Caro maestro, salviamo la scuola. Lettera-appello ad Andrea Camilleri

Comitato insieme X la scuolawww.micromega.net

Andrea Camilleri su Repubblica del 15 settembre, si è fatto portavoce del grido di allarme lanciato dal Comitato “Insieme X la Scuola”.

Caro Direttore,
non sono solito chiedere favori, ma credo che leggere questa lettera sia importante per tutti. Per me nonno, per i genitori, ma soprattutto per gli studenti, perchè vogliono fargli credere che non saranno loro a governare il mondo. Invece no, devono avere il diritto e il dovere di prendersi cura del loro futuro ed io sono certo che questo percorso inizia proprio sui banchi di scuola,
Andrea Camilleri

Caro maestro Andrea,
sempre che possiamo appellarla così. Non sapevamo come impostarle questa lettera, come metterla al corrente, non sapevamo se indirizzare, attraverso Lei, queste nostre riflessioni ai comuni conterranei o ai 90 deputati che siedono nel parlamento siciliano. Ci abbiamo pensato un bel po’ fino a cambiare decisamente destinatario, perché siamo certi che non ci vedono da quest’occhio, e non ascoltano da nessun orecchio, i siciliani adulti e colpevoli. E allora le chiediamo di scrivere a tutti i ragazzi siciliani che vanno a scuola, adesso che ricomincia il nuovo anno, perché a Lei presteranno un orecchio diverso… Per raccontare loro non com’era la scuola quando ci andava Lei, né tantomeno com’è adesso, che, ahimè, lo sanno perfettamente e la subiscono, bensì come potrebbe essere se alzassero la testa.

La scuola potrebbe essere il primo gradino della loro scalata, come lo è stato per Lei del resto, per tutti noi. Potrebbe non essere questa somma di catapecchie dimenticate, insicure e malsane in cui vorrebbero confinarli e diventare bellissima, utilissima e solidissima come una splendida dimora. Se le case son necessarie le scuole lo sono il doppio. Con ambienti rispondenti alle loro esigenze, con gli spazi adeguati, addirittura con gli infissi, i banchi e le sedie! Con le biblioteche e i computer, insieme nella stessa stanza, a significare che non se ne può far a meno, né dei libri né dei ponti informatici che sono tanto bravi ormai a utilizzare. Fatti i luoghi lo studio vien di conseguenza.

Abbiamo scritto l’appello a difesa della scuola siciliana a cui Lei ha aderito e la ringraziamo: classi affollate, maestri per strada, scuole insicure e non a norma. Ne ha voluto sapere di più. Abbiamo sentito il suo sconcertato. Ha saputo che i nostri governanti siciliani avrebbero il potere esclusivo di “eludere” gli ignobili tagli che sono stati fatti nella scuola italiana negli ultimi anni e non lo hanno mai utilizzato questo potere. Non si sono nemmeno curati di capire cosa fare e come fare in un balletto incredibile di rispettive incompetenze: è colpa dei Comuni, è colpa delle province, è colpa dello Stato. E’ colpa di chi? E’ colpa loro, questa è la verità, con noi complici, noi che lo abbiamo permesso col silenzio. Com’è possibile che le aule dove abbiamo imparato a leggere, a scrivere, a far di conto ad amare Pirandello e Verga e a vivere sono state dimenticate da tutti? Le aule dove cercano di fare oggi questi ragazzi con noi e con estreme difficoltà, troppe. Difficoltà che non son colpa loro sicuramente. Colpe.

Ecco, in questo valzer di colpe e di discolpe, di responsabilità e irresponsabilità i ragazzi sono gli unici che possono alzarsi in piedi con la coscienza candida per difendere i loro banchi, per difendere il loro futuro e per recriminare quello che gli stiamo togliendo. I loro genitori non lo stanno facendo e ci sconforta non trovarne ragioni: magari pensano ca pi u pezzu i pani i libra unservinu? Follie: è la cosa che serve di più per farli meno servi. E nemmeno i rappresentati che abbiamo eletto lo stanno facendo, figurarsi… picchì’avvissiru a fari? Mica votano i ragazzi, che ne avrebbero in cambio? La legge sul diritto allo studio, al vostro studio, langue da 30 anni in qualche cassetto dell’ARS: vergogna.

Se la stanno “fissiando” persino per dedicare una giornata di dibattito parlamentare (una sola giornata!!) ai problemi specifici della scuola siciliana e nemmeno si son sorpresi tanto nel costatare che al nord vengono assunti professori e al sud di meno, molti di meno. Vergogna. E loro che ci possono fare? Non è loro incompetenza. E di cos’altro devono parlare di più importante di questo? Se non se la fidano a risolverei problemi dei giovani siciliani che problemi mai potranno risolvere? Noi poi… ci stiamo stufando persino delle nostre lamentele… figurarsi se ci ascoltano i ragazzi! Noi, i professori.

