importante come la Libia non poteva avere successo senza il consenso delle potenze che in quel momento “contavano” nello scacchiere mediterraneo, in primis la Francia.

Ma anche l’Italia, se pur non certo una grande potenza, per lo meno nei rapporti con Tripoli aveva il suo peso politico ed economico non secondario. In Libia, l’Eni era già presente dal 1959, anno in cui l’Agip ottenne la prima concessione nel deserto del Sahara orientale. Altri importanti accordi vennero stretti tra la monarchia libica e il “cane a sei zampe” tra il 1965 e il 1967. Il destino della Libia era, come lo è oggi, di importanza centrale per Roma.

L’Operazione Gerusalemme, nome in codice con cui venne chiamato il colpo di Stato contro re Idris, venne perfezionata negli ultimi dettagli proprio in Italia. Nel Grand Hotel di Abano Terme, in Veneto, si tenne una riunione dei servizi italiani in cui vennero assegnati i più importanti incarichi del futuro governo di Gheddafi, all’epoca solo 27enne. Alla vigilia del golpe, il 28 agosto 1969, colui che a breve sarebbe diventato il ministro degli Esteri libico, Sala Bouissir, si spostò a Roma: in caso di successo del piano, avrebbe preso possesso dell’ambasciata. Pare che Gheddafi stesso sia stato addestrato militarmente per un breve periodo in Italia.

Il resto della storia, lo conosciamo. L’Italia divenne negli anni il partner commerciale privilegiato della Jamahiriya libica. Nel 1980, secondo uno degli scenari più accreditati di quanto successo la sera del 27 giugno, furono ancora i nostri servizi a salvare Gheddafi da un attentato francese, avvisandolo che il suo aereo sarebbe stato bersaglio di un missile. Il colonnello, in volo da Tripoli verso la Polonia, avrebbe fatto in tempo ad invertire la rotta all’altezza di Malta. E ad essere abbattuto, per errore – questo è certo – fu un aereo civile italiano con a bordo 81 persone, all’altezza dell’isola di Ustica. Uno degli esiti più grotteschi della doppia fedeltà di Roma nel campo degli affari internazionali.

L’amicizia con la Libia di Gheddafi ha fatto comodo a Roma anche quando è cominciata l’emergenza delle forti migrazioni dall’Africa. Non si fecero scrupoli, i governi di entrambe le parti, ad includere nei trattati con Tripoli la regolazione del flusso migratorio. Cominciò il governo Prodi nel 1997, fino ad arrivare all’ultimo accordo siglato da Berlusconi nel 2009. Non si è tornati indietro quando si è venuti a conoscenza del cruento trattamento che le autorità libiche riservavano ai migranti. Conveniva così.

Fedele alla tradizione, l’Italia è stato l’unico Paese occidentale a non prendere subito una precisa scelta di campo quando si è capito che la primavera araba avrebbe contagiato anche la Libia. Si è spinto il limite sin che si è potuto, per poi lasciare spazio all’opportunismo economico, anch’esso senza dubbio parte dell’arte diplomatica. L’Eni ha già inviato il proprio amministratore delegato a Bengasi e un accordo con il Cnt per le forniture di petrolio è già stato firmato. Ancora non si sa che fine abbia fatto Gheddafi, ma oggi, nell’anniversario del suo colpo di Stato, non dimentichiamoci da dove è venuto.