ICI e Chiesa, smontato il complotto

E.Ma.
www.ilmanifesto.it, 10 settembre 2011

Volevano le prove? Eccole. «Case del clero» e pensionati gestiti da congregazioni religiose, esentasse perché «esclusivamente riservati all’ospitalità di sacerdoti di passaggio» o adibiti a studentati universitari, che invece affittano camere a chiunque ne faccia richiesta.

Piccoli immobili o giganteschi complessi accatastati come b/1 (collegi, convitti, educandati, ricoveri, orfanotrofi, ospizi, conventi, seminari e caserme), dunque liberati per legge dall’imposta Ici, che nascondono (si fa per dire) strutture ricettive alberghiere, impianti sportivi, centri di riabilitazione e perfino cliniche private a pagamento.

Avviene a Milano come a Roma, e molto probabilmente in ogni città d’Italia. A documentarlo sono due inchieste: una dell’Espresso, e l’altra dei Radicali italiani che con due reporter d’eccezione – il segretario nazionale Mario Staderini e il consigliere comunale milanese Marco Cappato – hanno realizzato un paio di video da far invidia a Le Iene (godibili sul sito radioradicale.it).

In risposta alle loro denunce sul “sacro” patrimonio esentasse, i Radicali erano stati accusati di essere la mano longa di una campagna denigratoria contro la Chiesa, insieme a massoni e «poteri forti». Un complotto, insomma.

«Vogliono tassarci la beneficenza» titolava l’Avvenire all’indomani della presentazione di un emendamento radicale alla manovra economia finalizzato a correggere la legge corrente (voluta da Berlusconi e ritoccata da Bersani) laddove esclude dal pagamento dell’Ici «gli immobili destinati ad attività non esclusivamente commerciali».

Una richiesta peraltro avanzata al ministero delle Finanze anche da quel noto mangiapreti che è il sindaco di Roma, Gianni Alemanno. Il quale definisce la frase «di dubbia interpretazione» dunque facilmente utilizzabile «ai fini dell’elusione fiscale».

L’emendamento dei Radicali però è finito affossato, in commissione al Senato, da tutto il centrodestra compresa Fli, dall’Idv e con l’astensione di quasi tutto il Pd. Ora verrà ripresentato alla Camera. «Nel marzo 2009, rispondendo ad una interrogazione popolare dei Radicali Roma – spiega Mario Staderini – Alemanno stimava in 25,5 milioni di euro l’anno la perdita di gettito Ici conseguente alla nuova esenzione per le attività commerciali degli enti ecclesiastici, più 8 milioni di arretrati persi».

Tre anni più tardi il sindaco capitolino, rispondendo a una seconda interrogazione Radicale, dà notizia di un’attività di accertamento sull’elusione degli enti religiosi che aveva fruttato fino ad allora un recupero di quasi 11 milioni di euro.

Secondo L’Espresso, che nel numero in edicola fa i nomi e i cognomi degli istituti ecclesiastici in contenzioso con il Comune di Roma per l’evasione dell’Ici, «si stima che in Italia gli immobili della Chiesa siano più di 100 mila – come scrive Massimo Teodori – le scuole cattoliche 9 mila, le cliniche 4.712, gli ospedali centinaia, e che solo il patrimonio di Propaganda Fide a Roma ammonti a 9 miliardi di euro».

Nella sede romana di via di Torre Argentina, dove ieri sono stati proiettati i due video-denuncia, il segretario dei Radicali spiega: «L’Anci stima in 400 milioni di euro il minor gettito Ici da attività commerciali degli enti ecclesiastici». Si è improvvisato reporter, Staderini – e lo stesso ha fatto Cappato – e con una telecamera nascosta si sono messi a girare sotto mentite spoglie per studentati gestiti da preti e suore e «Case del clero», a Milano, dimostrando in pieno la frode ai danni di Stato e Comune.

Dai 30 ai 50 euro a notte per una stanza. E i turisti che ne approfittano vengono da tutto il mondo: «Dal Canada, dall’Australia, dagli Usa», spiega la suorina orgogliosa. Dunque, l’attività commerciale dei religiosi non è né «saltuaria» né ad «accesso limitato», cioè riservata esclusivamente ai destinatari dell’attività benefica dell’istituto, come prevede la legge che li esenta dall’Ici.

La norma così scritta fu voluta da Berlusconi e poi ritoccata da Prodi/Bersani per mettere una toppa alla sentenza della Cassazione che aveva dato ragione al comune dell’Aquila contro un ente monastico che evadeva l’Ici su un immobile usato a scopo di lucro. Prima di quella sentenza del 2004, anche la retta di 600 euro mensili richiesti agli studenti del pensionato milanese sarebbe stata illegale.

La legge fu un regalo bipartisan. Eppure, anche questa norma viene elusa. «Soldi che vengono usati per fare politica contro i diritti e le libertà dei cittadini italiani», attacca il tesoriere Radicale Michele De Lucia girando il coltello nelle tante piaghe nostrane, dalla legge 40 al testamento biologico.

