11 settembre. Non dimentichiamo le altre vittime!

Flavio Lotti, Coordinatore nazionale della Tavola della pace
www.perlapace.it

Non ci sono solo i morti di New York. Quell’attentato ne ha provocato anche molti altri che non possiamo dimenticare. L’11 settembre la storia ha fatto un passo indietro. Dopo noi ne abbiamo fatti molti altri e oggi ci ritroviamo impoveriti.

Non posso accettare di stare zitto. Il decennale dell’11 settembre ha messo in moto tutti i mezzi di comunicazione. E’ giusto. Quel devastante attentato terroristico ha provocato uno sconvolgimento così profondo delle nostre vite che deve essere ricordato e ricollocato nella memoria collettiva.

Quello che non trovo giusto è l’uso retorico e strumentale che si sta facendo delle vittime di quella tragedia. Di una parte delle vittime, per la verità. Perché, e questo è il fatto che più non mi da pace, noi tutti stiamo più o meno strumentalmente onorando la memoria solo di alcune vittime e non di tutte. Quelle che sono morte sul suolo americano.

Le altre non esistono, o forse non devono esistere. Quali altre? Quelle che sono state ammazzate al di fuori degli Stati Uniti a causa di quell’attentato e delle scelte più scellerate che l’hanno seguito. Penso a quelle duecentoventicinquemila persone che sono morte in Afghanistan, in Iraq, in Pakistan nelle guerre che abbiamo iniziato e mai finito dopo l’11 settembre.

Nessuno sa realmente quante siano perché nessuno è mai riuscito effettivamente a contarle. Nessuno conosce i loro nomi, nessuno ha raccolto le loro foto, nessuno ha ricostruito le loro storie, nessuno sta costruendo in loro onore un memoriale, nessuno è andato a incontrare a scusarsi con i loro familiari, nessuno si è preso cura di loro.

Eppure anche loro sono morte a causa dell’11 settembre. Eppure anche loro erano quasi tutti innocenti. La loro sola colpa è stata di nascere nel posto sbagliato con il regime sbagliato. Non dimentichiamoli, dunque. Anche loro hanno diritto di entrare nella nostra memoria collettiva e nonostante qualcuno cerchi di cancellarli, ci entreranno. Perché la storia non si cancella.

PS: Aggiungo una sola breve considerazione sul bilancio di questo decennio. L’11 settembre 2001 la storia ha fatto un passo indietro. Pochi giorni dopo, il 7 ottobre, la storia ne ha fatto un altro. Molti altri passi indietro sono poi seguiti e oggi ci ritroviamo prigionieri di una gravissima crisi economica da cui non sappiamo come uscire.

Questa è la storia di noi occidentali ma non di tutto il mondo. Per un’altra parte dell’umanità il bilancio di questo decennio è tutt’altro che negativo. Mentre noi spendevamo oltre 4 trilioni di dollari per fare la guerra altri investivano sullo sviluppo. Così noi oggi ci ritroviamo più poveri e insicuri e loro hanno ritmi di crescita impressionanti.

Loro sono andati avanti. Noi siamo andati indietro. Noi piangiamo e loro festeggiano. Probabilmente il 12 settembre dovevamo imboccare un’altra strada. Quando verrà il giorno in cui potremo esclamare: “Meglio tardi che mai”?

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Quello che la guerra non ci lascia vedere

Renato Sacco
www.famigliacristiana.it

A Kabul piove. La cosa è abbastanza rara. Curiosa. E la pioggia rende ancora più surreale l’arrivo in Afghanistan a 10 anni dall’attentato alle Torri gemelle, con una delegazione promossa dalla Tavola della pace con l’associazione americana dei familiari delle vittime.

Una delegazione per esprimere prima di tutto un forte gesto di solidarietà con il popolo afgano e rendere omaggio alle vittime della guerra e del terrorismo. Ma anche un’occasione per riflettere: a cosa è servito scatenare una simile guerra? E ora, cosa dobbiamo fare?

