Stati Uniti d’Europa

Enrico Piovesana
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Più la crisi economica si aggrava, più il rafforzamento dell’Unione europea viene presentato come unica soluzione in grado di scongiurare il collasso dell’euro. Lo scenario auspicato ormai in maniera esplicita da più parti è quello di un’unione federale sul modello di quello nordamericano, che sottragga sovranità economica ai governi nazionali per centralizzarla nelle mani di un apparato sovranazionale.

Oltre ai sempre più insistenti appelli per la creazione di “un’autorità centrale europea capace di gestire la crisi” (l’ultimo in ordine di tempo, George Soros, sul New York Times di martedì), un’autorità con potere di emettere titoli di Stato e imporre sanzioni economiche ai Paesi che sgarrano, si sente sempre più spesso parlare di ‘Stati Uniti d’Europa’: negli ultimi giorni lo hanno fatto il premier britannico David Cameron, auspicando questo sbocco per l’Ue, e il presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, candidandosi addirittura a diventarne futuro presidente.

L’idea che all’autorità degli Stati nazionali, già in piena crisi di rappresentatività della volontà popolare, si sostituisca quella di un Superstato centrale europeo, ancor più distante dai cittadini e vicino ai poteri forti (banche, multinazionali, ecc.), evoca in molti euroscettici lo spettro di un modello tecnocratico e autocratico che cancellerà ogni traccia di democrazia, intesa non come processo elettorale, ma come reale potere dei cittadini di influenzare le decisioni dei governanti.

Paure che si sono andate rafforzando negli ultimi anni, in seguito al modo assai poco democratico in cui i burocrati europei sono riusciti a imporre a tutti gli Stati membri la ratifica del Trattato di Lisbona del 2007, che in pratica è la carta costitutiva dei futuri ‘Stati Uniti d’Europa’. Il documento, già bocciato con referendum da francesi e olandesi nel 2005, venne ripresentato tale e quale direttamente ai parlamenti per la ratifica finale.

Lo ammise candidamente uno dei suoi estensori, Giuliano Amamto, in un’intervista all’EuObserver. “Hanno deciso che il documento dovesse essere illeggibile, per nascondere la valenza costituzionale. Insomma il tipo di documento burocratico di Bruxelles che non cambia nulla e che quindi viene ratificato dai parlamenti senza bisogno di referendum. Capendo che esso conteneva qualcosa di nuovo, il referendum sarebbe stato necessario”.

Gli irlandesi però hanno capito e nel 2008 hanno bocciato il Trattato con un referendum popolare. Mostrando un inquietante noncuranza per la volontà di un intero popolo, l’Unione europea ha ignorato l’esito del referendum, che in teoria avrebbe dovuto bloccare il processo di ratifica, e nel 2009 ha costretto Dublino a indire un nuovo referendum, facendo di tutto per rovesciare il verdetto popolare dell’anno prima. E infine riuscendoci.

A soffiare sul fuoco delle paure degli euroscettici democratici è stata poi la scoperta, nel 2009, del ‘Rapporto della Casa Rossa’: un’informativa dei servizi segreti Usa del novembre 1944 (codice EW-Pa 128) che dava conto di come i vertici del regime nazista stessero pianificando per il dopoguerra, assieme ai principali banchieri e industriali tedeschi, la risurrezione di un ‘Quarto Reich’ sotto forma di un mercato comune europeo con una singola valuta comune basata sul marco tedesco.

Al di là di queste suggestioni storiche, a legittimare i dubbi sul carattere democratico del disegno europeista ci pensano le parole degli stessi suoi fautori. Di nuovo Giuliano Amato, in un’intervista a La Stampa di diversi anni fa.

“Sbriciolare a poco a poco pezzi di sovranità, evitare bruschi passaggi da poteri nazionali a poteri federali. Non credo a un dèmos europeo e al sovrano federale. (…) Perché non tornare all’epoca precedente Hobbes? (…) Il Medio Evo è bellissimo: sa avere suoi centri decisionali, senza affidarsi interamente a nessuno. E’ al di là della parentesi dello Stato nazionale. (…) Anche oggi abbiamo poteri, senza territori su cui piantare bandiere. Senza sovranità non avremo il totalitarismo. La democrazia non ha bisogno di sovrani”.