Ma la «lotta per la laicità e contro le interferenze religiose e i privilegi vaticani è sempre più una campagna transnazionale», evidenzia ancora De Lucia dando appuntamento a Londra, il 17 settembre prossimo, per la marcia «For a secular Europe». Eppure, la croce del Concordato (che blocca le altre agevolazioni fiscali vaticane e il regalo dell’8 per mille) la porta un solo Paese. E nel silenzio più totale.

—————————————-

Chiesa, la beffa dell’8 per mille

Mauro Munafò
L’Espresso, 29 agosto 2011

Dei 144 milioni che gli italiani destinano allo Stato, più di 50 finiscono al restauro e alla manutenzione di parrocchie, monasteri e basiliche. Un regalo che si assomma al sistema di ‘devoluzione proporzionale’ che porta nelle casse del Vaticano l’87 per cento del gettito con solo il 34,5 per cento delle firme.

In un modo o nell’altro, l’otto per mille degli italiani finisce quasi sempre alla Chiesa Cattolica. Se non bastasse il sistema proporzionale di distribuzione dei fondi, che finisce per dirottare l’87,2 per cento del gettito direttamente nelle casse della Conferenza episcopale italiana (anche se quelli che scelgono la Chiesa sono il 34,5) ci pensa poi lo Stato a girare un altro 3-4% alla Cei, prelevandolo direttamente dalla sua quota.

Basta infatti andare a guardare la destinazione dei fondi gestiti dallo Stato per accorgersi che almeno un terzo della torta finisce comunque per avvantaggiare il Vaticano: una cifra che solo nel 2010 oscillava tra i 50 e i 60 milioni di euro sul totale di 144 milioni a disposizione dell’otto per mille “laico”.

Questo finanziamento aggiuntivo si perpetua da anni attraverso l’opera di restauro e conservazione di chiese, monasteri e basiliche. Fatti due conti, circa un terzo di tutti i fondi dell’otto per mille destinati allo Stato vengono quindi impiegati nella ristrutturazione dei luoghi di culto presenti nel paese. La fatica di firmare per lo Stato Italiano il proprio modulo è quindi sprecata.

Andando a sfogliare il Decreto della Presidenza del Consiglio pubblicato lo scorso dicembre (qui), si può notare come dei 343 progetti finanziati, 262 riguardano i beni culturali e la metà di questi interessano chiese e parrocchie.

Scorrendo l’elenco si possono vedere il milione e mezzo di euro speso per la Basilica di Sant’Andrea a Mantova, il milione e 800mila euro per il restauro della Chiesa dei santi Vittore e Carlo a Genova, il milione e 200mila euro per san Raffaele a Pozzuoli e il milione e 400mila euro per le suore Benedettine di Lecce, ma non mancano gli interventi da 100mila e persino 50mila euro. Una lista lunga 52 pagine, in gran parte con nomi di parrocchie e chiese della provincia italiana beneficiate dall’otto per mille destinato allo Stato, almeno sulla carta.

Ma le buone notizie per la Cei non finiscono qui. Dopo anni di gestioni folli dell’otto per mille statale, di volta in volta razziato dalle finanziarie e prosciugato per missioni di pace o per aggiustatine di bilancio, lo scorso anno le Commissioni bilancio del Parlamento hanno approvato una legge che rimettesse ordine sull’uso di questi fondi, “costringendo” i Governi ad utilizzarli per il contrasto alla fame nel mondo, alle calamità naturali, per l’assistenza ai rifugiati e per la conservazione dei beni culturali.

Grazie a questa necessaria modifica, la quota dell’otto per mille in mano allo Stato per finanziare interventi sociali è cresciuta a dismisura, arrivando a 144 milioni e triplicandosi rispetto ai 43 milioni del 2009 (qui) e moltiplicandosi di 50 volte rispetto ai miseri 3 milioni e mezzo del 2008 (qui). Un vero e proprio tesoretto che poteva andare alle missioni del terzo mondo o essere usato per combattere le calamità naturali, ma che per oltre 100 milioni è rimasto in Italia ed è stato speso in restauri.

Viste le cifre in gioco sorge però una domanda: non potrebbe essere la Cei, con i proventi del suo otto per mille, quello destinato alla Chiesa Cattolica, a sobbarcarsi il costo delle ristrutturazioni dei beni ecclesiastici? Cercando la verità nei bilanci, la risposta è certamente sì. Il solo gettito dell’otto per mille arrivato nelle casse dei vescovi nel 2011 ammonta infatti a 1 miliardo e 118 milioni di euro, di cui 190 sono stati destinati all’edilizia di culto (qui). Di questi, 65 milioni sono destinati alle ristrutturazioni (“tutela beni culturali ecclesiastici”): una cifra quasi identica a quella investita per lo stesso scopo dallo Stato.

Anche non volendo andare ad intaccare il fondo di ben 125 milioni destinato alla costruzione di nuove chiese in Italia, la Cei potrebbe limitarsi a investire nella ristrutturazione una parte di quei 55 milioni che nell’ultimo bilancio sono stati “accantonati”, cioè messi da parte per future esigenze. Ma finché ci pensa lo Stato a pagare i restauri, perché spendere di tasca propria?