Sono domande fondamentali non solo per noi qui a Kabul, ma per ogni persona che si interroga sul senso di scelte che segnano la vita di tante, troppe persone. La guerra e il terrorismo distruggono, sempre. Lo abbiamo visto con le Torri gemelle, lo vediamo a Kabul, ma è sotto gli occhi di tutti anche la situazione dell’Irak, della Palestina e di Israele, della Libia di questi giorni.

In Afghanistan l’Italia spende 700 milioni di euro ogni anno. Quante cose si sarebbero potute fare, e si potrebbero ancora fare, per la qualità della vita delle persone. Per dare quelle cose essenziali che rendono ogni persona degna di questo nome. E non schiava di chi, per un po’ d’acqua o di pane, ti arruola nella logica della guerra.

Siamo a Kabul per incontrare i rappresentanti della società civile afgana. Per invitarli alla marcia Perugia-Assisi per la pace e la fratellanza dei popoli, il 25 settembre. Riflettere è doveroso per demolire tabù che portano a pensare che tutti gli afgani sono talebani e terroristi. Che tutti gli americani sono per la guerra. Visti i risultati disastrosi del conflitto, evidenti qui in Afghanistan, ma anche in Irak dove oggi l’energia elettrica, per esempio, viene erogata solo tre ore al giorno.

Spesso ritorna la domanda: dove sono finiti i pacifisti? Davanti a ogni tragedia sembra che la colpa sia sempre di chi vuole la pace. Certo, dopo le grandi manifestazioni per la pace dal 2001 fino al 2003, contro la guerra in Irak, qualcuno si chiede: perché non si vedono più quei cortei? Innanzitutto va ricordato che dietro all’appuntamento del prossimo 25 settembre c’è un grandissimo lavoro sommerso di informazione, riflessione e documentazione da parte di giovani, associazioni, Enti locali per la pace. E poi ci sono le denunce che spesso non vengono raccolte né dai media né dalla politica né, purtroppo, a volte dalla Chiesa.

Se dobbiamo difendere la vita, forse bisogna intraprendere con maggior coraggio il taglio delle spese per gli armamenti, che uccidono anche se non vengono usati. In particolare in Italia il popolo della pace chiede, in tempi di crisi e di tagli per la manovra finanziaria, di ridurre le spese militari. Il progetto dei cacciabombardieri F 35 ha un costo globale di oltre 15 miliardi di euro. Ognuno di questi aerei costa oltre 150 milioni di euro. Non è pura follia? Perché anche dalla Chiesa non arriva una forte denuncia di questo spreco che uccide e crea solo morte?

Ma è significativo il silenzio quasi totale di questi giorni, da parte dei politici, sulle spese militari. Si potrebbe definire un vero e proprio tabù che nasconde, o rivela, grandi interessi, molto evidenti proprio in questi giorni con la tragica vicenda della guerra in Libia. E’ possibile che di fronte a una guerra le preoccupazioni più evidenti di una parte della politica siano state quelle di contrastare l’arrivo dei profughi? Ecco, chi vuole la pace è accanto ai profughi, alle vittime, di oggi e di ieri. Grida, nel silenzio delle strade di Kabul, che la guerra è avventura senza ritorno.

Intanto a Kabul non piove più. Il sole sta tramontando e alcuni bambini sul tetto delle case fanno volare in cielo aquiloni colorati. Accanto a me un anziano con la barba sorride con due occhi pieni di tenerezza. Occhi che un pilota che bombarda da 5 mila metri di altezza non può vedere.

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da www.peacereporter.net

11 settembre: ‘C’era un’alternativa?’      Guardando all’11/9 dieci anni dopo: gli Usa sono i migliori alleati di Bin Laden. L’analisi di Noam Chomsky

DOSSIER 9/11 cospirazione e propaganda, di Naoki Tomasini (scarica il PDF)

Loretta Napoleoni: bin Laden e Wall Street

L’opinione di Gad Lerner

La Rai e i dubbi sull’11 settembre

Usa, 11 settembre: le bugie della Cia

La Guerra dell’11 settembre. I costi di elevati di una guerra che ha cambiato il mondo

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Dieci anni dopo… dall’altra parte del mondo…

Tiziana Ferrario
www.articolo21.info

E’ difficile scrivere qualcosa di non banale in occasione di un anniversario così importante per tutto il mondo come i dieci anni dall’attacco alle Torri Gemelle di New York. Gli americani vogliono dimenticare,ci dice Di Bella,mentre i giornali ci spingono a ricordare ogni dettaglio. I quotidiani italiani propongono cofanetti,inserti speciali, commenti,persino pseudo quiz per rimarcare l’eccezionalità di quel tragico giorno per gli Stati Uniti e per tutti noi.