Sembrano ombre agli occhi della gente, i ragazzi, ma anche i professori, non gli conviene mica ai governanti occuparsene, meglio delegare. E molti di noi insegnanti ci siamo dimenticati persino di noi stessi, che manco lo sappiamo più cosa voglia dire essere un professore: “ti trattano come ti fai trattare”, si dice dalle nostre parti, tra Agrigento e Porto Empedocle. Professorè, arruspigghiati. Un tempo i professori erano la coscienza critica dei paesi: Sciascia, Bufalino, Pasolini. Del nostro paese. Dovrebbero alzarsi tutti in piedi appena ne passa uno, Gesù Santo! Non per quel singolo professore, ma perché insegna ai ragazzi: e sono i ragazzi a dover esigere rispetto, questo devi dir loro. Sminuire un professore è sminuire loro. Navissimu a susiri puru nautri però, i professori, in questa difesa, e invece molti di noi stanno zitti. Non è vero? Dobbiamo difendere questa professione e il nostro ruolo, standoci nella società con la schiena dritta e non solo nelle classi.

Le scuole sono le chiese della laicità moderna. Sono i luoghi sacri del vivere civile. E l’indifferenza con cui le stanno facendo sgretolare, nel silenzio, nell’ignoranza dei problemi, nella superficialità distratta dei provvedimenti d’emergenza, nella mancata volontà di volerlo tutti quanti e insieme un cambio di passo, la dice lunga sull’assenza del sacro e del civile a cui vogliono condannare le nuove generazioni. Nessuno vuole educarli: questa è la verità e siccome non se ne accorgono, i ragazzi, possono anche togliervi tutto, persino le sedie. Non dico le ore di scuola.

Rivolgiti a loro, Camilleri, nell’augurargli un buon anno scolastico: perché combattano per i loro diritti e li difendano di fronte agli stessi padri quando sottovalutano, non dico la scuola, ma il maestro che hanno di fronte, perché la scuola ha le sembianze di un maestro, quello che hanno davanti tutte le mattine, mica un astrazione nostalgica. Che lo difendano. Non è il nostro grembiulino e nemmeno quello del loro papà, non è un ricordo: la scuola è il banco che adesso hanno e il professore che adesso si rischiano di insultare picchi tantu guadagna quantu un bidellu.

Noi diciamo: vergogna. Certo non tutti i professori sono bravi, come non lo sono tutti gli avvocati, o i medici. Ci mancherebbe. Ma servono i medici bravi, come gli avvocati bravi, come gli insegnanti bravi. E un bravo insegnante ci ha cambiato al vita a ciascuno di noi. Ma questo conta quasi meno: si litigassero banchi e sedie, sono la parte visibile dei loro diritti ad avere una preparazione all’altezza del mondo che si sta abbattendo sulle loro spalle. Eserciti di laureati eccezionali stanno arrivando dalla Cina, dall’India e loro saranno una debolissima armata Brancaleone senza manco i banchi e le sedie.

Si difendano con un’ arma bianca potentissima: appena crescono non li votassero se non li ascoltano oggi, se non sono capaci di pensare a loro per un sol giorno su 365. Di capire come fare per aiutarli. Vorremmo di più: che togliessero loro quelle sedie di sotto e si ci piazzassero. Studiando. E’ difficile farlo in queste condizioni, lo sappiamo. Con le mille distrazioni tipiche del essere ragazzi e con i più forti impedimenti che trovano a scuola: il freddo quando sono senza riscaldamenti, le asme da muffa, il disagio da luci insufficienti, la sorpresa del non trovare una sedia dove sedersi, di avere accanto un compagno disabile senza sostegno e di essere sempre troppi in classe, troppi perché li possiamo ascoltare sempre quando hanno una domanda, troppi per non fuggire nella disattenzione e nel disamore per le cose essenziali.

Dille a loro queste cose perché molti adulti, padri, madri, governanti, persino parecchi professori non hanno battuto ciglio (o in troppo pochi) nel vedergli togliere la sedia da sotto. Unn’è cuosa. Uncintieressa mancu nanticchia. E non capiscono che così gli togliamo il pane di bocca. La loro rassegnazione non sia mai quella dei ragazzi, esortali a difendere le classi, i banchi, le sedie, una buona istruzione e con essi la nostra identità. Grazie.