” ..ti ricordi cosa stavi facendo?”..chiede un quotidiano, ” dov’eri?” chiede un altro”,mentre tutti ripropongono i video con gli aerei che si abbattono su quello che era il simbolo della potenza americana e le voci registrate quella tragica mattina tra i passeggeri e tra i soccorritori giunti a cercare qualche sopravvissuto tra le macerie.

E’ vero,mentre in queste ore l’allarme terrorismo torna alle stelle per il timore di nuovi attacchi, tutti ci ricordiamo cosa stavamo facendo quell’11 settembre. Non si puo’ dimenticare.

“Siamo tutti americani” avevano titolato il giorno dopo Le Monde, il Corriere della sera e tanti altri quotidiani internazionali, mentre quell’enorme ammasso di cristallo, acciaio, e brandelli di corpi sprigionava un fumo acre e velenoso. Tutti noi, nel mondo occidentale ci sentivamo al fianco dell’America e guardavamo con orrore ad alcune manifestazioni di giubilo che provenivano invece da un’altra parte di mondo. Ci sembrava impossibile che si potesse gioire per quasi tremila morti innocenti.

Una situazione che non prometteva nulla di buono. Se doveva essere un millennio di pace, come tutti speravano dopo la fine della Guerra Fredda, era cominciato proprio male.

A distanza di dieci anni, è proseguito anche peggio,con già due guerre in attivo. Ecco perché in questi giorni non si può parlare dell’11 settembre guardando solo a Ground Zero, e senza chiedersi come questo anniversario sia ricordato proprio in quei paesi che non hanno fatto parte della grande coalizione di 46 nazioni che ha mandato i propri soldati a sconfiggere il terrorismo e i talebani in Afghanistan.

Scelgo tra tutti il Pakistan, con il quale gli americani hanno sempre fatto affari, ma che in quei giorni, di fronte alle macerie fumanti del World Trade Center era attraversato da profondi sentimenti antiamericani, andati via via aumentando.

Il giorno dopo gli attacchi, mentre i cieli del nord America erano chiusi, io sono partita con un volo degli Emirates per il Pakistan passando per Dubai. A bordo oltre all’equipaggio c’eravamo solo io e l’operatore. Nessuno osava prendere un aereo in quelle ore.
A Islamabad,la capitale del “paese dei puri” l’atmosfera era completamente diversa.

Nei negozi si vendevano magliette con l’effige di Bin Laden, per le strade era un susseguirsi di manifestazioni di giovani integralisti che bruciavano le bandiere americane e i manifesti con il presidente Bush. Le madrasse erano strapiene di ragazzi che inneggiavano alla guerra santa e si aprestavano a partire per l’Afghanistan al fianco dei fratelli musulmani.

In Pakistan, in quei giorni ,non si sentiva americana neanche quella ricca borghesia che mandava i propri figli a studiare nelle università statunitensi. Nessuno credeva che l’attacco fosse partito dal vicino Afghanistan, tutti solidarizzavano con i fratelli musulmani sui quali stavano per cadere le bombe dei B52,nei salotti si sussurrava la teoria del complotto.

Di lì a pochi giorni dall’attacco, il Pakistan sarebbe tornato a diventare un forte alleato degli Stati Uniti che avrebbero ripreso a riversare fiumi di danaro al governo del generale Musharraf nella speranza di averlo al fianco nella lotta al terrorismo.
Che cosa è successo da allora? Questi dieci anni ci dicono che le cose non sono andate come previsto e i sentimenti antiamericani in Pakistan sono aumentati.

I giornali pachistani in questi giorni ricordano l’11 settembre condannando l’azione terroristica, ma nei blogs si invita a raccontare anche le storie dei civili sopravvissuti ai bombardamenti degli aerei americani nei villagi pachistani e afgani dove è stata più intensa la caccia ai terroristi di Al Qaida. Anche lì ci sono stati tanti morti innocenti, si legge negli editoriali che ci offrono spunti di riflessione interessanti.

Anche i pachistani e gli afgani- leggo – sono traumatizzati, ma sono troppo poveri per permettersi di andare dal medico e farsi curare per la sindrome chiamata post-traumatic stress disorder e da queste parti, si sottolinea, la gente è troppo occupata a cercare acqua potabile e un pasto al giorno da mettere in tavola per i propri figli.

Continuando così, scrive un altro blogger sul quotidiano Dawn, per ogni civile ucciso dalle truppe americane, nascerà un piccolo Bin Laden.

Il presidente Obama ha chiesto che le cerimonie per l’11 settembre tengano conto delle numerose nazionalità e religioni delle persone morte nelle Torri e ha fatto bene a sottolineare che l’anniversario non passi come una commemorazione solo americana. Da quell’11 settembre 2001 il terrorismo ha colpito ovunque nel mondo, in Europa ma anche nei paesi islamici, i cui governi sono stati accusati di essere troppo vicini all’Occidente.

Ho riletto il discorso di Obama al Cairo all’università Al Azar. Un grande discorso. “Sono qui per cercare un nuovo inizio fra gli Stati Uniti ed i musulmani nel mondo, basato sul mutuo interesse e sul mutuo rispetto. E sulla verità: America e Islam non devono essere in competizione……ma sovrapporsi e condividere principi comuni, di giustizia e progresso, di tolleranza e dignità di tutti gli esseri umani”…

“Qualsiasi cosa pensiamo del passato, non dobbiamo rimanerne prigionieri. I nostri problemi vanno affrontati in partnership e il progresso va condiviso. Ma la prima questione da affrontare è l’estremismo violento in tutte le sue forme. L’America non è e non sarà mai in guerra con l’Islam. Tuttavia, confronteremo senza tregua gli estremisti violenti che pongono un serio rischio alla nostra sicurezza. Il mio primo compito come presidente è proteggere il popolo americano”….

E’ stato un discorso al fronte moderato,un invito a lavorare insieme.
” La guerra ha depresso e svuotato le casse americane, ma anche i musulmani hanno preso una grande batosta, scrive il blogger pachistano di Dawn, oggi chi ha una barba e un copricapo viene visto come un fondamentalista,” ” le donne con il velo sono guardate con sospetto e il radicalismo è aumentato, se c’è qualcuno che quotidianamente è pronto a farsi esplodere.”

“L’Europa ha dovuto prendere atto dei venti milioni di musulmani che vi abitano e si è incominciato a parlare di diritti e di accetazione della diversità” scrive un altro editorialista, ma i diritti lo sappiamo portano insieme anche i doveri. Ovunque c”è una ferma condanna dell’attacco dell’11 settembre e delle azioni degli integralisti,ma è forte la richiesta di una maggiore attenzione a non archiviare come “danni collaterali” le persone che soffrono e muoiono ancora oggi per le conseguenze di quell’attacco.

E’ evidente a tutti che in questi dieci anni le nostre vite sono peggiorate, anche se il terrorismo è più debole e Bin Laden è morto. Potranno esserci altri attacchi, ma lo scontro tra civiltà, che alcuni consiglieri del presidente Bush avevano previsto, non c’è stato. Solo il dialogo e la conoscenza, e la continua ricerca di quei punti di incontro a cui faceva riferimento Obama, possono portarci verso un orizzonte di pace.

Sono i moderati di tutti i fronti che devono darsi da fare, se non vogliono perdere la nuova occasione che si è aperta con le primavere arabe. Già l’Afghanistan è una guerra di occasioni perdute, per gli afgani e per noi. Evitiamo che lo sia anche il Nord Africa. Altrimenti questi dieci anni sarebbero trascorsi invano.

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